PARADISO - CANTO I

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
 3

Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
 6

perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la
 memoria non può ire.
 9


Veramente quant’io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto.
 12
Potenza di Colui che muove ogni cosa si espande per ogni luogo, in parte più, in altra meno. Il Nostro ci confida di essere stato in quel ‘Luogo’ del creato in cui la Sua Luce risplende al massimo (l’Empireo), e di aver visto cose che non sa né può raccontare; perché accostandosi l’intelletto a Quello a cui anela (con tutto se stesso), ci si perde e la memoria non lo assiste. Veramente (dal latino ‘verum’ = tuttavia) di quanto nella sua mente ha fatto tesoro, quello sarà materia della sua poesia.                                 

In realtà voler descrivere l’Indescrivibile è utopistico, ciononostante chi Lo ha sperimentato (il mistico) è in grado di comunicare qualcosa agli altri perché la sua parola parlando di Quello ne veicola, attraverso misteriose e sottili vie, una qualche eco che può risuonare nella nostra capacità intuitiva;  in altre parole se Dante ci parla attraverso la sua ‘Beatrice’, possiamo intendere quello che ci dice attraverso la nostra ‘Beatrice’, non da mente a mente ma da Spirito a Spirito, da Coscienza a Coscienza, da Daath a Daath.
O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l’amato alloro.
 15

Infino a qui l’un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
 18

Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue.
 21
lavoro egli chiede aiuto al dio delle arti, Apollo (dal greco ‘apollio’ = disperdo, distribuisco) che distribuisce il ‘valore artistico’, affinché gliene conceda tanto quanto è necessario per ottenere l’alloro (il riconoscimento della grandezza dell’artista); finora sono state le Muse, che governano una delle due cime del Parnaso (dal greco ‘larnassos’, dove si fermò l’arca di Deucalione, il Noè greco)  a soccorrerlo, ma ora, per quest’ultima fatica, egli necessita dell’aiuto sia delle tecniche artistiche delle Muse, sia dell’ispirazione divina di Apollo. Dante gli chiede dunque  di entrare in lui e di spirare, cioè ‘cantare’ come quando, sfidato da Marsia sfoderò (vagina = fodero) il presuntuoso dalla sua pelle. (Marsia era un satiro che col suo flauto volle competere con la divina cetra del dio, fu vinto e scorticato vivo per punizione).

Apollo, quale dio solare, a cui il Nostro si rivolge per essere illuminato nella sua opera, può essere omologato alla Sephirah Tiphereth (Bellezza, o anche Compassione),  che appartiene alla colonna centrale dell’Albero ed è la sintesi di Chesed (Giustizia o anche Bontà) e Geburah (Forza o anche Giudizio); Tiphereth corrisponde al cuore dell’Albero, quindi Dante sta ponendo una particolare attenzione sul suo centro del cuore e lo stesso dovremmo far noi per poterlo meglio con-prendere. 
O divina virtù, se mi ti presti
tanto che l’ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
 24

vedra’ mi al piè del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.
 27
Nostro invoca quindi il dio affinché gli si conceda quel tanto che gli permetta di manifestare il ricordo sbiadito che ha nella mente del beato Regno, cosicché egli possa poi accostarsi all’alloro e farsene corona per quanto ne sarà divenuto degno, in grazia della materia dell’argomento e del dio stesso.
Sì rade volte, padre, se ne coglie
per trïunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l’umane voglie,
 30

che parturir letizia in su la lieta
delfica deïtà dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta.
 33

Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda.
 36
di rado (in questi tempi di decadenza) anche imperatori e poeti cercano la gloria, e ciò è dovuto ai meschini desideri umani, quindi quando qualcuno aspira ad essa, già il solo fatto dovrebbe allietare il dio di Delfo. Un grande incendio nasce da una piccola favilla: forse, sull’esempio del Nostro, altri poeti riusciranno a far meglio di lui con l’aiuto di Cirra (la cima del Parnaso dedicata ad Apollo.  L’alloro, a lui sacro, è detto fronda peneia perché Dafne, figlia di Peneo, per sfuggire al dio che la inseguiva, chiese aiuto alla madre Gea che la tramutò in quell’arbusto).

Notiamo qui che Dante accosta l’imperatore, cesare, al poeta, ponendoli sullo stesso piano; per lui  il poeta ha la funzione di guida e di sprone per la società pari in importanza e dignità a quelle di chi organizza gli stati con la giustizia e il potere; è perciò ben consapevole del suo valore e della sua responsabilità verso la collettività. Il poeta, e gli artisti in genere, proprio perché dotati di ‘talenti’ particolari dovranno risponderne alla fine della vita (cfr. ‘la parabola dei talenti’ in Mt. 25, 14-30 e ns/ interpretazione cab. in www.taozen.it  Testi sacri).  
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
 39

con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
 42
sole manda i suoi raggi alla terra da diversi punti, ma quando i cerchi (dell’equatore, dello zodiaco e del coluro equinoziale) intersecano quello dell’orizzonte, formando tre croci, si verificano insieme tre eventi particolarmente favorevoli: la primavera, il mezzogiorno e la costellazione dell’Ariete; allora l’astro può plasmare meglio la mondana cera, cioè l’umanità.

Ancora un accenno al Sole (ovviamente non solo fisico), Tipherth dell’Albero; il tempo della primavera, l’ora del mezzogiorno, il segno dell’Ariete sono elementi che creano il momento favorevole per il compimento dell’ ‘Opera’ alchemica.  Lo sviluppo del centro del cuore, Tiphereth  è propedeutico allo sviluppo del centro della Coscienza Daath. Inoltre i numeri quattro e tre insieme danno il ‘sette’, numero delle Virtù (quattro cardinali e tre teologali) che coltivate nel cuore, formando un Albero cabalistico ridotto ma completo, ne permettono la totale fioritura.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e l’altra parte nera,
 45

quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia sì non li s’affisse unquanco.
 48
 Così, con la situazione favorevole di cui sopra, qui, nel Paradiso terrestre, è mezzogiorno e sulla terra mezzanotte; l’emisfero di qua è tutto illuminato e quello di là al buio; intanto Beatrice è rivolta verso sinistra e guarda intensamente verso il sole: mai aquila poté fare altrettanto.
E sì come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole,
 51

così de l’atto suo, per li occhi infuso
ne l’imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.
 54
da un primo raggio di luce se ne genera un secondo che risale su, come un pellegrino che desidera tornare (a casa), così dall’azione di Beatrice recepita da Dante, nasce la sua azione: anch’egli fissa (direttamente) il sole, come non è mai possibile faccia l’uomo (sulla terra).

Molto è licito là, che qui non lece
a le nostre virtù, mercé del loco
fatto per proprio de l’umana spece.
 57

Io nol soffersi molto, né sì poco,
ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
com’ ferro che bogliente esce del foco;
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e di sùbito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d’un altro sole addorno.
 63
Nostro, giunto nell’Eden, il luogo di felicità destinato alla specie umana prima della caduta, può fare ciò che sulla terra non è possibile (perché si è purificato ed è tornato alla primitiva innocenza). Egli però non sopporta di fissare il sole a lungo, ma lo fissa tanto da vederlo scintillare all’intorno, come un ferro che esce dal fuoco, e subito gli pare che la luce raddoppi, come se Colui che tutto può, avesse adornato il cielo di un secondo sole.
Beatrice tutta ne l’etterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di là sù rimote.
 66

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fé Glauco nel gustar de l’erba
che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
 69

Trasumanar significar per verba si poria; però l'essemplo basti
cui esperïenza grazia serba. 72

Dante distoglie gli occhi dal sole, li fissa in quelli di Beatrice e guardando in quegli occhi diventa come Glauco (= ceruleo scintillante; pescatore che, avendo posato alcuni pesci su un’erba, li vide rivivere e guizzare nell’acqua); egli mangiò quell’erba e si gettò in mare, e Oceano e Teti ne fecero un dio marino. Non si può descrivere a parole il significato di trasumanar (andar oltre l’umano), ma l’esempio è sufficiente per chi ha la Grazia di provare questa esperienza.

Allorché la personalità fissa gli occhi negli occhi della sua ‘Beatrice’ e riesce a sostenerne lo sguardo, immergendosi in Lei, l’impossibile diviene possibile, l’umano diviene divino, perché in Daath il Malkuth si indìa.

S’i’ era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che ’l ciel governi,
tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
 75

Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
con l’armonia che temperi e discerni,
 78

parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso.
 81
Signore che governa tutto con Amore, che ha sollevato il Nostro a Sé per farlo salire in Cielo, sa se egli era anche con il corpo fisico o solamente con quello mentale. (cfr. Seconda  Lettera ai Corinzi 12, 3 di S. Paolo: ‘…E so che quest’uomo - se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito in paradiso…’ E quando la rotazione (dei cieli) che il Signore fa durare in eterno perché essi desiderano ricongiungersi a Lui, lo attira con la sua armonia, ecco che gli pare di vedere la fiamma del sole espandersi tanto nell’aere da diventare  come un lago immenso.

Anche noi ci chiediamo, come Dante e come S. Paolo, se nell’esperienza mistica ci sia anche il corpo fisico e ci rispondiamo di sì, perché finché siamo vivi e raccontiamo le nostre esperienze ad altri vivi, è proprio il fisico che col ricordo testimonia quel particolare avvenimento, pure se di un piano sottile. Quando si sogna (e il sogno fa parte di un mondo che non è fisico, ma astro-mentale) abbiamo sempre il corpo come realtà di riferimento; certo la coscienza di veglia deve venir meno, perché se il corpo non ‘dorme’ il sogno non si produce. La stessa cosa avviene per l’esperienza mistica, che è un ‘sogno’ spirituale: il corpo fisico deve raggiungere un particolare stato di ‘sonno’, uno stato di meditazione speciale, o meglio di contemplazione, tale da accogliere l’esperienza mistica, che ‘accade’ non sul fisico, ma col fisico.
La novità del suono e ’l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.
 84

Ond’ella, che vedea me sì com’io,
a quïetarmi l’animo commosso,
pria ch’io a dimandar, la bocca aprio
 87

e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l’avessi scosso.
 90
La novità del suono e la grande luce accendono in Dante un intenso desiderio, mai provato prima, di conoscerne la causa. Beatrice, che legge in lui come lui stesso, prima che domandi, per quietargli l’animo turbato, gli risponde: “Ti rendi grosso (ottuso) con false congetture, così che non intendi ciò che intenderesti se non le alimentassi…”
Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch’ad esso riedi".
 93

S’io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu’ inretito
 96

e dissi: "Già contento requïevi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com’io trascenda questi corpi levi".
 99
“…Tu non sei più sulla terra come credi, ma il fulmine, allontanandosi dalla sua sorgente (nel medioevo si credeva che il fulmini provenissero dalla sfera di fuoco) non corse mai tanto come te, che torni alla tua Origine”. Ma ora che il Discepolo si è liberato del primo dubbio, grazie alle sorridenti poche parole di Lei, subito viene afferrato da un altro e dice: “Mi sono acquietato di un grande stupore, ma ora mi stupisco di potermi innalzare su questi corpi così lievi (l’aria e il fuoco)”.
Ond’ella, appresso d’un pïo sospiro,
li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,
 102

e cominciò: "Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante.
 105

Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
 108
Allora Beatrice, con un sospiro pietoso si volge verso il suo Fedele con l’atteggiamento della madre verso il figlio che delira (per la febbre) e gli dice: “Le cose tutte hanno un ordine tra loro e questo  rende l’universo simile al Creatore. In tale Ordine le anime grandi riconoscono l’impronta del Divino Potere, che è il fine di ogni cosa creata…”
Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
 111

onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
 114
“…Nell’ordine di cui ti parlo ogni essere riceve la sua inclinazione a seconda delle qualità ricevute, più o meno vicine al loro Principio, per cui ciascuno si muove verso il suo porto nel grande mare dell’esistenza, guidato dall’istinto che gli è stato dato…”
Questi ne porta il foco inver’ la luna;
questi ne’ cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna;
 117

né pur le creature che son fore
d’intelligenza quest’arco saetta,
ma quelle c’ hanno intelletto e amore.
 120
“…Questo istinto guida il fuoco verso l’alto, muove i cuori degli esseri mortali (gli animali), unisce e compatta la terra; e non solo, esso guida anche le creature che hanno intelletto, amore (e volontà, cioè gli uomini e gli angeli)…”
La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
nel qual si volge quel c’ ha maggior fretta;
 123

e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto.
 126
La Provvidenza (= che ‘vede davanti’, Motore Immobile) che tutto così mirabilmente ordina, appaga della sua Luce (rende quïeto) il Cielo (l’Empireo) in cui ruota il Primo Mobile, il cielo più veloce; ed ora lì, come al luogo di destinazione, ci conduce la forza di quella corda che indirizza verso la felicità ciò che scocca…”
Vero è che, come forma non s’accorda
molte fïate a l’intenzion de l’arte,
perch’a risponder la materia è sorda,
 129

così da questo corso si diparte
talor la creatura, c’ ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte;
 132

e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l’impeto primo
l’atterra torto da falso piacere.
 135
“… Ed è pur vero che, come a volte il lavoro non corrisponde all’intenzione dell’artista, perché la materia è sorda alla risposta, cioè non obbedisce, così a volte da questo indirizzo si allontana l’uomo che, pure ben inclinato, per il libero arbitrio ha la possibilità di disobbedire; e come si vede cadere il fulmine dalla nube, così egli, spesso, attirato da un falso piacere, si volge alla terra invece che al cielo…”
Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d’un rivo
se d’alto monte scende giuso ad imo.
 138

Maraviglia sarebbe in te se, privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’a terra quïete in foco vivo".
 141

Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.

“…Non devi meravigliarti del tuo ascendere: è naturale come per un fiume scendere da monte a valle. Dovresti meravigliarti se, privo di ostacoli (purificato come sei), fossi rimasto giù, come desterebbe meraviglia sulla terra una fiamma guizzante immobile”. Detto questo, Beatrice (tacendo) volge il viso verso l’alto.

La spiegazione che Beatrice dà al Discepolo del suo ‘ascendere’ è assai semplice: nell’Universo (= Cosmo) tutto è ‘Ordine’ e poiché ogni cosa segue la sua naturale inclinazione che la dirige verso il suo destino, essendo l’uomo destinato a ricongiungersi con l’Assoluto, e non essendoci più i lacci del peccato a trattenerlo, egli, sorretto dalle Virtù, è naturalmente attratto dalla Luce divina.  E’ qui indicata ‘la Via della Freccia’ della Kabbalah, quella della colonna centrale dell’Albero: la personalità (Malkuth) che si è purificata in Yesod (il Fondamento), che ha fatto fiorire Tiphereth (la Bellezza), che ha ‘visto’ negli occhi Daath (la Coscienza, l’Io Sono, il Cristo), in questa e per questa  Sephirah può arrivare a conoscere  Kether (la Corona).


 

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