INFERNO - CANTO XXVI


Dall’Edizione integrale a cura di
Pietro Cataldi e Romano Luperini ed. Le Monnier Scuola
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande! 3

Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali. 6
Il Nostro inizia il canto XXVI con un’invettiva contro la sua citta`: “Godi, Fiorenza; tu sei nota per terra e per mare, e la tua fama ora esplode in tutto l’inferno! Qui tra i ladroni ho trovato cinque tuoi cittadini, io me ne vergogno e certo la cosa non ti onora…”

Come detto in precedenza Fiorenza (= che fiorisce al bianco, che appassisce al nero) rappresenta il centro del cuore (Thiphereth = Bellezza) che dovrebbe fiorire nella personalita`, ma se in essa si sono insediati i cinque ladroni (dell’energia), le cinque punte del pentagramma capovolto (v. canto XXV vv.142 -151), tale centro puo` suscitare solo vergogna e disonore.
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. 9

E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss’ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com’ più m’attempo. 12
“…Se i sogni mattutini sono veri, tu presto sperimenterai cio`  che Prato (= pratum, da paratus, pronto = chi e` pronto, preparato) e altre citta` desiderano per te (la tua distruzione). E se cio` accadesse, sarebbe gia` tardi. Oh, accadesse subito cio` che deve accadere! Piu` mi pesera`, passando il tempo”.

Quanto prima si distrugge cio` che nell’albero capovolto reca ‘danno’ (dannazione), tanto meno  soffrira` la personalita`che  e` ‘pronta’, preparata alla purificazione.
Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n’avea fatto iborni a scender pria,
rimontò ’l duca mio e trasse mee; 15


 e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio
lo piè sanza la man non si spedia. 18

I due Pellegrini si allontanano, risalendo sui borni (rocce, dal francese ‘borne’, pietra di confine) la china prima scesa; la Guida va avanti, e tira su il Discepolo che si aiuta nel percorso solitario con i piedi e le mani, tra le schegge delle rocce.

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, 21

perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 24
 Il Poeta si affligge al pensiero di cio` che vede e frena la sua arte piu` del solito perché non si manifesti senza la guida della virtu` (modestia, discernimento, serenita`) affinche` lui stesso non vanifichi cio` che di bene ha ricevuto dalla Stelle e dalla Sorte, cioe` i suoi talenti (Mt. 25, 14 ss).
Quante ’l villan ch’al poggio si riposa,
nel tempo che colui che ’l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa, 27

come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov’e’ vendemmia e ara: 30

di tante fiamme tutta risplendea
l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. 33
Il fondo dell’ottava bolgia appare alla vista del Viandante tutto risplendente di fiammelle, come appare tutta piena di lucciole  la vallata al contadino che si riposa al tramonto, quando le mosche cedono il posto alle zanzare, la` dove vendemmia o ara.

Sono puniti nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio i consiglieri fraudolenti, cioe` coloro che con cattivi consigli circuiscono le loro vittime per il proprio vantaggio egoistico: le fiamme sono simili alle loro lingue malvagie che producono, guizzando, grandi incendi (disastri).

Nella Kabbalah la menzogna, la falsita`e la disonesta` sono vizi, scorie, che competono la qelipah (buccia), che si oppone alla sephirah Hod (Gloria, Splendore) relativa all’Intelligenza Perfetta, all’Onesta`, alla Veridicita`.
E qual colui che si vengiò con li orsi
vide ’l carro d’Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi, 36

che nol potea sì con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire: 39

tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra ’l furto,
e ogne fiamma un peccatore invola. 42
Le fiamme si muovono nella gola del fosso, giu` nel fondo, ognuna celando un peccatore, come la fiamma che celo` il carro del profeta Elia, mentre i cavalli salivano verso il cielo, alla vista di colui che si fece vendicare dagli orsi (Eliseo, il suo discepolo;  2 Re 2, 11-13)

Come nel canto XXIV il Poeta ha paragonato la rinascita dalle ceneri di Vanni Fucci, ladro fraudolento,  alla resurrezione della Fenice, simbolo del Cristo, cosi` in questo canto paragona la fiamma che cela i ‘consiglieri fraudolenti’ alla fiamma che avvolge il profeta Elia mentre ascende al Cielo, e come quello, anche questo paragone a prima vista ci sembra irriverente; ma se consideriamo che il profeta Elia (profeta = pro-phemi, parla al posto (del Se`); Elia = Yhwh e` il mio Signore) e` il ‘consigliere’ del popolo di Israele (popolo = Malkuth, la personalita`, Israele = colui che ‘ha combattuto col Signore e ha vinto il demone’) e manifesta la Parola (Verbo) dell’Io Sono, di Daath, la Coscienza, allora il paragone tra le due fiamme viene ad essere il paragone tra i due opposti modi di  consigliare: il consigliere fraudolento, dell’albero nero, consiglia per uno scopo egoico ed egoistico, e la sua fiamma lo nasconde e lo brucia all’inferno, il consigliere-profeta, dell’Albero bianco, consiglia per manifestare la Volonta` divina, e la sua fiamma lo nasconde e lo assume in Cielo.   v. www.teatrometafisico.it  sceneggiature bibliche: ‘Elia il Profeta’  int. cab.)
Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
sì che s’io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù sanz’esser urto. 45

E ’l duca, che mi vide tanto atteso,
disse: "Dentro dai fuochi son li spirti;
catun si fascia di quel ch’elli è inceso". 48
Il Discepolo, per vedere nella fossa, e` salito su una roccia e (ora) si deve aggrappare  ad una scheggia per non cadere; il Maestro che lo vede tanto interessato gli dice: “ Dentro i fuochi ci sono i dannati; ognuno e` avvolto dal fuoco che lo brucia”.
"Maestro mio", rispuos’io, "per udirti
son io più certo; ma già m’era avviso
che così fosse, e già voleva dirti: 51

chi è ’n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov’Eteòcle col fratel fu miso?". 54
E il Discepolo a lui: “Maestro mio, ora che lo dici, ne sono piu` sicuro, ma gia` lo pensavo, e voglio chiederti: chi c’e` in quel fuoco che viene verso di noi, formato da due lingue separate, che somigliano tanto alle fiamme del rogo di Eteocle e del fratello?”

(Eteocle e Polinice sono i due figli di Edipo, che, fratelli nemici, si uccisero l’un l’altro sotto Tebe per la successione al trono  v. www.taote.it  miti “Antigone di Sofocle” int. cab.)
Rispuose a me: "Là dentro si martira
Ulisse e Dïomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l’ira; 57

e dentro da la lor fiamma si geme
l’agguato del caval che fé la porta
onde uscì de’ Romani il gentil seme. 60

 Piangevisi entro l’arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d’Achille,
e del Palladio pena vi si porta". 63
Il Maestro risponde: “La` dentro scontano insieme la loro condanna Ulisse (= ferito alla coscia) e Diomede (= sacro a Zeus),  che insieme peccarono contro la Legge: subiscono la condanna per l’inganno del cavallo (di Troia), che apri` la porta alla nobile stirpe dei Romani. (da Troia incendiata fuggi` Enea, capostipite dei fondatori di Roma. v. in  www.taote.it  miti  “Il mito di Enea” int. cab.) Li` essi scontano l’astuzia che fa ancora soffrire Deïdamìa (= che doma i nemici) per l’abbandono del suo amato, Achille (= orfano, ma anche oscuro). (Questi si era nascosto, travestito da donna, nella reggia del padre di lei per non partecipare alla guerra; Ulisse  e Diomede lo scoprirono). Li` i due scontano la pena per aver rubato anche  il Palladio (= simulacro in legno della dea Atena che proteggeva la citta` di Troia).
"S’ei posson dentro da quelle faville
parlar", diss’io, "maestro, assai ten priego
e ripriego, che ’l priego vaglia mille, 66

che non mi facci de l’attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver’ lei mi piego!". 69
E il Discepolo a lui: “Se questi possono parlare dentro alla fiamma, ti prego, e ti riprego mille volte, fammici parlare senza indugio; aspettiamo che arrivino fin qui; vedi come mi sporgo verso di loro per il desiderio”.
Ed elli a me: "La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l’accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna. 72

Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
perch’e’ fuor greci, forse del tuo detto". 75
E  la Guida a lui: “La tua preghiera e` degna di lode, e l’esaudisco, ma tu taci. Perché costoro son greci e disdegnano la tua lingua volgare. Parlero` io: so cio` che vuoi chiedere”.

Solo la ‘Ragione’ e` qualificata per parlare con questo ‘fuoco’ non c’e` comunicazione tra la sua lingua e la lingua ‘volgare’, del popolo (Malkuth), della personalita`.
Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi: 78

"O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco 81

quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi". 84
Quando la fiamma biforcuta giunge vicino ai due, nel punto e nel momento ritenuto giusto dalla Guida, essa cosi` le si rivolge: “O voi che siete due in una sola fiamma, se ho avuto meriti con voi, mentre ero in vita, pochi o tanti, quando scrissi i miei alti versi, fermatevi, e uno di voi narri della sua morte.
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica; 87

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: "Quando 90
La punta piu` alta della fiamma inizia a scuotersi, come colpita dal vento, quindi come una lingua parlante comincia a rispondere: “Quando…”
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse, 93

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta, 96

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore; 99
“Quando lasciai Circe (= dal greco ‘kirkos’ = a cerchio, come la discesa dello sparviero che caccia) che mi aveva trattenuto per piu` di un anno nella sua dimora vicino a Gaeta ( = Cajeta dal greco ‘caio’ = brucio) prima che Enea le desse questo nome, (giunto ad Itaca) ne` la gioia per il figlio (Telemaco,) ne` il rispetto per il vecchio padre, ne` l’amore coniugale dovuto a  Penelope (= la tessitrice, ma anche ‘esposta’) poterono vincere in me il desiderio ardente di conoscere (ancora) il mondo e le virtu` e i vizi degli uomini…”
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. 102

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna. 105
“…Mi rimisi dunque in mare con una sola nave e con quei compagni che mi erano rimasti. Di tappa in tappa giungemmo in Spagna (= isola delle lepri), in Morrocco (Marocco, dall’arabo al maghrib = l’ovest piu` lontano), fino in Sardegna (= terra del sandalo) e nelle altre isole del Mediterraneo…”
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi 108

acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111
“…Eravamo vecchi e stanchi quando giungemmo alle colonne d’Ercole (= sacro ad Era), limite posto alla navigazione umana; a destra avevamo lasciato Sibilia (da radice ‘sib’ = soffio, parola), a sinistra Setta (da ‘saeptum’ = recinto, limite )…”
"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 114

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117
O fratelli’, dissi loro, ‘che attraverso innumerevoli pericoli siete giunti alla vigilia della fine,  (mancando cosi` poco alla termine della nostra vita) non vorrete rinunciare all’esperienza di conoscere, seguendo il sole,  il mondo disabitato che  sta al di la` (delle colonne d’Ercole)…’
Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza". 120

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti; 123

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. 126
“…‘…Considerate la vostra natura: non siete nati per vivere come bestie, ma per conseguire virtu` e conoscenza’. Con quel breve discorso io suscitai nei miei compagni un tale desiderio di proseguire, che, subito dopo, a fatica li avrei trattenuti; cosi`, rivolta la poppa (le spalle) ad oriente, come in un pazzo volo, usando i remi come ali, proseguimmo verso il lato mancino (a sud)….”
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo. 129

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, 132

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna. 135
“…Entrati nell’emisfero meridionale, potevamo vedere le stelle dell’altro polo, mentre erano sparite quelle del nostro. La luce del lato inferiore della luna si era accesa cinque volte e altrettante si era spenta dall’inizio del (temerario) viaggio, quando ci apparve una montagna, oscura per la distanza, la piu` alta che avessi mai vista (il Purgatorio)…”
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto. 138

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque, 141

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".

“…Noi ci rallegrammo, ma subito la gioia si muto` in dolore; da quella nuova terra si parti` un vento turbinoso che percosse la prua della nave. La fece girare per tre volte con tutte le acque, alla quarta sollevo` la poppa in alto e affondo` la prua in basso, secondo il Volere divino, fino a che il mare fu richiuso sopra di noi”.                                                                                                                  

 

Per quanto riguarda l’interpretazione cabalistica del mito di  Ulisse, l’Odisseo, v. www.taote.it  miti e relativo Albero cabalistico. In essa abbiamo detto  che  se Odisseo vuol dire "odiato",  oppure "che odia" e l' odio e` il vizio che si oppone all' Amore, tutta l'Odissea, la storia di Odisseo, non e` che la conquista di una unica Sephirah, (Tiphereth = Amore) che da "nera" diventa, attraverso mille peripezie, "bianca". Abbiamo considerato dunque tutto il viaggio "per mare" di Ulisse un percorso sull'Albero cabalistico di Yetzirah, astrale, relativo all'Acqua e le varie tappe del viaggio, penetrazioni delle Sephiroth di tale Albero, con la trasformazione delle energie erroneamente qualificate (compagni di Ulisse) in graduali "prese di Coscienza": queste successive illuminazioni riportano il nostro eroe in Patria, solo, nudo, senza navi e senza bottino di guerra ( possiamo considerare la partenza per Troia come la "caduta" iniziale che lo ha allontanato dal suo "paradiso terrestre")  e il ritorno a casa da Troia come il ritorno a Casa dell'Anima perduta nelle sue esperienze, nei suoi errori, nelle sue ansie di ricerca e  di avventure..Abbiamo omologato uomini e dei, vicende e passioni  a "scoperte di se stessi" a fatti interiori che permettono l' esplorazione della psiche e inducono alla riflessione e al superamento dei propri limiti e dei propri difetti.

Ora qui, nella Divina Commedia, ritroviamo il nostro eroe preferito, Ulisse, il vincitore del mondo astrale (il mondo delle ‘acque’) all’inferno, consigliere fraudolento, non solo dannato per quello che Dante considera il suo peccato maggiore (l’inganno), ma lo ritroviamo anche punito insieme ai suoi compagni (ma non era rimasto completamente solo?) con una morte ‘per acqua’ in piena contraddizione con le  avventure narrate da Omero nell’Odissea.

L’Ulisse del Nostro  e` il  ‘consigliere fraudolento’ (Hod capovolto) e anche e soprattutto il ’Folle arrogante’ (Tiphereth capovolto) del piano mentale  (Briah) capovolto  v. Albero cabalistico n. 1 dell’inferno. Nelle parole che il Poeta gli fa pronunciare ed anche nei significati dei nomi da lui ricordati Circe (= dal greco ‘kirkos’ = a cerchio, come la discesa dello sparviero che caccia = rapacita`),  Gaeta (= Cajeta dal greco ‘caio’ = brucio = violenza), Spagna (= isola delle lepri = rapidita`) Morrocco (= l’ovest piu` lontano = temerarieta`) Sibilia (sibilo, turbine = forza), Cetta (= recinto, limite da spezzare), ecc. ritroviamo tutti i significati relativi a tali collocazioni.  In questo Ulisse, personaggio della Divina Rappresentazione, concentrato di razionalita` e astuzia fraudolenta, viene anche condannato il disprezzo per la contro-parte sentimentale femminile Penelope (= esposta, abbandonata) e per gli affetti familiari (figlio, padre) dimenticati; nonche` l’uso sbagliato dell’intelligenza, e la totale mancanza di umilta` e di devozione; ma  non si puo` non percepire l’ammirazione  dell’autore per l’ardente sua brama di conoscenza, caratteristica peculiare dell’uomo, che da sempre l’ha spinto sulla strada del progresso e delle conquiste…Dunque  questo e`un Ulisse condannato, si`, ma pieno di fascino… E allora?

La risposta e`semplice: questo e` l’Ulisse (interiore) di Dante, mentre l’Odisseo e`  l’Ulisse (interiore) di Omero!



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