PARADISO - CANTO VIII

 
Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo; 3

per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l’antico errore; 6

ma Dïone onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; 9

e da costei ond’ io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella

che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. 12
Il mondo pagano era solito credere, a suo danno, che la bella dea nata a Cipro (Venere), girando nel terzo cielo emanasse con i suoi raggi l’amore sensuale; per cui, nella sua superstizione, la gente antica la onorava con i sacrifici e le invocazioni; onorava pure la madre di lei Dïone (= dal greco ‘dios’ = di Zeus, da cui ebbe Afrodite, cioè Venere) e il figlio Cupido (= desiderio amoroso) che si sedette in grembo a Didone (= donna virile; e le instillò l’amore per Enea, v. ns/ riduzione teatrale dell’Eneide in
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Se la Divina Commedia ci descrive Dante nel suo ‘Essere’ (fisico, astro-mentale, Spirito) e fotografa il suo Albero cabalistico, non c’è da meravigliarsi se gli astri dei cieli descritti nel suo ‘Paradiso’ (che abbiamo fatto corrispondere alle Sephiroth  del suo Albero Atzilutico, spirituale) debbano essere tutti  perfetti, senza macchia e quindi senza peccato; la Venere infernale (inferno canto V, Netzach capovolto) era tutta lussuria, energia da riciclare; la Venere dell’espiazione (purgatorio canto XXV, XXVI, XXVII, Netzach in via di purificazione) era energia in parte già redenta, in via di recupero; la Venere celeste Netzach di Atziluth, descritta in questo canto, deve essere solo virtù, quindi Amore puro, Caritas (=immediata manifestazione, senza ego, dell’Amore Impersonale).
Io non m’accorsi del salire in ella;
ma d’esservi entro mi fé assai fede
la donna mia ch’i’ vidi far più bella. 15

E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quand’ una è ferma e altra va e riede, 18

vid’ io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro più e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne. 21
Dante ci dice di non accorgersi di salire al terzo cielo, nella sfera di Venere, ma di capirlo dalla maggiore bellezza e luminosità di Beatrice. E come in una fiamma si vede una favilla e tra più voci si riconosce una voce che si alza o si abbassa, così in quella luce egli scorge numerose luci in movimento più o meno rapido, il che dipende probabilmente dal loro stato di Grazia.

Nella Kabbalah la Sephirah Netzach (= la Vittoria) che corrisponde a Venere, il cielo che ora accoglie Dante, è detta Intelligenza Occulta, perché in Lei è percepita, con la contemplazione della fede, la virtù intellettuale; essa rappresenta la ‘forza’ della consapevolezza astrale di cui la Sephirah Hod (lo Splendore, v. canto V, v. 93) sua reciproca e interagente, rappresenta la ‘forma’; l’esperienza spirituale che corrisponde a Netzach è quella della visione della Bellezza trionfante; il Nome divino a lei attribuito è Jehovah Tzabaoth, il Signore degli Eserciti; con questo Nome per la prima volta nella Bibbia il Signore viene invocato da Anna (1Samuele 1, 11), la donna sterile che, esaudita nella sua preghiera, concepisce e diventa la madre del grande giudice e profeta Samuele (= il Signore ha ascoltato).
Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti 24

a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro
pria cominciato in li alti Serafini; 27

e dentro a quei che più innanzi appariro
sonava ’Osanna’ sì, che unque poi
di rïudir non fui sanza disiro. 30
Da una fredda nuvola non si sono mai visti scendere venti, visibili e non, tanto rapidi come scendono veloci quegli spiriti, lasciando la danza iniziata in alto dai Serafini (= gli Splendenti); e tra quelle luci che appaiono per prime, risuona l’Osanna (= dall’ebraico ‘hoshi’ah-nna’ = salvaci), ma così dolce che ancora il Nostro desidera riascoltarlo.

Nella seconda Lettera ai Corinzi 12, 2-4 San Paolo dice di sé: “Conosco un uomo in Cristo che, 14 anni fa - se con il corpo o fuori dal corpo, non lo so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo… fu rapito in Paradiso ed udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare”.

Non possiamo essere certi che il ‘terzo cielo’ di Paolo sia lo stesso ‘terzo cielo’ di Dante, né possiamo sapere, visto che non ce le dice, quali siano le ‘parole indicibili’ paoline, ma sempre di Paradiso si tratta, e in quell’Osanna dantesco che il Nostro unque poi di rïudir non fu sanza disiro possiamo intuire la impronunciabilità delle celesti parole udite da Paolo.
Indi si fece l’un più presso a noi
e solo incominciò: «Tutti sem presti
al tuo piacer, perché di noi ti gioi. 33

Noi ci volgiam coi principi celesti
d’un giro e d’un girare e d’una sete,
ai quali tu del mondo già dicesti: 36

’Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
non fia men dolce un poco di quïete». 39
Poi una di quelle luci si avvicina e comincia a dire: “Noi siamo tutti disposti ad appagare i tuoi desideri di conoscenza, per farti felice. Noi ci muoviamo nello stesso cerchio e spinti dallo stesso desiderio di Divinità col coro angelico dei Principati, di cui tu hai scritto (in una canzone) che muovono il terzo cielo; e siamo così pieni d’amore che, per farti lieto, sarà per noi piacevole fermarci (e rispondere alle tue domande)”.

La Venere celeste (Netzach di Atziluth) custodisce coloro che sulla terra furono ‘amanti’ che furono cioè influenzati dalla dea dell’amore, ma che poi in qualche modo trasformarono il loro amore terrestre in amore impersonale (Pietas e Caritas), verso tutto il prossimo: ora la loro beatitudine si accresce nella felicità degli altri.
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di sé contenti e certi, 42

rivolsersi a la luce che promessa
tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
la voce mia di grande affetto impressa. 45
Dopo aver con riverenza cercato l’approvazione negli occhi di Beatrice e dopo averla ottenuta, Dante con voce piena d’affetto chiede a quello spirito generoso: “Deh, chi siete?”

Come già descritto nei canti precedenti tra Dante (la personalità in stato di rapimento estatico, la Sephirah Malkuth dell’Albero) e Beatrice (la sua Coscienza Cristica, la Sephirah Daath, che gli ha donato la beatitudine) ormai la comunicazione avviene assai spesso solo attraverso ‘gli occhi’ proprio perché in corrispondenza del centro situato tra le sopracciglia, si trova il ‘Luogo’ della visione mistica che, cielo dopo cielo, il Nostro approfondisce sempre di più. Ora egli sta per conoscere i ‘suoi beati’ della sfera di Venere.
E quanta e quale vid’ io lei far piùe
per allegrezza nova che s’accrebbe,
quando parlai, a l’allegrezze sue! 48

Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe
giù poco tempo; e se più fosse stato,
molto sarà di mal, che non sarebbe. 51
Ed ecco che quella luce diventa più grande per la nuova gioia che accresce la sua beatitudine! E dice: “Vissi poco nel mondo, se fossi vissuto più a lungo ci sarebbe ora meno male sulla terra.  (E’ Carlo Martello, figlio di Carlo II d’Angiò, morto 24enne nel 1295; ha forse conosciuto Dante a Firenze nel 1294)…”

 La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato. 54

Assai m’amasti, e avesti ben onde;
che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
di mio amor più oltre che le fronde. 57
“…La letizia che mi circonda come la seta il baco, mi nasconde a te. Mi hai amato molto e a ragione, se fossi vissuto più a lungo ti avrei dimostrato del mio amore non solo le foglie (ma anche i frutti)….”
Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
per suo segnore a tempo m’aspettava, 60

e quel corno d’Ausonia che s’imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga. 63

Fulgeami già in fronte la corona
di quella terra che ’l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona. 66
“…Mi aspettava come signore (alla morte di mio padre) quella regione  (la Provenza) che si stende sulla riva sinistra del Rodano a sud del Sorga e quella parte d’Ausonia (Italia meridionale) a forma di corno che si stende tra Bari (=da una radice ‘bar’ = fiume), Gaeta (= Caieta, la nutrice di Enea, ma anche kaieta = cavità) e Catona (=che sta in basso) là dove Tronto e Verde sfociano nel mare. Ed avevo già sulla fronte la corona di quella terra solcata dal Danubio (da una radice ‘danus’= fiume) dopo che ha lasciato le rive tedesche (l’Ungheria) …"
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
che riceve da Euro maggior briga, 69

non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo, 72

se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!". 75
“…E la bella Trinacria (=dai tre promontori = la Sicilia) che fuma non a causa di Tifeo (= che vomita fuoco; il gigante ucciso da Zeus e seppellito sotto l’Etna), ma a causa delle esalazioni sulfuree, che tra capo Pachino (= dal greco ‘pachis’ = pieno d’aria) e capo Peloro (= eccelso) sul golfo (di Catania) riceve gli sbuffi del forte Euro (= vento orientale), avrebbe atteso i suoi legittimi sovrani discendenti da Carlo (= il forte, II, mio padre) e da Ridolfo (= lupo glorioso, mio suocero) attraverso di me, se il cattivo governo, che sempre affligge i popoli sottomessi, non avesse spinto Palermo a gridare ‘A morte, a morte (i francesi!’ - rivolta palermitana dei Vespri siciliani del 1282)…”

Cerchiamo ora di interiorizzare questo personaggio dantesco: è un principe dalle origini forti (figlio di Carlo) che sposando ha acquisito una potenza gloriosa (Ridolfo) che avrebbe dovuto essere re di vaste terre ricche di fiumi (la Provenza, l’Italia meridionale, la Sicilia, l’Ungheria), in cui i nomi dei luoghi sono arricchiti dagli elementi di fuoco (Tifeo) e aria (Pachino, Euro), principe di animo gentile, saggio, cortese e amorevole, morto tuttavia giovane, il cui nome stesso, Carlo (= forte) Martello (= che batte) sembra riferirsi ad un ‘cuore’ che pulsa fortemente. Questo personaggio potrebbe corrispondere al cuore, centro (Tiphereth) della Sephirah Netzach che, pur amando il suo popolo, non ha potuto diventare ‘re del suo regno’ né lasciarlo ai suoi eredi; cioè non ha potuto ‘fiorire’ a causa della difficoltà create da un  precedente  ‘malgoverno’ (suoi errori del passato nella funzione  dell’amore) che ha provocato disordini e sofferenze; ma ora, morto, sublimato, arricchisce il cielo di Venere.
E se mio frate questo antivedesse,
l’avara povertà di Catalogna
già fuggeria, perché non li offendesse; 78

ché veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
carcata più d’incarco non si pogna. 81

La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca». 84
“…E se mio fratello (Roberto) fosse lungimirante, terrebbe lontano da sé per non danneggiarsi, gli avidi (ministri) Catalani (= castellani spagnoli); perché davvero lui o altri dovrebbero provvedere a non appesantire la barca già sovraccarica. La sua avara natura, derivata da quella generosa (degli avi), avrebbe bisogno di ministri che non pensassero solo a riempire la borsa ”.

Il buon governo per ogni Sephirah dell’Albero consiste nel non avere ministri che curino solo a mettere in arca, cioè che cercano solo di arricchirsi, ma ministri che tutelino il bene-essere di tutta la Sephirah. Nella collocazione delle linee degli esagrammi dell’I King sull’Albero cabalistico (v. in www.taozen.it ‘I King e Kabbalah’) avevamo fatto corrispondere il ministro, la quarta linea, all’astrale superiore, che, con Tiphereth, il cuore dell’Albero, deve distribuire il sangue (le energie) a tutto l’organismo. Ma se il difetto sta nel mentale, nella quinta linea,  nel ‘principe’, se questo è parco (avaro),  pur avendo avuto avi di natura larga (generosa), il buon governo diventa malgoverno. Quando la mente è egoica, sottrae l’energia alle altre componenti della personalità, e il risultato è squilibrio e disordine.
«Però ch’i’ credo che l’alta letizia
che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, 87

per te si veggia come la vegg’ io,
grata m’è più; e anco quest’ ho caro
perché ’l discerni rimirando in Dio. 90

Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
com’ esser può, di dolce seme, amaro». 93
E Dante così risponde a lui: “O mio signore, poiché io credo che la grande gioia che le tue parole mi infondono, sia vista da te nel Signore, inizio e fine di ogni bene, come io la sento, essa mi è ancora più gradita; e anche ciò mi dà letizia, perché tu lo vedi in Lui. Mi hai reso felice, ma ora spiegami, poiché parlando mi è nato un dubbio, come è possibile che da un buon seme ne nasca uno cattivo”.
Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terrai lo viso come tien lo dosso. 96

Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi. 99
E lo spirito beato a Dante: “Poiché posso mostrarti la verità, tra poco vedrai innanzi a te quello che ora ti è nascosto. Il Signore che rende beato questo regno che tu stai visitando, fa che la Provvidenza diventi Virtù in questi astri…”

Dante ha posto a Carlo Martello questo quesito: ‘Come è  possibile che da un dolce seme ne derivi uno amaro?’ Ma è tornato a parlare di ciò che avviene sulla terra, sul piano fisico, dove il ‘Mutamento’ delle cose della vita, legato al libero arbitrio e all’uso che ne fa l’uomo, alterna i contrari in continuazione: il dolce diventa amaro, il bello diventa brutto, il giusto diventa ingiusto ecc.. e viceversa.  La Virtù degli astri del Piano Atzilutico (Spirituale), è Perfezione e in questo Piano Divino non entra errore, ma nei tre piani inferiori fisico, astrale e mentale, dopo la caduta, l’errore è di casa e il peccato la cosa più frequente.

 Nel ns/ commento alla Bhagavad Gita canto XIV (v. www.taozen.it testi sacri) avevamo visto che i tre ‘Guna’ (= Attributi) di Prakriti la sostanza primordiale della tradizione induista: Sattva (= bontà o purezza), Rajas (= passione o attività), e Tamas (= oscurità o ignoranza), potevano essere omologati Sattva all’Albero bianco delle Sephiroth, Tamas all’albero nero delle qelipoth e Rajas alla possibilità di agire con i due alberi. Nel mondo della manifestazione fisica i tre attributi  generano rispettivamente Sattva: felicità, Tamas: dolore; Rajas: attaccamento.  Tuttavia, dipendendo dalla volontà dell’essere umano, gli Attributi possono essere trascesi e quando questo avviene si manifesta il Paradiso in terra, nella persona del saggio, del santo, del Maestro: di lui così parla Krisna: ‘…Equanime nel dolore e nella gioia, considerando al pari la zolla, il sasso e l’oro… indifferente al biasimo e alla lode…uguale nell’onore e nel disonore… colui che Mi adora con incrollabile devozione nella fede, avendo trasceso questi attributi, è degno di divenire Uno con Brahman’ (B. Gita XIV, 24-26).
E non pur le nature provedute
sono in la mente ch’è da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute: 102

per che quantunque quest’ arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta. 105
“…E nella Mente divina, che è perfetta, sono programmate non solo le varie nature, ma anche la loro salvezza: per cui tutto ciò che è prodotto giunge al suo preciso fine, come una freccia diretta al bersaglio…”
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine; 108

e ciò esser non può, se li ’ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il primo, che non li ha perfetti. 111

Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
E io: «Non già; ché impossibil veggio
che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». 114
“…Se così non fosse questo cielo su cui ti trovi, non produrrebbe bellezze, ma rovine; e questo non può avvenire perché altrimenti  le Potenze che muovono questi astri sarebbero imperfette e così pure sarebbe imperfetto Colui che li ha creati. Vuoi altre spiegazioni al riguardo?” E Dante: “No, vedo bene che è impossibile per la natura non agire come deve”.

Alcuni commentatori fanno notare che da parte di Dante esiste contraddizione sul tema degli influssi degli astri, argomento già affrontato nel Purgatorio canto XVI vv. 73-81 e nel Paradiso canto IV vv. 58-60: lì viene praticamente detto che gli influssi possono essere sia buoni che cattivi, qui invece solo buoni. Come già notato nel commento ai vv. 94-99, per noi la differenza dipende dal ‘piano’ da cui gli influssi degli astri provengono. Se giungono dal piano Spirituale, Atzilutico, non possono che essere buoni; se derivano dai tre piani inferiori (mentale, astrale e fisico) possono essere sia buoni che cattivi.
Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
per l’omo in terra, se non fosse cive?».
«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». 117

«E puot’ elli esser, se giù non si vive
diversamente per diversi offici?
Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». 120
Allora lo spirito continua: “Ora dimmi, sarebbe male per l’uomo non vivere in società?” E Dante: “Sì, e per questo non ho bisogno di spiegazioni”. E quello: “Può esistere la società senza le diverse funzioni? No, se il vostro maestro (Aristotele) ha ragione”.
Sì venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici: 123

per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse. 126
Così lo spirito continua a ragionare e poi conclude: “Dunque conviene che ci siano diverse predisposizioni  per le diverse attività, per cui uno nasce Solone (legislatore), un altro Serse (= guerriero), un altro Melchisedech (= re di giustizia e sacerdote), ed un altro, come quello che perse il figlio volando (Dedalo, inventore)…”

La circular natura, ch’è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l’un da l’altro ostello. 129

Quinci addivien ch’Esaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte. 132
“…La natura circolare (dei cieli) che dà l’impronta all’uomo, agisce bene, ma non fa distinzioni nel luogo. Per cui avviene che  Iacòb (= il protetto) nasca diverso da Esaù (= il peloso; anche se i due sono gemelli) e che Quirino (=l’autorevole, Romolo) di padre umile, si faccia discendere addirittura da Marte (=che  abbatte) ...”

Prima dei gemelli Giacobbe ed Esaù  (Genesi  25, 19-34) abbiamo altri due gemelli Abele e Caino (Genesi 4, 1-18; v. ns/ relativa interpretazione in www.taozen Testi sacri) che ci illustrano la duplicità delle inclinazioni di chi è pur nato dagli stessi genitori e nello stesso giorno, ma tutto questo avviene nel mondo fisico, dopo la caduta, e c’è sempre da mettere in conto l’umano libero arbitrio…
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a’ generanti,
se non vincesse il proveder divino. 135

Or quel che t’era dietro t’è davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t’ammanti. 138

Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com’ ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova. 141
“…La natura di per sé farebbe sempre il generato uguale al generante, ma (spesso) interviene la Provvidenza (a cambiare le cose). Ora ti è chiaro quello che era scuro, ma per farti sapere che sono felice di istruirti, aggiungo altro. La natura se incontra disarmonia, come ogni altro seme fuori del suo ambiente, dà un cattivo risultato …”

E se ’l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente. 144

Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch’è da sermone; 147

onde la traccia vostra è fuor di strada».

“…E se sulla terra badassero all’inclinazione fornita dalla natura, seguendola, si avrebbero uomini migliori. Invece si fa diventare prete uno nato per essere soldato, e si fa re uno nato per predicare, per cui si devia del giusto sentiero”.

Poiché la società umana è varia e gli ‘Astri’ inclinano gli uomini verso attitudini diverse per favorirne le molteplici interrelazioni, sarebbe opportuno che illuminati educatori indirizzassero i giovani verso attività consone alle loro capacità e predisposizioni, ma la difficoltà ai tempi di Dante, e pure ai nostri giorni, sta appunto nel reperire questi ‘educatori illuminati’!



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