PARADISO - CANTO XXXIII

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio, 3

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. 6
Ed ecco ha inizio l’orazione di s. Bernardo: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, la più umile e la più alta di tutte le creature, termine fisso (punto di riferimento) della Volontà divina (per la Redenzione), tu sei Colei che ha nobilitato la natura umana a tal segno che il suo Creatore non ha disdegnato di diventare sua creatura...”

 

Prima di giungere alla Visione Ultima, cuore dell’esperienza dantesca, vorremmo porre l’attenzione sul fatto che molti giovani credono di poter avere ‘esperienze mistiche’ assumendo ‘droghe’ (= sostanze capaci di alterare l’equilibrio psico-fisico di chi le assume). “Drogandosi si hanno esperienze mistiche indotte meccanicamente (fratture psichiche). La differenza tra un’esperienza mistica e una ‘frattura psichica’ è questa: chi ha un collasso psichico annega in quella stessa acqua in cui il mistico nuota”. (da ‘Il potere del mito’ di Joseph Campbell ed. Tea).

 

Aldilà dei significati legati alla devozione mariana del Poeta Dante mirabilmente espressi e commentati quasi altrettanto mirabilmente nei secoli, significati relativi alla concezione cristiana della figura storica di Maria Vergine, madre di Gesù Cristo, Figlio di Dio, proclamata per dogma ‘Immacolata Concezione’ dal papa Pio IX l’8/12/1854 e poi, sempre per dogma, ‘Assunta in Cielo’ del papa Pio XII l’1/11/1950, dogmi che non hanno fatto altro che ufficializzare le secolari credenze dei fedeli al riguardo, aldilà di tutto ciò, che condividiamo ed apprezziamo, ora noi cercheremo, come al solito, di interiorizzare anche l’ultima scena dell’ultimo atto della ‘Comedia’.

Se la ‘Vergine Madre’ rappresenta la Grande Madre Binah, di Lei si può dire che è figlia di suo figlio in quanto, in relazione all’Albero, nella discesa della Shekinah, Binah interagendo con Chokmah, genera Daath (e tutte le altre Sephiroth) ed è quindi ‘Madre’ ma, nella risalita della Shekinah (così come è avvenuto nel viaggio di Dante) egli giunge a Lei e alla Sua conoscenza solo attraverso Daath; ed in questo senso Ella ne è ‘Figlia’. Se poi si considera la ‘Grande Madre’ come il ‘Principio femminile, ricettivo’ nella personalità umana, sappiamo che solo Daath, la Coscienza, è in grado di ‘fecondarla’ e in tal caso essa diventa l’Amata: quindi Madre, Figlia e Sposa. Maria è poi definita da Dante termine fisso (cioè punto di riferimento) per la Redenzione dell’umanità; che l’uomo partecipi alla Redenzione è proprio quanto richiesto dal ‘Tikkun’ (= riparazione spirituale del mondo), essendoci stata una ‘shevirah’ (= caduta o rottura dei vasi) in Geburah, nella colonna ricettiva, lì deve avvenire la riparazione, individuale e collettiva (v. in www.taozen.it Testi sacri ‘Commento alla Genesi’ 3, 14-15).
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. 9

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. 12

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali. 15
“...Nel tuo seno è rinato l’Amore (tra il Creatore e la creatura, il Cristo), grazie al quale nella pace eterna è sbocciato questo fiore (la Candida Rosa, il Paradiso). Qui in Cielo sei, per noi beati, Luce di Carità e sulla terra zampillante fontana di speranza. O Signora, sei tanto grande e tanto potente che se qualcuno vuole una grazia e non ricorre a Te, il suo desiderio diventa come un uccello che vuol volare senza ali...”

 

Allorché la Coscienza Daath (il Cristo interiore) si sviluppa nella natura umana (la Vergine, Malkah) fecondata dall’Amore (lo Spirito Santo, la Grazia), dopo la discesa agli inferi (per la conoscenza di se stessi con la riconversione dell’energia delle qelipoth) e dopo la risalita del Purgatorio (la purificazione delle Sephiroth), avvenute con l’ausilio della ragione (Virgilio), la personalità può prendere contatto per mezzo dell’intuizione (Beatrice), con i cieli del Paradiso (le Sephiroth purificate) e realizzare la fioritura della Candida Rosa (la Sephirah Kether, la Corona), che permette con la contemplazione (s. Bernardo) la Visione della Divinità. La ‘Comprensione spirituale’, la Sephirah Binah dell’Albero di Ketker, è il ‘mezzo’ (Binah deriva da ‘bein’ = mezzo) ultimo indispensabile che attua il contatto tra tutto quello che è al di sopra di Lei (l’Assoluto) e quello che è al di sotto di Lei (il resto dell’Albero).
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre. 18

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 21
“...La tua benevolenza non solo dà aiuto a chi domanda, ma spesso generosamente previene la richiesta. In Te misericordia, pietà, magnificenza, in Te si racchiude ogni bontà umana e angelica...”

 

La Sephirah Binah come ‘Madre’ ha generato tutte le Sephiroth sotto di Lei (nella discesa della Shekinah) e come ‘Figlia’ ne ha recuperate tutte le virtù (nella risalita della Shekinah): perciò in Lei sono misericordia (Chesed), pietà (Tiphereth) e magnificenza (Hod), e tutte le altre ‘virtù’ del piano fisico, dell’astrale, del mentale e del Piano Spirituale.
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 24

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 27
“... Costui (Dante) che dall’infimo luogo dell’universo (dall’inferno) è giunto fin qui ed ha compreso ad una ad una (nel suo viaggio di purificazione e conoscenza) quali siano le condizioni delle anime (dopo la morte), ora supplica Te affinché, per grazia, Tu gli conceda la virtù di innalzarsi fino alla Visione Ultima...”

 

Dante, Discepolo sul Sentiero che ha percorso tutto l’Iter, ora giunto all’Esperienza Ultima supplica (dal latino ‘sub’ e ‘plex’ = in ginocchio) la Grande Madre di essere per lui Comprensione e Mezzo di Realizzazione, cioè di esprimere tutta Se Stessa: ‘Binah’.
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 33
“... Ed io, che mai ho tanto desiderato per me (la Visione divina) quanto ora La desidero per lui, ti offro tutte le mie preghiere, e prego che siano sufficienti, affinché Tu dissolva ogni nube causata dalla sua caducità con la Tua preghiera, cosicché il Sommo Bene possa svelarsi a lui...”

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. 36

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 39
“...O Regina, che puoi ciò che vuoi, io Ti prego anche di conservare puri i suoi sentimenti affinché dopo una simile Visione non si corrompano. Che la Tua protezione scacci (in lui) ogni difetto umano (orgoglio, vanità ecc..): guarda come Beatrice e gli altri beati sostengono la mia preghiera con la loro a mani giunte!”

 

La facoltà contemplativa del Discepolo, cioè la facoltà che permette di fissare l’attenzione sulle cose divine e provarne consolazione e diletto, S. Bernardo (per il significato del nome v. commento al canto XXXI vv. 94-102), prega poi la Grande Madre con tutto se stesso e conclude la preghiera con la richiesta  di conservare sani gli affetti suoi perché dopo l’esperienza della Visione non cada in superbia; alla sua preghiera si uniscono quelle mute dei beati e di Beatrice: tutta la Candida Rosa (Kether, Corona) chiude le mani in orazione (fa ‘corona’ nella Corona) per favorire, fissare e sigillare la sua Ultima ‘Comprensione’.
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; 42

indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. 45
Gli occhi amati e sacri al Signore (della Regina) fissi nell’orante (Dante) dimostrano quanto Ella gradisca la preghiera devota, quindi si volgono alla Luce eterna, nella Quale nessuno può penetrare così in profondità con tanta purezza (come Lei).

 

Termina qui la Visione dantesca di Maria.  Vogliamo ora ricordare quello che s. Teresa d’Avila (1515-1582) ha descritta nelle ‘Opere complete’ -libro della vita- pagg. 378-379 ed. Paoline: ‘...Il giorno dell’Assunta, stavo meditando sui molti peccati che avevo confessato... allorché fui presa da un rapimento così grande che mi trasse quasi fuori di me... mentre ero in questo stato mi sembrò di vedermi rivestire di una veste bianchissima e splendente e al principio non vidi chi me la ponesse. In seguito scorsi alla mia destra Nostra Signora... vestita che fui e piena di grandissima felicità e gioia ...mi parve che Nostra Signora mi prendesse le mani dicendomi che la fondazione del monastero da me desiderata si sarebbe fatta... che già suo Figlio ci aveva promesso di stare sempre con noi; come pegno che ciò si sarebbe avverato, mi dava un gioiello. Mi parve infatti che mi mettesse al collo una bellissima collana d’oro... Anche se non potei distinguere nessuna delle sue fattezze in particolare, ma solo vederne nel complesso la forma del viso, la bellezza di Nostra Signora era straordinaria, così vestita di bianco, con grandissimo splendore, non abbagliante, ma soave....’.

Riportiamo poi anche un brano tratto dall’ ‘Autobiografia di uno Yogi’ ed. Astrolabio (v. in www.teatrometafisico.it copioni (ns/ riduzione teatrale): Il giovane Yogananda è  in visita dal Maestro Mahasaya, il "Devoto estatico", che è andato ad abitare nella stessa casa che era stata quella in cui era morta sua madre e lo trova immerso in meditazione.

Yogananda:  (si inchina) Signore, posso parlarvi?

Mahasaya:    Siediti, ma aspetta un poco, ti prego, sono in colloquio con la Madre Divina.

Yogananda: (al pubblico) Quella frase mi colpì terribilmente, mi sentii disperato perché doppiamente orfano... avevo perduto la mia madre naturale ed ero assolutamente incapace di sentire quella Celeste... (cade in ginocchio davanti al Maestro) Santo Signore, intercedete per me, chiedete alla madre Divina se posso sperare nella sua clemenza!

Mahasaya: (rimane alcuni minuti in silenzio, poi:) Supplicherò per te l'Amata. (musica)

Yogananda: (al pubblico) Quella sera nel piccolo attico che abitavo da studente, in meditazione, l’oscurità della calda notte indiana si illuminò ad un tratto di una meravigliosa visione: circondata da un alone luminoso, la Madre Divina era davanti a me. Il suo viso teneramente sorridente era la bellezza stessa, e mi disse: "Sempre ti ho amato e sempre ti amerò", mentre gli accenti celestiali ancora vibravano nell’aria, Ella scomparve.  La mattina dopo tornai dal maestro per ringraziarlo (si inchina a Mahasaya)....’

Ed ecco la visione della Grande Madre di Shri Ramakrishna (1836-1886) tratta da ‘Alla ricerca di Dio’ ed. Ubaldini: ‘... un giorno, in uno stato di spirito perfettamente normale e per nulla in estasi, vidi tutto ad un tratto apparire dinanzi a me la forma luminosa di una donna infinitamente graziosa. Il suo splendore illuminava tuttto ciò che la circondava... lentamente essa avanzò verso di me con il suo sguardo benevolo costantemente fisso su di me... compresi in un lampo che doveva essere Sita, la cui intera vita si era svolta vicino a Rama... sommerso dall’emozione, stavo per prosternarmi ai suoi piedi, chiamandola ‘Madre’, quando essa entrò nel mio corpo, dicendomi che mi trasmetteva il sorriso che era sulle sue labbra...’

 

A proposito delle varie esperienze spirituali nelle varie religioni riportiamo un brano tratto da ‘L’immaginazione creatrice’ di Henry Corbin (1903-1978) Editori La Terza, pagg. 55-56 che ci sembra particolarmente chiarificante: 

‘La ‘direzione’ di Khezr (= il Maestro interiore)... conduce ciascuno alla sua propria teofania di cui ciascuno è testimone peculiare perché essa corrisponde al proprio “Cielo interiore” alla forma propria del suo essere, alla propria individualità eterna....alla “parte concessa” a ciascuno degli Spirituali... che è la parte dei Nomi divini di cui ognuno di loro viene investito, il Nome sotto il quale egli conosce il suo Dio e sotto il quale il suo Dio lo conosce, secondo la corrispondenza del Signore d’amore e del suo vassallo... Si tratta di questo: la Forma sotto la quale ciascuno Spirituale conosce Dio è anche la forma sotto la quale Dio si rivela a se stesso in lui...’

E io ch’al fine di tutt’ i disii
appropinquava, sì com’ io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii. 48

Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’ io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: 51

ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera. 54
E il Discepolo che ora sta per raggiungere il compimento del suo desiderio, lo accende al massimo col suo ardore, così come è giusto che faccia. S. Bernardo sorridendo gli fa cenno di guardare in sù, ma già Dante è tutto rivolto verso l’alto, secondo la sua volontà: perchè la sua vista, fattasi chiara, penetra sempre di più il raggio della Luce infinita, in Se Stessa Vera.

 

Riportiamo qui anche la descrizione della prima esperienza di Coscienza Cosmica di Paramahansa Yogananda  (1893-1952) tratta dall’ ‘Autobiografia di uno Yogi’ (idem):

‘Yogananda: Tornato da Sri Yukteswar, dopo avergli chiesto perdono, ebbi, per sua grazia, un'esperienza di Coscienza Cosmica: mi toccò lievemente il petto, sopra il cuore, ed ecco che non respiravo più, anima e mente persero i loro vincoli fisici e uscirono come un'ondata di fluida e penetrantissima luce da ogni poro. Una luce gloriosa si espandeva sempre di più dentro di me e cominciò ad avviluppare città, continenti, tutta la terra, i sistemi solari e stellari, le nebulose e i fluttuanti universi... l'intero cosmo fluttuava nell'infinità del mio essere... conobbi il centro dell'empireo quale punto di percezione intuitiva nel mio cuore. Udii la Voce creativa di Dio risuonare come Om, la vibrazione del motore cosmico.  Sri Yukteswar mi insegnò come richiamare a volontà la felice esperienza e come trasmetterla ad altri...’
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. 57

Qual è colüi che sognando vede,
che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede, 60

cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. 63
D’ora in poi il vedere supererà la parola, che di fronte a tale Visione deve arrendersi, come fa la memoria di fronte a tanto oltraggio (dal latino ‘ultra’ = oltre), a ciò che va tanto ‘oltre’ (le sue possibilità). Come è per colui che ha avuto un sogno (meraviglioso) e l’ha dimenticato, ma gliene rimane impressa una forte emozione, così è per Dante: la visione è quasi del tutto svanita, ma ancora ne sente nel cuore la dolcezza.
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 66

O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi, 69

e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente; 72

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria. 75
Così la neve scompare al sole, così la sentenza della Sibilla (= profetessa) scritta sulle foglie si disperdeva al vento (e così prega il poeta prima di scrivere questi versi): “O Somma Luce, tanto superiore alla cose che gli uomini possono concepire, concedi alla mia memoria di ricordare ancora qualcosa e rendi la mia lingua così potente da lasciare ai posteri una scintilla del Tuo Splendore; perché tornando un poco alla mia memoria e risuonando un poco in questi versi, si comprenderà meglio la Tua Grandezza”.
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi. 78

E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito. 81
Il Discepolo, per la forza del raggio che sopporta, crede che, se distogliesse lo sguardo dal Vivo Raggio, forse si perderebbe. Perciò si fa più ardito e arriva (così) a congiungere il suo sguardo (aspetto dal latino ‘adspicere’ = guardare) al Valore Infinito.
Oh abbondante grazia ond’ io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi! 84

Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna: 87

sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. 90
O Grazia infinita, per Te egli osa spingere la sua vista nella Luce Eterna e in Essa consuma tutto il suo potere visivo! Nella Sua Profondità egli vede che è racchiuso, raccolto con Amore come in un volume, tutto ciò che nell’Universo è sparso: (vede) congiunti insieme sustanze (che esistono per sé) e accidenti (che esistono in dipendenza dalle sostanze) e le loro relazioni; ma queste parole ne danno solo una parvenza.

 

Ecco quello che Krisna dice ad Arjuna di Se Stesso, l’Uno o il Molteplice, nel canto IX della Bhagavad Gita vv. 13-19 (v. in www.taozenn.it Testi sacri il ns/ relativo commento):

“...Ma i Mahatma, dotati di natura divina, con la mente fissa soltanto in Me, Mi adorano conoscendomi come Causa indistruttibile di ciò che esiste... Ed altri pure, offrendo il sacrifizio della sapienza, Mi adorano come l’Uno, o il Diverso, o il Molteplice, dagli innumerevoli volti. Io Sono il Kratu, il Yajna, il Svadra (tre specie di sacrifizi prescritti nelle Scritture indiane); Io Sono la virtù delle erbe; Io il Mantra (la preghiera), Io il grasso del sacrificio, Io Sono il fuoco, Io l’oblazione. Di tutto questo universo Io Sono il Padre, la Madre, il Creatore e l’Avo; Io Sono il fine della Sapienza, la Potenza purificatrice, Io Sono l’Om; Io il Rig, il Sama, il Yajur (i tre principali Veda); la Mèta, il Sostenitore, il Signore, il Testimonio; Io Sono la Dimora, il Rifugio, l’Amico, l’Origine, la Dissoluzione, il Sostegno, il Ricettacolo, il Seme imperituro. Sono la causa del calore, mando e arresto le piogge, sono l’immortalità e anche la morte; Io sono l’Esistenza e la Non-esistenza, o Arjuna’.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. 93

Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ’mpresa
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. 96
Egli crede di vedere il Principio Essenziale di questo ordine, e il solo parlarne (ora) gli dà gioia infinita. Un attimo (di tale esperienza atemporale e aspaziale) gli procura maggiore oblìo di quanto ne possano offrire 25 secoli riguardo all’impresa degli Argonauti (= naviganti veloci), quella che suscitò lo stupore di Nettuno (dio del mare). (Nel medioevo si credeva che la nave Argo (=veloce) per prima avesse solcato il mare nel 1223 a. C.; v. in 
www.taote.it miti  Giasone e Medea e relativa ns/ interpretazione cabalistica).
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa. 99

A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta; 102

però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto. 105
Così la sua mente tutta assorta sta fissa attenta ed immobile, e si fa sempre più ansiosa di ammirare (l’Inammirabile). Dinanzi a Quella Luce si diventa tali che a nessuno è possibile allontanarsi da Lei; perché il Bene, che è lo scopo della volontà, in Lei tutto si raccoglie, fuori di Lei tutto è manchevole.

 

Nel ‘La nube dell’inconoscenza’ (di anonimo inglese XIV sec. d. C.) - Piero Gribaudi Editore, a pag. 26 troviamo: ‘Dio e solo Dio può appagare pienamente la fame e la brama del nostro cuore che, trasformato dalla Sua grazia redentrice, è in grado di comprenderlo attraverso l’amore... Nessuno riesce a comprendere pienamente il Dio increato con la conoscenza, ma ogni uomo può afferrarlo attraverso l’amore, anche se in maniera diversa a seconda degli individui. Il perenne miracolo dell’amore è proprio questo: una persona ricca d’amore può, attraverso tale suo amore, abbracciare quel Dio che riesce ad appagare in maniera sovrabbondante l’intera creazione. E tale miracolo continuerà senza fine, perché Colui che amiamo è eterno...’
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella. 108

Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante; 111

ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’ io, a me si travagliava. 114
D’ora in poi le parole del Poeta saranno insufficienti a rendere l’idea della sua esperienza come il balbettìo di un bimbetto che ancora succhia il latte. Non perchè ci siano più aspetti nella Luce che egli (am)mira, che E’ sempre Una ed Immutabile, ma perché in lui la facoltà visiva si va rafforzando e lo Stesso Soggetto (il Divino), muta aspetto al mutare delle sue capacità.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza; 117

e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ’l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. 120
Nella profonda e chiara essenza la Luce divina gli appare in tre cerchi di tre colori e della stessa misura (la Trinità); Uno (il Figlio) è riflesso dall’Altro (il Padre) come un arcobaleno da un altro, e il Terzo (lo Spirito Santo), come un fuoco, è ugualmente riflesso dagli Altri Due.

 

S. Teresa d’Avila (‘Opere complete’ idem, pagg. 1036-37) dice: ‘...Quel che conta è il fatto che il Signore la unisca a Sé (l’anima), ma lo fa rendendola cieca e muta, come s. Paolo nel momento della conversione e togliendole la possibilità di rendersi conto della grazia di cui gode... qui la cosa è diversa: il nostro buon Dio vuole ormai levarle le squame dagli occhi, affinché veda e comprenda qualcosa della grazia che Egli le concede, ma in modo singolare. Una volta che essa sia introdotta in questa mansione per mezzo di una visione intellettuale, tutt’e tre le Persone della Santissima Trinità le si mostrano per una certa rappresentazione della verità nel divampare di un incendio che investe subito il suo spirito come una nube risplendente. Le tre Persone si vedono distintamente e l’anima per una nozione ammirabile che le viene comunicata, comprende con assoluta certezza che tutt’e tre sono una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Così ciò che crediamo per fede, l’anima qui lo percepisce, si può dire, con la vista, anche se non si vede nulla né con gli occhi del corpo, né con quelli dell’anima, perché non si tratta di visione immaginaria... lo stupore di quest’anima cresce sempre di più, perché le sembra che da allora le tre divine Persone non l’abbiano mai abbandonata, anzi vede chiaramente che stanno dentro di lei; essa sente questa divina compagnia nella parte più intima, come in un abisso molto profondo, che non sa spiegare...’
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer ’poco’. 123

O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi! 126
Oh quanto è debole ed inadeguato il dire rispetto al concetto! Ma qualificare come ‘poco’ ciò che dice della sua Visione il Nostro, non basta (bisognerebbe dire che è ‘nulla’). O Luce Eterna che sola in Te sussisti, che sola Te Stessa intendi, Tu ami Te Stessa e gioisci da Te in Te!
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta, 129

dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ’l mio viso in lei tutto era messo. 132
Quel Cerchio che in Te sembra come riflesso, contemplato un poco dai suoi occhi, gli appare come se avesse dipinta all’interno l’Immagine Umana, e Lì il suo sguardo è tutto intento.
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige, 135

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova; 138

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne. 141
Come il geometra che vuole realizzare la quadratura del cerchio (= come costruire un quadrato di superficie uguale ad un cerchio) e non trova la regola per eseguirla (perché impossibile), così fa il Discepolo: vuol vedere come l’immagine umana si adatti al cerchio e come vi rimanga; ma ciò non è nelle sue possibilità: ed ecco che la sua mente viene colpita come da un fulgore (un lampo) che gli viene in aiuto.

 

Riportiamo ora due teofanie tratte dall’Antico Testamento (v. in www.teatrometafisico.it copioni, sceneggiature bibliche (Mosè ed Elia) le relative interpretazioni cabalistiche).

 Da Esodo 3, 1-14: ‘Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero ... e arrivò al monte del Signore, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo ad un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo meraviglioso spettacolo: perché il roveto non brucia?’ Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto: “ Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi”. Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” E disse: “Io Sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”. Mosé allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio...’.

Da 1Re 19, 9-14: ‘... Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco che il Signore gli disse: “Che fai qui, Elia?” Egli rispose: Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, perché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Gli fu detto: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu un mormorio di un vento leggero. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, perché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”.

(Come la condizione del Nostro somiglia a quella di Elia!).
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, 144

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Alla ‘fantasia’ giunta tanto in alto manca ora la forza (per seguitare); ma a questo punto, come una sfera mossa ordinatamente, la volontà e il desiderio dell’Iniziato sono guidati solo da Chi muove il sole e l’altre stelle.

 

FINE

 



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