PARADISO - CANTO XXIV

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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«O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
sì, che la vostra voglia è sempre piena, 3

se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba, 6

ponete mente a l’affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». 9
“ O comunità di eletti, scelti per partecipare al convito del benedetto Agnello (Cristo) che vi ciba (dal latino  ‘ciborium’ = tabernacolo che contiene la pisside con le particole consacrate)  in modo che siate sempre sazi, se costui (Dante), per grazia divina, può pregustare prima della morte le briciole della vostra mensa, esaudite un poco il suo immenso desiderio, voi che continuamente bevete alla fonte (della Sapienza, dell’Acqua di Vita) a cui egli pure vuol attingere”.

 

Il Cristo, l’Io Sono, Daath, rappresenta sia l’Agnello Sacrificale che toglie il peccato dal mondo e che offre il suo corpo per il nutrimento dei suoi: “Prendete e mangiate questo è il mio corpo” (Matteo 26, 26; v. in www.taozen.it Testi sacri, relativo commento), e sia l’Acqua di fonte che dà la Vita Eterna, infatti nel vangelo di Giovanni (Gv. 1, 29; v. in www.taozen.it Testi sacri il relativo commento) è detto: ‘...Giovanni (Battista) vedendendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’Agnello del Signore, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!”... ’. E ancora (in Gv. 4, 13-14; idem) è detto: ‘Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete: ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diverrà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”...’. Egli, essendo il Malkuth del piano Spirituale, Atzilutico, ne rappresenta la ‘Terra’, il Verbo che si fa ‘Carne’: le Sue ‘Briciole’ e le Sue ‘Acque’ alimentano e dissetano come Coscienza la personalità (Dante).

Così Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, volte, a guisa di comete. 12

E come cerchi in tempra d’orïuoli
si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l’ultimo che voli; 15

così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente. 18
Queste le parole di Beatrice (agli spiriti trionfanti dell’ottavo cielo delle stelle fisse) e quelle anime beate subito iniziano a formare dei cerchi ruotando, quasi comete intorno a perni. E come negli orologi le ruote girano in modo che, a chi le guarda, la prima sembra ferma e l’ultima sembra che voli,  così quelle ruote di beati, girando più lente o in più in fretta, mostrano al Nostro il loro diverso grado di letizia.

 

Avevamo attribuito agli spiriti trionfanti di questo ottavo cielo la Sephirah Binah (Comprensione) v. commento al Paradiso canto XXIII vv. 70-75, ed ecco che le loro carole (= danze, dal latino ‘caraulare’ = ballare in cerchio) più o meno rapide, paragonate alle ruote degli antichi orïuoli ( dal greco ‘horologion’ = misuratore delle ore), sembrano voler confermare l’attributo di Binah quale ‘Forma’ che contiene la Vita, la organizza, ma anche la limita (nel cerchio chiuso), la vincola proprio come fa il Tempo, che è Principio di Morte e di Rinnovamento; infatti per poter essere sempre nuovi bisogna morire al vecchio (v. commento al Paradiso canto XXIII vv. 85-96).
Di quella ch’io notai di più carezza
vid’ ïo uscire un foco sì felice,
che nullo vi lasciò di più chiarezza; 21

e tre fïate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice. 24

Però salta la penna e non lo scrivo:
ché l’imagine nostra a cotai pieghe,
non che ’l parlare, è troppo color vivo. 27
Dante nota (in particolare) tra le luci, una di più carezza (= dal latino ‘caritia’ = preziosità, o di più bellezza, secondo altri commentatori) e ne vede uscire un fuoco talmente ricolmo di letizia da sorpassare ogni altro; questo spirito compie tre giri intorno a Beatrice cantando una melodia così divina da  non poter essere ricordata dalla sua fantasia. Perciò non la descrive anche perché sia l’immaginazione, sia la parola umana, sono inadatte a tale scopo (non hanno le sfumature adeguate).

 

I tre giri compiuti dalla Luce ‘più preziosa’ di questo cielo (Maria, la Rosa, è già risalita nell’Empireo), rendono preziosa anche Beatrice (l’Intuizione di Dante) mentre la melodia celestiale che si ode diventa sempre più indescrivibile per bellezza e dolcezza: solo il silenzio rende Giustizia alle esperienze dei cieli più alti, tuttavia anche la sola descrizione-non-descrizione riesce a veicolare qualcosa nei livelli coscienziali più bassi.
«O santa suora mia che sì ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe». 30

Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzò lo spiro,
che favellò così com’ i’ ho detto. 33
“O santa sorella mia, che preghi così devotamente, per la tua ardente carità esco dal cerchio (dei beati per esaudirti)”. Queste sono le parole che quello spirito di fuoco rivolge a Beatrice, dopo essersi fermato.
Ed ella: «O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, 36

tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi. 39

S’elli ama bene e bene spera e crede,
non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi
dov’ ogne cosa dipinta si vede; 42

ma perché questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a glorïarla,
di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». 45
E Beatrice a lui: “O luce eterna di quel grande al quale Nostro Signore lasciò le chiavi della beatitudine (il Paradiso) che Egli ha riportato in terra, tenta (= dal latino ‘temptare’ = tastare), esamina a tuo piacere costui su temi essenziali e secondari riguardanti la Fede, quella stessa per la quale tu hai camminato sulle acque (Matteo 14, 28-29). Tu conosci già, perché lo leggi nella Mente divina, che egli ama e spera il Bene, ma poiché questo Regno è popolato da spiriti di vera Fede, è bene che egli ne parli, per glorificarla”.

 

La luce di più carezza di questo cielo, colui che detiene le chiavi del Paradiso,  si offre per esaudire la richiesta di Beatrice e questa invece di permettere al suo Amato, come al solito, di porre alcune domande per placare la sua sete di conoscenza, invita s. Pietro a sottoporlo ad un ‘esame’ sulla Fede, non perché egli potrebbe esserne mancante, dice, ma per glorificare questa Virtù. Abbiamo qui l’incontro tra la personalità (Dante) e il suo s. Pietro interiore. Sul significato del nome Pietro abbiamo già detto nel canto XXI vv. 121-123: Pietro significa ‘la Pietra, fondamento del Tempio’ (v. in www.taozen.it Testi sacri commento al vangelo di Matteo 16, 18: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevaranno contro di essa’). Noi ci chiediamo: perché a questo punto del Viaggio un esame sulla Fede,  e perché proprio con s. Pietro come esaminatore? Forse perché Pietro, la Pietra, rappresenta quella componente della personalità che ha conosciuto il suo Cristo interiore e dopo avergli assicurato che non lo rinnegherà mai, v. Matteo 26, 33-35: ‘... “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai”. Gli disse Gesù: “In verità ti dico questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte” E Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te non ti rinnegherò” ...’ Poi invece lo tradisce tre volte, v. Matteo 26, 69-75: ‘...Allora egli cominciò ad imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo (Gesù, il Cristo)!” E subito un gallo cantò...ecc..’. Inoltre anche il verso ... la fede, per la qual tu su per lo mare andavi cela in realtà la non-fede di Pietro, v. Matteo 14, 28-32: ‘... Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!” Subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”...’ Finché siamo vivi corriamo sempre il pericolo di tradire il nostro Sé, ma se la professione di Fede avviene in uno stato di estasi mistica (di Coscienza Daatica, davanti al ‘Pietro di Atziluth’), sarà come un sigillo impresso nell’anima, che non potrà essere né dimenticato, né tantomeno cancellato, una volta tornati allo stato di coscienza assianica.
Sì come il baccialier s’arma e non parla
fin che ’l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla, 48

così m’armava io d’ogne ragione
mentre ch’ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione. 51

«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che è?». Ond’ io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo; 54

poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch’ ïo spandessi
l’acqua di fuor del mio interno fonte. 57
Come il baccelliere (= dal latino ‘bacalarius’ + ‘laureatus’ = studente universitario) al fine di rispondere e colloquiare si prepara e tace fino a che il professore non gli pone la domanda, così il Nostro, mentre Beatrice parla, predispone vari ragionamenti, per essere pronto ad impegnarsi con tale esaminatore (s. Pietro, v. Paradiso canto XXII vv. 136-139) su tale argomento (la Fede). Ed ecco la (sua) prima domanda: “Dimmi, buon seguace del Cristo, spiegati: che cosa è la fede (per te)?” Allora Dante alza il viso verso quella luce che ha posto la domanda, quindi guarda Beatrice che subito gli fa cenno di esprimersi (di far uscire l’acqua della conoscenza dalla sua fonte interiore).

 

In ogni ragionamento basato su concetti astratti conviene chiarire il significato delle parole, s. Pietro chiede al Nostro che cosa è per lui la Fede ed egli, prima di rispondere, aspetta l’assenso di Beatrice: la sua risposta deve avere l’imprimatur dell’Intuizione, sarà Lei stessa ad ispirarlo.
«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,
comincia’ io, «da l’alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi». 60

E seguitai: «Come ’l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo, 63

fede è sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate». 66
E Dante a lui: “La Grazia che mi ha concesso di dichiarare il mio credo al primipilo (dal latino ‘primipilus’= capo centurione dell’esercito d’avanguardia) mi faccia esprimere bene i miei concetti  al primo pontefice e capo della Chiesa militante. Come ha scritto colui che con te ha condotto Roma sulla via della Verità (s. Paolo), il significato della Fede è:  sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi”.

 

Fede (dal greco ‘feithè’ = ho fiducia, mi fido), implica una credenza ferma in qualcosa, il mantenere una promessa (v. fede nuziale); Fede era una divinità allegorica romana, personificazione della onestà e della lealtà, raffigurata con un cane ai suoi piedi.

Dante fa sua la definizione paolina di Fede: la Fede è la base di tutte le speranze e la prova di ciò che non si può conoscere. La Fede è l’insieme delle verità rivelate di una religione a cui bisogna credere per dogma, senza discutere, altrimente si incorre nell’eresia. E’ comprensibile che il Nostro con il suo ‘Credo’ in questo canto, voglia evitare ogni parola che possa farlo accusare di essersi allontato dall’ortodossia.

Allora udi’: «Dirittamente senti,
se bene intendi perché la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti». 69

E io appresso: «Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di là giù son sì ascose, 72

che l’esser loro v’è in sola credenza,
sopra la qual si fonda l’alta spene;
e però di sustanza prende intenza. 75

E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz’ avere altra vista:
però intenza d’argomento tene». 78
E a lui s. Pietro: “E giusto ciò che dici, se intendi bene  perché (Paolo) l’ha posta prima tra le sustanze e poi tra gli argomenti”. E Dante subito a lui: “Le cose misteriose che qui possono essere comprese, agli occhi dei terrestri sono così incomprensibili che possono essere credute solo per fede, su cui si fonda la grande speranza (della Vita eterna, della Resurrezione, del Paradiso ecc.): perciò la Fede viene detta sustanza, cioè ‘fondamento’ di tale speranza. E noi da questa Fede, senza ulteriori prove, ragionando, dobbiamo giungere alla verità; per questo è intenza (denominata)  argomento, cioè ‘ragionamento’.”
Allora udi’: «Se quantunque s’acquista
giù per dottrina, fosse così ’nteso,
non lì avria loco ingegno di sofista». 81

Così spirò di quello amore acceso;
indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
d’esta moneta già la lega e ’l peso; 84

ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».
Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
che nel suo conio nulla mi s’inforsa». 87
E la voce di s. Pietro: “Se in terra tutti gli insegnamenti fossero appresi così, non ci sarebbero sofismi (argomentazioni cavillose)”. Poi quello spirito di ardente carità aggiunge: “Ciò che hai detto della Fede è perfetto come una moneta (d’oro), di ottima lega e peso, ma tu la possiedi nella tua borsa?” E Dante: “Sì, e così lucida e perfetta che non ho alcun dubbio in proposito”.

 

L’esaminatore, s. Pietro, ha ascoltato la definizione ortodossa (paolina) della Fede dell’ esaminando Discepolo, ma quello che conta sapere è se tale moneta (d’oro), se tale ricchezza, la Fede, si trova nella sua borsa (dal greco ‘byrsa’ o ‘bursa’ = pelle), cioè proprio in lui, nella sua ‘pelle’; e la risposta affermativa è diretta, netta, inequivocabile.
Appresso uscì de la luce profonda
che lì splendeva: «Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtù si fonda, 90

onde ti venne?». E io: «La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch’è diffusa
in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, 93

è silogismo che la m’ha conchiusa
acutamente sì, che ’nverso d’ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa». 96
E ancora la voce proveniente da quella luce splendente si fa udire: “ Da dove ti è giunta questa gemma preziosa (la Fede) su cui si fonda ogni virtù?” E Dante: “Dall’abbondante pioggia (di Grazia) dello Spirito Santo (cfr. Atti degli Apostoli 2, 1-3) che si trova sparsa nelle pergamene dell’Antico e Nuovo Testamento, con argomentazioni che me l’hanno dimostrata con tale chiarezza, che ogni altro ragionamento rispetto a quelle mi sembra ottuso”.

 

Unica fonte di ‘Fede’ ai tempi di Dante doveva essere la Bibbia riconosciuta dalla Chiesa, unico Testo sacro, composto da Antico e Nuovo Testamento, ammesso dall’ortodossia. Se anche il Nostro, come probabile, avesse avuto contatti con i Testi di altre religioni (sacri ovviamente per quelle religioni) non doveva assolutamente nominarli o prenderli in considerazione, pena la solita condanna per eresia!
Io udi’ poi: «L’antica e la novella
proposizion che così ti conchiude,
perché l’hai tu per divina favella?». 99

E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
son l’opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude». 102
E quella voce ancora si fa udire: “Perché consideri ‘Parola divina’ la Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) che ti fa giungere a questa conclusione?” E Dante: “I fatti che ne sono seguiti, che la natura non può forgiare da sola (= i miracoli = fatti contrari alla legge di natura e prodotti per potenza soprannaturale), mi dimostrano la Verità”.
Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura
che quell’ opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura». 105

«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo»,
diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno
è tal, che li altri non sono il centesmo: 108

ché tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu già vite e ora è fatta pruno». 111
Ed ecco ancora una domanda : “Dimmi, chi ti dà la certezza di quei fatti? Se te li garantisce proprio quella Scrittura che deve essere provata”. E Dante, l’esaminando: “La diffusione del Cristianesimo è il miracolo più grande di tutti quelli descritti lì; tu (stesso l’hai dimostrato): entrasti nel campo povero e digiuno (di dottrina) e riuscisti a seminare la buona pianta, la vite (= l’insegnamento del Cristo: infatti in Giovanni 15, 1-8: è detto: ‘Io Sono la vera Vite e il Padre mio è il Vignaiolo...Io Sono la Vite, voi i tralci... Se rimanete in Me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato...’), vite che ora (purtroppo) è diventata pianta selvatica (perché la Chiesa si è corrotta).

 

In Giovanni 21, 15-17 è detto: ‘...Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”.  Gli rispose: “ Certo Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami? e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle”. Abbiamo riportato questo brano del vangelo per meglio comprendere il personaggio ‘Pietro’ e quindi il ‘Pietro’ di Dante. Pietro è quella sua componente che ha tradito il Cristo per tre volte come abbiamo visto in Matteo 26, 69-75, ma dobbiamo anche prendere atto che è lo stesso che poi con le tre dichiarazioni d’amore qui narrate si è riscattato completamente ed è stato dal Cristo consacrato ‘Pastore delle sue pecore e dei suoi agnelli’; quindi anche il ‘Pietro’ dantesco, che ha nella sua borsa la moneta della Fede, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla gli  s’inforsa, può diventare ‘Pastore delle pecore e degli agnelli’ del Cristo... ed è quello che ha fatto con il suo poema da sette secoli a questa parte!
Finito questo, l’alta corte santa
risonò per le spere un ’Dio laudamo’
ne la melode che là sù si canta. 114

E quel baron che sì di ramo in ramo,
essaminando, già tratto m’avea,
che a l’ultime fronde appressavamo, 117

ricominciò: «La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t’aperse
infino a qui come aprir si dovea, 120

sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s’offerse». 123
Dante tace e la corte dei beati fa risuonare per i cerchi di luce, in celeste melodia, un canto di lode al Signore (il Te Deum, inno liturgico di ringraziamento). Poi quel barone (potente signore del Paradiso) che sta per terminare l’esame del Discepolo chiede ancora: “La Grazia che guida la tua mente con tanto amore ti ha permesso di dire cose giuste che io approvo, ma ora devi esprimere il tuo ‘Credo’ e dire da dove l’hai attinto”.

 

Dante, interrogato su che cosa è per lui la Fede, ha dichiarato di averla  pura e completa, che gli è pervenuta dalle Sacre Scritture che sono ispirate dal Signore e garantite dai miracoli, di cui il maggiore è la diffusione del Cristianesimo. Ma l’esame non è ancora terminato, ora il Discepolo deve espremer (ex- premere = estrarre da sé) quel che crede: (credere, dal sanscrito ‘crad-dadha-mi’ = pongo fede), cioè fare uscire da suo interno Quello in cui pone la sua Fede e da dove L’ha derivato. Perché s. Pietro lo sollecita così? Per rendere degno il suo ‘Pietro interiore’ di quelle chiavi che riceverà in seguito alla professione di Fede. Cfr. Matteo 16, 15-19 (idem): ‘(Gesù) disse loro: “Voi chi dite che il sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te Simone, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli... a te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”...’.  Virgilio (la Ragione) nel paradiso terrestre (Purgatorio canto 27 v. 142) aveva detto: perch’io te sovra te corono e mitrio; rendendo il Discepolo signore e padrone dei tre corpi inferiori, s. Pietro (spirito trionfante, luce di Binah, Comprensione) nel cielo delle stelle fisse, ordinandogli di proclamare il ‘Credo’ lo rende degno delle chiavi del suo cielo e della sua terra, facendolo quindi signore anche del suo corpo di luce.
«O santo padre, e spirito che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver’ lo sepulcro più giovani piedi», 126

comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti. 129
E Dante: “O santo padre, o spirito la cui Fede (nella Resurrezione del Cristo), davanti al sepolcro, vinse la giovinezza (dell’apostolo Giovanni;  cfr. Giovanni XX, 1-9: Giovanni, più giovane, corse più in fretta e arrivò per primo davanti alla tomba, ma Pietro vi entrò per primo), tu vuoi che io proclami il mio Credo e la sua origine...”

E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
non moto, con amore e con disio; 132

e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove 135

per Moïsè, per profeti e per salmi,
per l’Evangelio e per voi che scriveste
poi che l’ardente Spirto vi fé almi; 138

e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza sì una e sì trina,
che soffera congiunto ’sono’ ed ’este’. 141

De la profonda condizion divina
ch’io tocco mo, la mente mi sigilla
più volte l’evangelica dottrina. 144

Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla». 147
“...Ecco la mia risposta: Io credo nel Signore unico ed eterno che muove tutto l’universo; per tale Credo non ho solo prove fisiche e metafisiche, ma attigo la mia fede dalla verità che proviene da qui (dal Paradiso) attraverso Moïsè, i profeti, i Salmi, i Vangeli ed i libri scritti dopo la discesa dello Spirito Santo (Atti, Epistole, Apocalisse); e credo nel Signore Uno e Trino che coniuga il verbo Essere insieme
nella terza persona plurale (Sono) e nella terza singolare (E’). La dottrina evangelica più volte mi dà la certezza di questo mistero. Questo è il principio, questa è la scintilla che poi si dilata in fiamma e brilla in me come una stella in cielo”.

 

Non possiamo sapere ciò che di preciso Dante intenda con prove fisice e metafisice, atte a dimostrare il suo ‘Credo’, ma pensiamo che per le ‘fisiche’ basti guardare il Creato. Riportiamo qui alcuni versi recitati dal protagonista del film di Ingmar Bergman ‘Il posto delle fragole’ (v. in www.taote.it cineforum ns/ relativo commento): “Se il Creato a noi si manifesta con la gioia esplosiva di un’eterna festa, sarà di uno splendore inusitato Chi tutto ciò ha creato!  Dov’è l’Amico che il mio cuore ansioso ricerca ovunque senza aver mai riposo!  La Sua Presenza è indubbia ed io la sento in ogni fiore! L’aria che io respiro e mi dà vigore, del Suo Amore è piena e nel vento dell’estate la Sua Voce intendo !”

Per le prove ‘metafisiche’ dobbiamo invece guardare dentro di noi e scoprire la nostra Realtà Spirituale con l’attenzione, la concentrazione, la meditazione, la contemplazione. Sono queste le 4 tappe che conducono alla conoscenza di Noi Stessi, in un percorso in cui siamo completamente soli e non dobbiamo dimostrare niente a nessuno.

Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch’el si tace; 150

così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,
l’appostolico lume al cui comando 153

io avea detto: sì nel dir li piacqui!
  

Come un signore che ascolta una buona notizia dal suo servo e subito dopo lo abbraccia, così l’Apostolo beato (s. Pietro) benedice cantando il Discepolo Dante, circondandolo di luce, tanto gli sono piaciute le sue risposte.



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