INFERNO - CANTO XXX


Dall’Edizione integrale a cura di
Pietro Cataldi e Romano Luperini ed. Le Monnier Scuola
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Nel tempo che Iunone era crucciata
per Semelè contra ’l sangue tebano,
come mostrò una e altra fïata, 3

Atamante divenne tanto insano,
che veggendo la moglie con due figli
andar carcata da ciascuna mano, 6

gridò: "Tendiam le reti, sì ch’io pigli
la leonessa e ’ leoncini al varco";
e poi distese i dispietati artigli, 9

prendendo l’un ch’avea nome Learco,
e rotollo e percosselo ad un sasso;
e quella s’annegò con l’altro carco. 12
Quando Iunone (Era) era tanto  infuriata con la stirpe dei Tebani a causa di Semele (=  che scuote le membra; figlia del re di Tebe, amata da Zeus, concepi` Dioniso; fu convinta dalla gelosissima dea  a chiedere di vedere lo splendore del suo amante e ne fu incenerita), Atamante (= che miete in cielo al bianco, negli abissi al nero, cognato di Semele) reso pazzo da Era, scambio` la moglie (Ino) che aveva i due figli per mano, per una fiera, dicendo: “Catturiamo la leonessa con i leoncini”, ne prese uno, Learco (= domatore di leoni) e, coi dispietati artigli,  con le mani crudeli, lo scaglio` contro un sasso, cosicche` la madre, disperata, si annego` con l’altro (Ovidio, Met. IV).

E quando la fortuna volse in basso
l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,
sì che ’nsieme col regno il re fu casso, 15

Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva 18

del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane;
tanto il dolor le fé la mente torta. 21
Quando il fato fece calare l’orgoglio dei Troiani  cosicche` il re e il regno furono distrutti, Ecuba (= dalla lunga vita, moglie del re Priamo), infelice, disgraziata e fatta prigioniera, dopo aver assistito all’uccisione della figlia Polissena (= ospitale, sacrificata sulla tomba di Achille) e ritrovato il cadavere del figlio Polidoro (= che fa o riceve doni) sulla riva del mare, inpazzi` e, forsennata, comincio` a latrare come un cane (Ovidio, Met. XIII).
Ma né di Tebe furie né troiane
si vider mäi in alcun tanto crude,
non punger bestie, nonché membra umane, 24

quant’io vidi in due ombre smorte e nude,
che mordendo correvan di quel modo
che ’l porco quando del porcil si schiude. 27
Ma  le Furie che scatenarono la follia tebana (di Atamante) o troiana (di Ecuba) non hanno mai invasato uomini o bestie tanto crudelmente come hanno colpito le due ombre smorte e nude che mordendosi, si vedono correre in questa decima bolgia, (impazzite) come il porco quando esce dal porcile.
L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo
del collo l’assannò, sì che, tirando,
grattar li fece il ventre al fondo sodo. 30
Una di loro giunge su Capocchio (= il balordo, che ha appena finito di ironizzare con il Viandante sui Senesi) lo azzanna dietro al collo e trascinandolo gli fa scorticare il ventre sul duro pavimento infernale.

Nella decima bolgia sono puniti i falsatori di metalli, cioe` gli alchimisti, i falsatori di persone, quelli di monete e quelli di parole. Per quattro diversi tipi di falsadori, quattro tipi di punizioni diverse: i primi, gli alchimisti, tutti coperti di croste come scaglie, per  la pena del contrappasso subiscono un tremendo prurito della pelle che li costringe a grattarsi e scrostarsi in continuazione: hanno corrotto la verita` e ora sono corrotti nella carne (v. canto XXIX). I secondi, i falsatori di persone, li vediamo qui, sono coloro che hanno finto di esssere altro da se`: in vita hanno falsato se stessi, ora ‘infuriati’ (posseduti dalle Furie)  sono degenerati in rabbiosa animalita` e sono divenuti causa di sofferenza per i loro simili: li aggrediscono e li azzannano. I terzi, i falsatori di monete, ne vedremo uno tra poco, hanno  corrotto il denaro per desiderio accanito di guadagno, la loro fame di ricchezza si e` tramutata in idropisia e sete inestinguibile. I quarti, che li seguono, i falsatori di parole, che follemente mescolarono menzogna a verita` ora hanno il cervello affuocato  dalla febbre e si oltraggiano vicendevolmente. Come detto in precedenza, per la Kabbalah compete questi dannati la quelipah del vizio della falsita`, che e` scoria della sephirah Hod (Splendore, Veridicita`). La quadruplice divisione che il Nostro attribuisce loro ci riporta ad un’altra quadruplice divisione, relativa ai quattro elementi: i primi che soffrono nella carne, possono essere omologati all’elemento terra, i secondi che soffrono per le Furie, possono essere omologati all’elemento aria; i terzi, idropici, che soffrono per la sete, all’elemento acqua, gli ultimi, che soffrono per la febbre, all’elemento fuoco; il tutto per una ennesima ricostruzione di un  alberetto cabalistico capovolto, tutto falsador, tutto falsatore, tutto nero…
E l’Aretin che rimase, tremando
mi disse: "Quel folletto è Gianni Schicchi,
e va rabbioso altrui così conciando". 33

"Oh", diss’io lui, "se l’altro non ti ficchi
li denti a dosso, non ti sia fatica
a dir chi è, pria che di qui si spicchi". 36
L’Aretino rimasto (Griffolino d’Arezzo, v. canto XXIX) tremando, dice: “Quel l’essere invasato (dalle Furie) e` Gianni Schicchi (schiccherare = bere allegramente vini e liquori, Giovanni = grazia al bianco, disgrazia al nero, percio`= ebbro disgraziato) e va, pieno di rabbia, conciando cosi` i dannati (come noi)”. E il Pellegrino a lui: “Se ancora tu non sei azzannato dall’altro dannato, dicci chi e`, prima che si parta da qui.”
Ed elli a me: "Quell’è l’anima antica
di Mirra scellerata, che divenne
al padre, fuor del dritto amore, amica. 39

Questa a peccar con esso così venne,
falsificando sé in altrui forma,
come l’altro che là sen va, sostenne, 42

per guadagnar la donna de la torma,
falsificare in sé Buoso Donati,
testando e dando al testamento norma". 45
 
E poi che i due rabbiosi fuor passati
sovra cu’ io avea l’occhio tenuto,
rivolsilo a guardar li altri mal nati. 48
E Griffolino al Viandante: “Quella e` l’ombra della sciagurata Mirra (= che distilla, che cola, madre di Adone, fu tramutata nell’albero che produce la mirra) amante del padre suo per insano amore. Giunse a tale peccato falsificando se stessa, fingendo di essere un’ altra (Ovidio, Met.X); e (Gianni Schicchi), quello che se ne sta andando, si finse Buoso Donati (= che, burroso, dona a se`stesso) facendo testamento al suo posto per appropriarsi dei suoi beni e della sua migliore cavalla”. Passati i due rabbiosi, sui quali Dante ha soffermato lo sguardo, ora egli volge la sua attenzione ad altri dannati (i falsificatori di monete).
Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia
tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.51

La grave idropesì, che sì dispaia
le membra con l’omor che mal converte,
che ’l viso non risponde a la ventraia, 54

faceva lui tener le labbra aperte
come l’etico fa, che per la sete
l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte. 57
Cosi` il Pellegrino nota uno che, se non avesse avuto le gambe, avrebbe potuto essere paragonato ad  un liuto. Costui e` afflitto da gravissima idropisia, malattia che, rendendo patologica l’eliminazione dei liquidi, altera le membra: il ventre si gonfia, il viso si smagrisce, e, per la sete inestinguibile, le labbra vanno una in su e l’altra verso il mento, rimanendo aperte, come avviene nel tisico.
"O voi che sanz’alcuna pena siete,
e non so io perché, nel mondo gramo",
diss’elli a noi, "guardate e attendete 60

a la miseria del maestro Adamo;
io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,
e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo. 63
Ed ecco che l’idropico  parla: “O voi che siete nel mondo del dolore senza condanna, ed io non capisco perché, guardate e considerate la miseria del maestro Adamo (= fatto di terra): io ebbi da vivo abbondanza di tutto;  ora, ahime`, desidero ardentemente solo una goccia d’acqua…”.
Li ruscelletti che d’i verdi colli
del Casentin discendon giuso in Arno,
faccendo i lor canali freddi e molli,66

sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
ché l’imagine lor vie più m’asciuga
che ’l male ond’io nel volto mi discarno.69
“…I ruscelletti che dai verdi colli del Casentino (valle chiusa) scendono giu` fino all’Arno (alveo), formando rivoli freschi ed umidi, mi stanno sempre davanti, e non invano, che la loro visione mi fa soffrire la sete piu` della stessa malattia da cui sono colpito…”
La rigida giustizia che mi fruga
tragge cagion del loco ov’io peccai
a metter più li miei sospiri in fuga. 72

Ivi è Romena, là dov’io falsai
la lega suggellata del Batista;
per ch’io il corpo sù arso lasciai. 75
“…La severa Giustizia che mi punisce trae motivo dal ricordo del luogo in cui peccai per farmi soffrire di piu`. Li` (nel Casentino) vi e` il castello Romena (dove l'acqua scorre) dove io falsificai la moneta (il fiorino fiorentino) con l’immagine del Batista (Giovanni il Battista), delitto per cui fui arso vivo…”
Ma s’io vedessi qui l’anima trista
di Guido o d’Alessandro o di lor frate,
per Fonte Branda non darei la vista. 78

Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate
ombre che vanno intorno dicon vero;
ma che mi val, c’ ho le membra legate? 81
“…Ma se io potessi vedere qui le anime perfide di Guido (= uomo di selva) o di Alessandro (= che salva al bianco, che perde al nero) o del loro fratello (i Conti di Romena che mi indussero a peccare) rinuncerei, pur di vederli, a tutta l’acqua di Fonte Branda (sorgente gorgogliante) Se le ombre arrabbiate che girano da queste parti dicono il vero, una (delle tre anime) e` gia` arrivata; ma a che mi serve (saperlo) se non posso andare a vederla?…”
S’io fossi pur di tanto ancor leggero
ch’i’ potessi in cent’anni andare un’oncia,
io sarei messo già per lo sentiero, 84

cercando lui tra questa gente sconcia,
con tutto ch’ella volge undici miglia,
e men d’un mezzo di traverso non ci ha. 87

Io son per lor tra sì fatta famiglia;
e’ m’indussero a batter li fiorini
ch’avevan tre carati di mondiglia". 90
“…Se io fossi ancora capace di muovermi e di percorrere in cento anni (anche solo) un’oncia (= dodicesima parte del piede), mi sarei gia` messo per via, cercandola tra tutta questa moltitudine deforme, benche` la bolgia misuri undici miglia di lunghezza per mezzo miglio di larghezza (ci vorrebbero quindi milioni di secoli). E` colpa loro (dei tre fratelli) se mi trovo qui, tra questa gente; mi indussero (loro) a coniare i fiorini (d’oro) con tre carati di metallo vile”.                                      Il Poeta ci offre qui  la misura della decima bolgia in miglia (11 x 0,50) e quindi due numeri: l’11, numero relativo all’Archetipo della ‘Forza’, e il 5, numero  relativo all’Archetipo del ‘Pontifex’. (v. in  www.taote.it   teatro  ‘Archetipi’)
Nella Kabbalah l’Archetipo della ‘Forza’ mostra una giovinetta che dolcemente domina un leone aprendogli le fauci, simbolo di una energia sottile capace di dominare la forza bruta, mentre l’Archetipo del ‘Pontifex’ mostra un Papa, un gran Sacerdote, con la tiara e la triplice croce e con ai piedi due fedeli, che rappresentano le energie della colonna di destra e della sinistra rese ‘fedeli’. La Forza e il Pontifex  sono i due sentieri (cineroth) che, capovolti, messi a servizio del male, formano l’area di questa fossa infernale.

E io a lui: "Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate ’l verno,
giacendo stretti a’ tuoi destri confini?".93

"Qui li trovai - e poi volta non dierno -",
rispuose, "quando piovvi in questo greppo,
e non credo che dieno in sempiterno.96

L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;
l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo".99

 E l’un di lor, che si recò a noia
forse d’esser nomato sì oscuro,
col pugno li percosse l’epa croia.102
E Dante a lui: “Chi sono quei due tapini che emanano fumo come le mani bagnate nel freddo dell’inverno, e che stanno li` stretti alla tua destra?”  Maestro Adamo gli risponde: “ Li trovai gia` qui, quando caddi in questa fossa, non si sono mai mossi e, credo, non lo faranno mai. Una e` la falsatrice (di parole, moglie di Potifarre) che accuso`ingiustamente Gioseppo
(Giuseppe = il Signore aggiunga) di aver tentato di sedurla (Gn. 39, 6-23 – v. ns/ “Commento alla Genesi in www.taozen.it  Testi sacri); l’altro e` Sinon (= dall’occhio funesto, Sinone greco, che persuase i Troiani con spergiuri a introdurre nella citta` il cavallo traditore ideato da Ulisse, v. ns/ interpretazione cabalistica del mito in www.taote.it   miti): entrambi emanano un lezzo di bruciato per la febbre intensa che li tormenta”. Uno dei due (Sinone), seccato di essere stato nominato in modo cosi` ignobile, (subito) gli percuote col pugno la pancia dura.

Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
col braccio suo, che non parve men duro,105

dicendo a lui: "Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
ho io il braccio a tal mestiere sciolto".108

Ond’ei rispuose: "Quando tu andavi
al fuoco, non l’avei tu così presto;
ma sì e più l’avei quando coniavi".111
Quella risuona come un tamburo e mastro Adamo risponde percuotendogli il braccio altrettanto duramente, e dicendo: “Anche se non posso muovermi per la pesantezza delle menbra, ho ancora il braccio adatto allo scopo” E l’altro gli risponde: “Quando ti hanno arso non l’avevi cosi` agile, ma lo avevi cosi` svelto e anche di piu` quando coniavi (le false monete)”.
E l’idropico: "Tu di’ ver di questo:
ma tu non fosti sì ver testimonio
là ’ve del ver fosti a Troia richesto".114

"S’io dissi falso, e tu falsasti il conio",
disse Sinon; "e son qui per un fallo,
e tu per più ch’alcun altro demonio!".117
E l’idropico a lui: “A proposito di questo sei veritiero, ma non lo fosti altrettanto a Troia (per il fatto del cavallo)” E Sinone a lui: “Io sono qui per un solo peccato, tu, che hai falsato tante monete, sei stato peggio di un demonio!”
"Ricorditi, spergiuro, del cavallo",
rispuose quel ch’avëa infiata l’epa;
"e sieti reo che tutto il mondo sallo!".120
 
"E te sia rea la sete onde ti crepa",
disse ’l Greco, "la lingua, e l’acqua marcia
che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!".123
E ancora quello della pancia gonfia: “Ricordati, spergiuro, dell’inganno del cavallo, e ti sia di tormento che la tua colpa e` nota a tutto il mondo”. E il Greco a lui: “ E a te sia di tormento la sete che ti screpola la lingua e l’acqua marcia che gonfia il ventre che ti ripara la vista”.
Allora il monetier: "Così si squarcia
la bocca tua per tuo mal come suole;
ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia,126

tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
e per leccar lo specchio di Narcisso,
non vorresti a ’nvitar molte parole". 129
Allora il falsatore di monete: “Cosi` si laceri la tua bocca per tua disgrazia come al solito; perché se io ho sete e sono idropico, tu hai l’arsura e la testa affocata, e basterebbero poche parole per invitarti  a leccare un’acqua (finta), come l’immagine riflessa di Narcisso
(Narciso, v. www.taote.it  miti)”
Ad ascoltarli er’io del tutto fisso,
quando ’l maestro mi disse: "Or pur mira,
che per poco che teco non mi risso!". 132

Quand’io ’l senti’ a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna,
ch’ancor per la memoria mi si gira. 135
 
Qual è colui che suo dannaggio sogna,
che sognando desidera sognare,
sì che quel ch’è, come non fosse, agogna, 138

tal mi fec’io, non possendo parlare,
che disïava scusarmi, e scusava
me tuttavia, e nol mi credea fare. 141
Il Discepolo e` tutto intento al battibecco, quando il Maestro gli dice: “Se continui a prestar loro attenzione, mi arrabbio con te!” Subito allora egli si volge vergognoso alla sua Guida.. Desidera scusarsi ma non potendo parlare per la vergogna, si scusa tacendo, senza credere di farlo…come quello che sognando il proprio male, desidera che il sognare sia solo un sogno, cosi` che desidera quello che e` come se non fosse…

"Maggior difetto men vergogna lava",
disse ’l maestro, "che ’l tuo non è stato;
però d’ogne trestizia ti disgrava. 144

E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,
se più avvien che fortuna t’accoglia
dove sien genti in simigliante piato:147

ché voler ciò udire è bassa voglia".

 

E il Maestro a lui: “Una vergogna minore cancellerebbe un errore maggiore del tuo, percio` non ti rattristare. E, se ti ricapita di assistere ad un’altra lite del genere, pensa che io ti sono accanto: perché voler ascoltare simili volgari e inutili discussioni e` desiderio abietto”.

Ci sembra che l’epilogo del canto con il severo rimprovero del Maestro al Discepolo sia la parte piu` importante dell’insegnamento offertoci qui dal Nostro. Interiorizziamo i due litiganti: uno e` un falsatore di monete, l’altro un falsatore di parole e litigano tra loro come i quattro capponi ancora vivi, legati per le zampe, che Renzo, porta all’avvocato Azzeccagarbugli nel cap. III dei ‘Promessi Sposi’ del Manzoni : “… Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie…le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’un l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Adamo (fatto di fango, idropico) e Sinone (occhio infausto, testa affocata) sono, come detto in precedenza (commento ai vv. 27-30) due vizi relativi all’acqua e al fuoco della ‘falsita`’; l’uno peggio dell’altro, si rinfacciano  le proprie ‘false’ prodezze,  causa di indicibili sofferenze, mentre la personalita` li sta a guardare, curiosa di vedere come va a finire. Chi vincera` dei due? Possono solo perdere entrambi. Per la personalita` (Dante) si tratta solo di curiosita`, ma e` come se ci fossimo accorti che sulla tavola, pronte per il pasto, ci son delle pietanze avariate con vermi e marciume e noi, invece di affrettarci a gettare via il tutto,  cominciassimo a frugare nei vermi e nel marciume per vedere come sono fatti…A chi giova? Al marciume e ai vermi che, attenzionati, si ingrassano e si inorgogliscono. La Mente dice alla personalita`: smettila di crogiolarti nei tuoi vizi, li stai solo alimentando; dacci un taglio, passa oltre:  Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, aveva detto nel canto III, v. 51. Il nostro male e` come una mela marcia che deve essere subito gettata via prima che guasti le altre mele (il nostro bene). Lo studio o la sezione del proprio ‘male’ puo` essere eseguito solo  per ‘conoscere se stessi’ con guanti e mascherina protettiva, (distacco, forza di volonta` e determinazione) onde evitare piu` dolorose contaminazioni, e soprattutto senza reclamizzare il fatto, cosa che invece regolarmente avviene nella nostra societa`, in cui sul ‘male’ si ricama per giorni e giorni, (v. fatti di cronaca nera su giornali, settimanali, Tv, internet  ecc…).  Anche Dante ha dimostrato per un attimo di aver dimenticato l’insegnamento del suo Maestro, ma si e` subito pentito e poi si e` perdonato.



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