INFERNO - CANTO X


Dall’Edizione integrale a cura di
Pietro Cataldi e Romano Luperini ed. Le Monnier Scuola
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
www.taote.it
www.taozen.it
www.teatrometafisico.it

 

Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle. 3
Il Maestro  prosegue il Viaggio  lungo un sentiero secreto (nascosto) tra il muro di cinta della citta` di Dite e i sepolcri , il Discepolo , giustamente,  lo segue. La Ragione che penetra l’inconscio  deve farlo tracciandosi un sentiero secreto  perché gli inizi della conoscenza di se stessi non possono che essere tali, “se-creti’ (distillati dal se`),  e mantenuti  cosi` per maggior  attenzione  e  concentrazione .
"O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com’a te piace,
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. 6

La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt’i coperchi, e nessun guardia face". 9
Poi l’allievo  chiede  alla Guida, chiamandola  virtu` somma (= coraggiosissimo)  se e` possibile vedere quelli che giacciono nelle  tombe, visto che i coperchi  sono levati  e nessono lo vieta. Conoscere  se stessi richiede  l’approfondimento   delle  componenti  interiori  della personalita`,  la conoscenza dell’Albero,  dei suoi centri,  Virtu` (Sephiroth)  e dei suoi sentieri,  Archetipi (cineroth). Prima pero` bisogna  avere il coraggio  di ‘scendere  agli  inferi’ per  permettere  alla  coscienza  della personalita` di conoscere le proprie  bucce,  le scorie, i vizi, (qelipoth)  dell’albero  capovolto  e giustamente  il Discepolo  ne chiede  l’approfondimento. 
E quelli a me: "Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati. 12

Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno. 15
 
Però a la dimanda che mi faci
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci". 18
E Virgilio (= il favorevole alla navigazione  interna)  gli spiega che quei sepolcri saranno  definitivamente  ‘chiusi’, annullati,  alla fine dei tempi, quando i corpi  torneranno  dalla valle di Iosafat  (= dal Giudizio finale del Signore). Li`, in quella parte  del girone  giace  Epicuro  (= che aiuta al bianco, che  e` d’ostacolo  al nero) con i suoi seguaci, quelli  che  ritengono  l’anima  morta insieme al corpo. Quando  si dimentica  l’Io Sono si perde di vista lo scopo della  incarnazione  (Dt. 6, 4-5 “Ascolta,  Israele: … Il Signore  e` uno solo. Amerai il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima , con tutte le forze.. ecc.”) e si diventa come  Epicuro , eretici  ( eresia =  ‘scelta’  - si sceglie  l’ego  invece  del Signore -). Poi la Guida, alla domanda posta,  se possibile  vedere  e parlare con i dannati  delle tombe, risponde  al Discepolo  che gli verra` data soddisfazione,  e pure al suo desiderio  inespresso .

E io: "Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’ hai non pur mo a ciò disposto". 21
L’Allievo si scusa, non vuol nascondere nulla alla sua Guida, ma non vuole nemmeno importunare,  visto che solo ora gli si permette di chiedere.  (cfr. Qo. 3,7 “… c’e` un tempo per tacere e un tempo per parlare … ecc.”.
"O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco. 24

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto". 27
Ed ecco che il Viandante viene  raggiunto da una voce: qualcuno gli chiede di fermarsi un poco, lo ha riconosciuto come Tosco (= della Toscana) , ma anche  tossico, velenoso, nemico,  perché  nativo della sua stessa patria a cui fu molesto, nocivo.
Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio. 30

Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai". 33
Alla voce  potente ed autorevole  che esce dal sepolcro, il Discepolo ha un moto di timore e si avvicina alla sua Guida che lo rimprovera: “ Girati, ecco  li` proprio quel Farinata (di  cui  avevi chiesto  a Ciacco) che si erge a mezzo busto dalla tomba”.
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36

E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: "Le parole tue sien conte". 39
Dante (= durante, colui che persevera) ha appena  fissato gli occhi  negli occhi dell’interlocutore  maestoso e fiero, che sembra sprezzare il suo ‘luogo’ di pena,  quando  viene spinto dalla Guida verso di lui con la raccomandazione: “ Che le tue parole siano conte (= conosciute, ponderate)”.
Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?". 42
Manente  (= che permane)  degli Uberti (= illustri) , detto Farinata ( = focaccia, cibo relativo al fuoco)  nel passato  e` stato  capo del partito  dei ghibellini,  nemici  dei guelfi, non ha conosciuto personalmente   il  Viandante, troppo  giovane,  e gli chiede  dei suoi antenati.
Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45

poi disse: "Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi". 48

"S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte",
rispuos’io lui, "l’una e l’altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte". 51
Alla richiesta di Farinata, Dante  dichiara  il nome della sua famiglia  guelfa,  e percio` nemica  degli Uberti. Farinata, orgoglioso, si vanta di aver  dispersi  i guelfi per due volte, allora il Viandante  ribatte  che essi sono tornati  in Firenze ogni volta, cosa che i ghibellini  non hanno imparato a fare.   Questa  lotta di ‘famiglie’,  se interiorizzata,  puo` essere  omologata  ad un  conflitto  interiori  tra aspirazioni  ed esigenze  diverse  in contrasto  tra loro, in cui alternativamente   i vincitori perseguitano  i vinti e non si arriva mai ad una pace  duratura;  tali conflitti possono  essere  anche  relativi  ad un  ‘passato’  dimenticato,  o ad altre incarnazioni .
Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s’era in ginocchie levata. 54
Da un altro sepolcro  compare  a questo  punto,  solo fino al mento , l’ombra di un altro personaggio:  e` Cavalcante  Cavalcanti , di famiglia guelfa, padre di Guido Cavalcanti,  amico di Dante.
Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, 57

piangendo disse: "Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?". 60
Il nuovo arrivato  guarda  intorno  al Viandante  sperando  di scorgere  qualcun’ altro,  vivo come lui, ma non c’e`nessuno,  e allora gli chiede: “Se vai attraverso questo luogo di pena  grazie all’altezza del tuo intelletto,  perché  mio figlio non e` con te?
E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". 63
 Le sue parole e ’l modo de la pena
m’avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena. 66
E il Discepolo a lui: “ Non vengo da solo, ho un Maestro  che  mi conduce  da Chi  tuo figlio Guido (= uomo di selva – e non spirituale-)  ebbe a disdegno.”  Dante  puo` rispondere  cosi` esaurientemente  perché ha riconosciuto  l’interlocutore.

 Di sùbito drizzato gridò: "Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?". 69

Quando s’accorse d’alcuna dimora
ch’io facëa dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora. 72
Improvvisamente  tutto fuori della tomba, Cavalcante  grida: “ Come, ‘ebbe’?   Non vive, dunque piu`?”  e all’esitazione di  Dante  si rintana nel sepolcro. I Cavalcanti (= coloro che cavalcano, che vanno a cavallo) padre  e figlio, dovrebbero saper cavalcare  le onde, i cavalloni  delle loro passioni e giungere  per mezzo di  guide (la ragione, la fede)  alla conoscenza  diretta  del Divino. Quando invece si fermano  alla ‘selva’, alla terrestrita`, alla materialita`,  si precludono  la scalata dell’Albero.  Guido, l’amico  del Discepolo  rappresenta  la sua specchiatura  ‘selvatica’ (materialistica)  e il padre  l’origine  di essa (l’ateismo): Cavalcante si dispera  per la morte  fisica del figlio non per la sua morte spirituale.
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa; 75

e sé continüando al primo detto,
"S’elli han quell’arte", disse, "male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto. 78
 Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa. 81

E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?". 84
Intanto  Farinata, rimasto  immobile, continua il discorso lasciato a mezzo:  “Se i miei non hanno imparato l’arte  di tornare dall’esilio,  cio` mi tormenta piu` di questa tomba.  Ma non passeranno cinquanta  lune ( 50 volti di Proserpina, dea della luna, cioe` 50 mesi - cinquanta e` il valore numerico dell’Archetipo della Temperanza,  che  insegna a moderare gli eccessi-)  che tu stesso conoscerai  quanto  e` pesante  l’esilio.

Essere mandati  in esilio  significa essere cacciati dalla propria terra, esilio (= ex solo), e sicuramente  e `molto  diverso dall’andare in esilio su richiesta del Se` (v. Gn.12 e relativo commento in  www.taote.it testi sacri), ma in entrambi  i casi l’esilio  puo` essere il modo migliore per imparare  cio` che  deve essere imparato  (v. commento  alla  2a parte del Mahabharata, ‘ l’Esilio ‘, in www.taozen.it cineforum). L’esilio e` un ‘luogo  altro’, diverso, dove le ‘regole’  sono diverse da quelle  abituali, e per sopravvivere si e` costretti  a rispettarle e ad accettarle. In un discorso interiorizzato,  si va in ‘esilio’ quando si ricerca la Verita` in un modo differente dal solito, in una diversa religione, in un diverso ambiente,  affrontando  difficolta` e rischi. Se si sopravvive,  il ritorno  in ‘patria’  diventera`  molto  proficuo.
Farinata poi chiede al Via-an-dante  perché mai il popolo fiorentino  sia cosi` spietato con i suoi.
Ond’io a lui: "Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio". 87
Dante spiega che la causa  della mancanza di pieta` e` dovuta al massacro  compiuto  da i ghibellini  sul fiume Arbia (= fiume dell’occidentale- corvo,  simbolo di morte ) che  fa emanare  nella ‘chiesa’, nell’assemblea  tali decreti,  perché ad ogni causa negativa  corrisponde  un effetto altrettanto negativo.
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
"A ciò non fu’ io sol", disse, "né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso. 90

Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto". 93
“Non fui solo io a compiere il massacro, che  certo fu motivato ”, protesta  scuotendo il capo  Farinata,“ ma fu’ io solo a salvare Firenze  dalla distruzione ”. Questo personaggio  benche` nobile, fiero e amante  di Firenze, la  citta `che fiorisce, non riesce ad andare oltre i suoi interessi mondani  personali e materialistici:  e` un eretico;  l’eresia  e` il vizio  corrispondente  alla qelipah che si oppone alla sepirah Tiphereth (= Bellezza), e` una forma di invidia  verso la Divinita`, tanto forte da ignorarLa  e considerarLa  non esistente  (= ateismo).  Qui Farinata rappresenta una specchiatura  ormai superata del Discepolo  sul Sentiero  che ora chiede  a lui anche una spiegazione.
"Deh, se riposi mai vostra semenza",
prega’ io lui, "solvetemi quel nodo
che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96

El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo". 99
Dante  augura  la pace ai discendenti di Farinata  e lo prega di sciogliergli un  nodo (= dubbio)  che ha ‘legato’ il suo giudizio:  gli sembra  che  i dannati  possano vedere il futuro, ma non il presente , e` vero?
"Noi veggiam, come quei c’ ha mala luce,
le cose", disse, "che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102

Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano. 105

Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta". 108
Farinata conferma al concittadino  cio` che ha gia` compreso:  i dannati possono vedere il futuro, ma ignorano del tutto il presente, e quando non ci sara` piu` futuro (alla fine dei tempi)  le loro conoscenze  saranno  definitivamente  annientate.  Come  gia` detto in precedenza   ( v. commento al canto  VI) nel mondo  astrale, anche  infero,  e` possibile  la visione del futuro, ma perché  non quella del  presente?  Perché  il pre-sente  (= prae-sens) implica l’esser-ci , contrario di assente, (= ab-sens) e i morti sono assenti, non ci sono piu`.
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: "Or direte dunque a quel caduto
che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto; 111

e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che ’l fei perché pensava
già ne l’error che m’avete soluto". 114
Dante , come punto dal rimorso, prega Farinata di far sapere  a Cavalcante che  il figlio e` ancora vivo e che non ha avuto la prontezza di dirglielo  perché  rifletteva sul dubbio ora risolto.
E già ’l maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu’ istava. 117
 Dissemi: "Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico
e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio". 120
Poi il Discepolo,  gia` richiamato dal Maestro,  vuol sapere chi altri si trova in quelle tombe e Farinata nomina,  tra piu` di mille,  due  dannati:  il Federico  (= potente in pace  al bianco, potente  in guerra, al nero) secondo  e il Cardinale  (= il cardine , Ottavio = ottavo), un  imperatore  ed un principe  della  chiesa , entrambi  ‘eretici’:  ‘potenze ‘ a servizio  dell’eresia , cioe` del materialismo,  dell’ateismo, dell’invidia  verso il Se`....

Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
poeta volsi i passi, ripensando
a quel parlar che mi parea nemico. 123

Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: "Perché se’ tu sì smarrito?".
E io li sodisfeci al suo dimando. 126
 
"La mente tua conservi quel ch’udito
hai contra te", mi comandò quel saggio;
"e ora attendi qui", e drizzò ’l dito: 129
 
"quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell’occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il vïaggio". 132
Farinata  esce di scena e rientra nel sepolcro, il Discepolo segue  il Maestro, ma  rimane  perplesso, come  smarrito,  al che Virgilio  lo esorta, drizzando il dito  (indicando il Cielo) a conservare  nella memoria le profezie udite, ne capira` il significato  quando, piu` tardi , incontrera`(contattera`, conoscera`) Beatrice,  quella il cui bell’occhio tutto vede, cioe` l’intelligenza intuitiva .
Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
per un sentier ch’a una valle fiede, 135

che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.

Poi i due  si incamminano verso sinistra, lasciano  il muro  e si dirigono al centro, prendendo  un sentiero che conduce ad una valle da cui proviene un lezzo  (= odore fetido) assai spiacevole. 



Indietro