Antigone

 

 

 

Commento al disegno di Maurizio “Antigone”

In Antigone viene affrontato il tema sempre attuale del conflitto tra la legge dello Stato, che deve portare ordine e pacifica convivenza e la legge del cuore che spesso obbedisce a dettami più interiori. Questo il tema del dibattito proposto al CIS nel mese di ottobre. Maurizio, invece di esporci il suo pensiero in uno scritto come al solito, ci ha regalato ieri questo bellissimo disegno.
Noi abbiamo accolto questo commento simbolico come se fosse un suo sogno, un elaborato del suo inconscio, cio` che in realta` risultano essere sempre poesie, quadri, racconti, se originali e spontanei.
Da quello che e` stato poi il commento orale al suo disegno, e` emerso che Maurizio approva l’operato di Antigone, considera Polinice un eroe e non un traditore, e nel suo disegno ha visto il desiderio di Antigone di continuare l’opera del fratello, di entrare nell’armatura e diventare lui…
Dunque per Maurizio allearsi con i nemici della madre-patria e portarle guerra non e` tradimento. A volte quando ci identifichiamo con i personaggi di una storia non ammettiamo i loro errori, perché essi rispecchiano i nostri.
Ma cominciamo ad esaminare il disegno.
Gia` la data nella sua grafica semplice e armoniosa ci da` (per la numerologia 20+10+07 = 37 = 10) un bel 10, numero relativo alla sephirah Malkuth, il Regno, la sephirah della personalita`.
L’immagine che vediamo dunque e` un bell’autoritratto. Vediamo Antigone che rappresenta la componente femminile di Maurizio, dai dolci tratti mascolini: essa racchiude in se` tutto il significato del suo nome Antigone = “al posto della madre” (v. commento alla tragedia Antigone, int. cabalistica). La sorella di Polinice, prendendo il posto della Madre, tiene in grembo l’elmo del fratello defunto e lo guarda con infinita compassione (viene in mente la Pieta` di Michelangelo); accanto a lei c’e` una spada che sembra una penna d’oca (forse e` la penna per scrivere che e` stata implicitamente rifiutata con la scelta del disegno) da cui spunta un fiore, ornamento dello scudo che fa da sfondo e che sembra quasi sbiadito, forse perché non ha protetto cio` che avrebbe dovuto proteggere, cioe` la vita di Polinice.
La veste di Antigone e` morbida e nelle pieghe avvolgenti diventa marsupio per l’elmo, quasi a indicare il suo desiderio di riassorbirlo nel suo grembo materno per il recupero delle energie del morto e del suo operato. Fin qui tutto chiaro. Ora andiamo ad esaminare la componente maschile interiore del disegno. E` ovviamente Polinice.
L’elmo con i suoi fregi ci racconta il sentimento e l’idea che Maurizio ha di Polinice, cioe` come lo ha immaginato e sentito: un eroe di grandi qualita` in cui pero` la possibilita` del Kether (= la Corona), rappresentata dalla cresta dell’elmo, e cosi` pure quella di Daath (= la Coscienza), rappresentata dal fregio alato che sovrasta la parte frontale dell’elmo, sono scese a livello del cuore (Tiphereth) della ‘donna’ che ad occhi bassi guarda sconsolata cio` che resta del fratello.
Ma ora del fratello, dopo la battaglia fratricida, non resta che ‘niente’, perché Polinice, che avrebbe dovuto essere l’eroe, prima di poter diventare tale, ha tradito la madre-patria ed e` stato rapito dalla morte. La morte e` rappresentata dalle occhiaie vuote dell’elmo, il ‘nulla’ che ha portato via, risucchiandola in se` la parte inferiore del corpo di Polinice (Tiphereth-Yesod). Ora alla Madre terra (Malkuth) non resta che riassorbire in se` la sua parte piu` alta (Kether-Daath) per poter rinascere in lui, entrando essa stessa nell’armatura del morto.
Antigone, ribellandosi con arrogante sfida (hybris) alla giusta ‘legge’ del re Creonte (il reo va punito e non puo` avere lo stesso trattamento del giusto), vuole opporsi al destino che, a causa della maledizione scagliata su Laio per il suo peccato 'originale' (v. commento a Edipo Re www.teatrometafisico.it – teatro mitologico), l’ha privata di tutti i suoi: padre, madre, fratelli; essa nella suo anelito di ribellione affretta la dissoluzione inevitabile, ma anche il momento della ri-nascita. Noi siamo convinti che sarebbe stato piu` opportuno obbedire al re, sposare Emone e aver da lui figli sani e saggi…ma questa e` sicuramente un’altra storia.
Grazie. F.V.

 

 

Antigone commento di Marijana

Cosa gli antichi Ateniesi andavano a vedere a teatro ogni primavera, durante le feste dedicate a Dioniso, dio di sensualità ed estasi, di trasgressione ed esuberanza; dio tragicomico, dio del teatro? Assistevano ad un rito, o guardavano uno spettacolo teatrale nello stesso modo in cui lo guardiamo noi oggi?
Pare che a tutti piaccia la prima risposta.
Se il loro teatro, feroce e disumano come talvolta possono essere i sogni, voleva infiggere dentro gli spettatori l’idea di un eterno scontro dentro l’uomo, di uno spasmo dentro il quale la vita vibra e si consuma in ogni istante, allora era sufficiente usare i Miti e la loro crudeltà ed energia per rendere queste idee in modo reale e concreto. In questo senso il teatro era il luogo di un rito magico dove gli spettatori, durante la rappresentazione di una tragedia, si mettevano in contatto con le forze che agiscono nella vita e della cui presenza non erano consapevoli.
E in questo luogo magico gli Ateniesi guardavano le tragedie dove un eroe pativa per qualche sua colpa, e quelle che purificavano le loro anime dalle stesse passioni che avevano portato alla rovina gli eroi della tragedia. Vedevano le tragedie che rappresentavano terribili disgrazie ed in questo modo le loro anime si indurivano e si preparavano per qualche evento simile che poteva accadere anche a loro stessi. Partecipavano alle sofferenze degli eroi tramite le quali, assieme a loro, raggiungevano una maggiore consapevolezza; oppure partecipavano a quelle tragedie che parlavano del mistero dell’esistenza e discutevano sulle ultime verità della vita umana.... 
Cosa aveva voluto provocare nelle anime dei suoi concittadini Sofocle con la sua ‘Antigone’?
A prima vista ‘Antigone’ è il dramma di una giovane ed ingenua ragazza che si oppone alla capricciosa ed autoritaria volontà di un tiranno invecchiato, trovatosi all’improvviso al potere, e che considera le sue decisioni inviolabili. “Non è lo stato di chi lo governa?” si chiede Creonte, dipinto nella tragedia di colori simili a quelli che Eschilo ha usato nel dipingere Giove nel ‘Prometeo’. Sofocle non mette un eroe ‘maschile tipico’ che si oppone alla volontà di questo tiranno, ma sceglie un personaggio femminile. Per aumentare ancora la drammaticità e l’implacabilità delle due parti lui crea un intreccio ulteriore, dove il figlio di Creonte, Emone, è il fidanzato di Antigone.
Cosa si potrebbe dire in favore di Creonte, per difendere il suo personaggio? E cosa per sfavorire quello di Antigone?
La decisione di Creonte di non permettere la sepoltura di Polinice, considerato un traditore, ma di lasciarlo a cani ed uccelli, non si basava sulla sua legge ma su una regola che esisteva prima di lui. Anche Platone, infatti, nelle ‘Leggi’ dice che i cadaveri dei traditori devono essere letteralmente buttati fuori delle frontiere dello stato. Quindi, questa sua decisione non avrebbe dovuto provocare lo stupore del pubblico, ma nonostante ciò, pare che tutte le simpatie sia del pubblico che degli scrittori e registi siano state dalla parte di Antigone. Antigone, come in un alto e puro melodramma, è diventata nella storia del teatro l’eroina della resistenza e Creonte il simbolo di un tiranno, retrogrado ed anarchico. Per esempio, per Brecht, Creonte è Hitler; per Anouhil è un politico senza scrupoli nel quale non è difficile riconoscere un collaborazionista. Quindi, nel teatro Antigone spesso viene vista o come l’eroina ribelle, o come la
  figura tragica di un rito sacrificale, e la sua decisione di non obbedire a Creonte il compimento di incestuoso destino della famiglia di Edipo.
Ma questo tema era troppo poco per il grande autore?
Nello scontro fra Antigone e Creonte entrambe le parti, prese separatamente, hanno ragione. O per meglio dire, entrambe le parti hanno torto. Sia Antigone che Creonte sono nel dominio di quelle forze contro le quali combattono e proprio per questo motivo distruggono ciò che, secondo le regole della propria esistenza, avrebbero dovuto rispettare. Jung dice che ognuno di noi porta nel proprio essere, ‘l’essere’ del suo prossimo, della cui presenza non siamo consapevoli, anche se esso fa parte del nostro proprio essere. Se noi non rispettiamo le esigenze di un altro essere e lo colpiamo, viene colpita quella sconosciuta altra parte di noi stessi, del nostro proprio essere. Creonte, che rappresenta la Legge dello Stato -la Legge della mente- colpisce la Legge della famiglia -la Legge del cuore. Ma poi subito, lui stesso viene colpito nella Legge della famiglia, nel cuore: assieme ad Antigone muore suo figlio Emone. Così la tragedia di Antigone diventa la tragedia di due cadute umane, apparentemente separate, ma in qualche modo demoniaco collegate fra di loro. Le loro cadute seguono nella tragedia l’una dopo l’altra come in una immagine rovesciata. Pare che Sofocle, a cui è piaciuto a portare gli dei sul palco come protettori e difensori degli uomini, abbia considerato che le idee di giustizia di Antigone e Creonte e il loro modo di combattere per essa, non meritassero la protezione divina.
Voleva dirci che la giustizia di una legge è quella che non provoca scontri, ma li impedisce? Forse soltanto questa giustizia meritava la protezione divina. E quale sarebbe questa Giustizia? Se nessuno dei due princìpii, né quello di Antigone, né quello di Creonte, nessuno dei due modi di combattere per la giustizia, può essere accettato nella sua parzialità, vuol dire che la soluzione sta nel contemplare i due principi, nel pacificare la loro duplice natura. Forse soltanto quando questi opposti vengono messi in unione, in modo tale da creare l’armonia, sarà possibile raggiungere l’ideale di giustizia che è uguale per gli altri e per sé stessi, perché si basa sul riconoscere ‘l’altro’ dentro di noi.
Cosa per Antigone e per noi oggi significherebbe pacificare questi due
princìpii nella loro opposta natura? Forse nell’avere due funzioni, rappresentare due ‘personaggi’ non divisi fra di loro, come idealmente dovrebbero fare, per esempio, gli attori o i preti. Un prete rispettando alcune regole di purità, di ‘morale’, realizza la possibilità della sua presenza umana nel sacrale. Dall’altra parte della sua esistenza, lui non smette di essere un uomo profano. Oppure, un attore si identifica con la maschera che porta ma non smette mai di essere individuo che con la sua energia porta questa maschera.
Forse dopo aver riconosciuto ‘l’altro’ dentro sé stessi le idee di giustizia non sarebbero state così numerose.


Marijana



Indietro