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		PURGATORIO - CANTO XVI 
        
		 Interpretazione cabalistica di Franca 
		Vascellari 
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		Buio d’inferno e di notte privata 
		d’ogne pianeto, sotto pover cielo, 
		quant’esser può di nuvol tenebrata, 3 
		 non fece al viso mio 
		sì grosso velo 
		come quel fummo ch’ivi ci coperse, 
		né a sentir di così aspro pelo, 6 
		 che l’occhio stare 
		aperto non sofferse; 
		onde la scorta mia saputa e fida 
		mi s’accostò e l’omero m’offerse. 9 
		
		
		Una oscurita` infernale e una notte 
		priva di stelle, sotto un cielo oscurato da nubi, non hanno fatto mai 
		tanto 
		velo 
		(copertura) sul volto del Nostro come quel fumo cosi` aspro che avvolge 
		ora i due Viandanti (sono giunti sulla terza cornice del Purgatorio), 
		tanto che Dante non riesce a tenere gli occhi aperti e si accosta alla 
		Guida, sapiente e fidata, che gli offre la spalla. 
		Sì come cieco va dietro a sua guida 
		per non smarrirsi e per non dar di cozzo 
		in cosa che ’l molesti, o forse ancida, 12 
		 m’andava io per 
		l’aere amaro e sozzo, 
		ascoltando il mio duca che diceva 
		pur: "Guarda che da me tu non sia mozzo". 15 
		
		 Come un 
		cieco va dietro alla sua guida per non smarrirsi e non urtare in 
		qualcosa che lo danneggi o addirittura lo uccida, cosi` il Discepolo va 
		per quella nebbia acre e sporca dietro al Maestro che intanto gli dice: 
		"Guarda che da me tu non sia mozzo” 
		.   
		
		
		Per la legge del contrappasso, gli 
		irosi, che si lasciarono offuscare dai fumi dell’ira ora sono immersi in 
		un infernale fumo acre. Nella Bhagavad Gita (v. ns/ interpretazione 
		cabalistica in 
		
		
		
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		Testi sacri) ad 
		Arjuna, Discepolo sul Sentiero, il Maestro Krisna dice che l’ira e` cio` 
		che spinge al peccato, ‘perché tutto divora malefica, e perché nel mondo 
		essa e` l’avversario’. (canto III v. 37) e gia` (nel canto II v. 62-64) 
		aveva spiegato cosi` l’origine dell’ira: ‘Nell’uomo che di continuo 
		pensa agli oggetti dei sensi sorge l’attrazione per essi; 
		dall’attrazione e` prodotto il desiderio e dal desiderio insoddisfatto 
		nasce l’ira. Dall’ira procede la mancanza di discernimento, dalla 
		mancanza di discernimento la confusione della memoria; dalla confusione 
		della memoria la perdita del raziocinio e dalla perdita del raziocinio 
		l’uomo e` rovinato’. Se dunque i fumi dell’ira fanno perdere il 
		raziocinio e il discernimento, e` giusto che Virgilio (la Ragione) 
		raccomandi a Dante (la personalita`): 
		
		"Guarda che da me tu non sia mozzo” 
		(= sta bene attento a non staccarti da me, qualora dovessi trovarti nei 
		fumi dell’ira). 
		Io sentia voci, e ciascuna pareva 
		pregar per pace e per misericordia 
		l’Agnel di Dio che le peccata leva. 18 
		 Pur ’Agnus Dei’ eran 
		le loro essordia; 
		una parola in tutte era e un modo, 
		sì che parea tra esse ogne concordia. 21 
		Nel frattempo egli sente 
		delle voci che sembrano pregare l’Agnello 
		di Dio ‘che 
		toglie i peccati dal mondo’ (Giovanni. 1, 29 e Isaia 53, 4-7). Le loro 
		preghiere iniziano tutte con 
		
		Agnus Dei 
		e mantengono sempre l’unisono, mostrando cosi` la loro totale armonia. 
		"Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?", 
		diss’io. Ed elli a me: "Tu vero apprendi, 
		e d’iracundia van solvendo il nodo". 24 
		 "Or tu chi se’ che 
		’l nostro fummo fendi, 
		e di noi parli pur come se tue 
		partissi ancor lo tempo per calendi?". 27 
		  
		Così per una voce detto fue; 
		onde ’l maestro mio disse: "Rispondi, 
		e domanda se quinci si va sùe". 30 
		Dante allora chiede: 
		“Maestro, quelli che odo sono i penitenti?” e Lui: “Quello che dici e` 
		corretto, e stanno purificandosi del peccato dell’ira”. Intanto si ode 
		una voce: “Chi sei tu che stai con noi nella nebbia e parli come se 
		ancora pensassi al tempo diviso in mesi (come se fossi vivo)?” E 
		Virgilio: “Rispondi, e domanda se questa e` la strada per salire” E io: "O 
		creatura che ti mondi 
		per tornar bella a colui che ti fece, 
		maraviglia udirai, se mi secondi". 33 
		 "Io ti seguiterò 
		quanto mi lece", 
		rispuose; "e se veder fummo non lascia, 
		l’udir ci terrà giunti in quella vece". 36 
		E Dante allora: O anima 
		che ti purifichi per tornare monda da Chi ti ha creato, se mi assecondi, 
		udrai cose che ti stupiranno”. E quello: “Ti seguiro` per quel che 
		posso, e se il fumo non permette di vederci, l’udito ci fara` stare 
		insieme”. 
		 Allora incominciai: 
		"Con quella fascia 
		che la morte dissolve men vo suso, 
		e venni qui per l’infernale ambascia. 39 
		 E se Dio m’ ha in 
		sua grazia rinchiuso, 
		tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte 
		per modo tutto fuor del moderno uso, 42 
		 non mi celar chi 
		fosti anzi la morte, 
		ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco; 
		e tue parole fier le nostre scorte". 45 
		E Dante a lui: “Salgo 
		(il monte) con quel rivestimento (il corpo) che la morte dissolve; son 
		giunto fin qui attraverso le sofferenze dell’inferno. E se il Signore, 
		per sua grazia, mi ha concesso di accedere al suo Regno in una maniera 
		del tutto straordinaria, non mi nascondere chi fosti prima di morire; 
		dimmelo, e dimmi anche se questa e` la strada giusta per salire, che` le 
		tue parole ci faranno da guida”. 
		 
		"Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco; 
		del mondo seppi, e quel valore amai 
		al quale ha or ciascun disteso l’arco. 48 
		 Per montar sù 
		dirittamente vai". 
		Così rispuose, e soggiunse: "I’ ti prego 
		che per me prieghi quando sù sarai". 51 
		E quello spirito cosi` 
		risponde: “Il mio nome era 
		Marco 
		(marziano, da Marte) 
		
		Lombardo 
		( = forte, uomo gagliardo) pratico delle cose mondane (uomo di corte, 
		contemporaneo del conte Ugolino) amai quei valori ai quali oggi tutti 
		hanno rinunciato. Per salire, vai diritto. Ti prego di pregare per me, 
		quando sarai in Cielo”.   
		
		
		Qui i penitenti, come abbiamo gia` 
		detto, espiano il peccato dell’ira; questo vizio, insieme alla crudelta` 
		e alla violenza, e` inerente alla qelipah scoria della sephirah Geburah, 
		la Forza, la cui virtu` e` la mitezza, (come gia` visto nel canto 
		precedente ,vv. 85-114), ma anche il coraggio, il vigore, la 
		perseveranza. Geburah e`soprattutto 
		il Chirurgo Celeste, 
		l’Uccisore del drago; la Frusta per cio` che e` inutile, egoistico, 
		pigro, disonesto ecc.; Il dio relativo a Geburah e` Marte, il dio della 
		spada che con severita` converte l’energia erroneamente qualificata in 
		energia ‘pura’ avendo la funzione di riportare l’ordine dove si e` 
		creato disordine, e di ‘rettificare’ cio` che si e` ‘distorto’. Difatti 
		in questa cornice il Nostro 
		incontra 
		
		Marco 
		(= marziano) 
		Lombardo 
		(forte) che gli da` la ‘dritta’ per ‘salire il monte: ‘Per 
		montar sù dirittamente vai’. 
		(cfr. in 
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		‘Mumonkan’, 
		7mo*Koan 
		e relativo commento: 
		Mumon : Un monaco 
		chiese ad una vecchia: "Che strada devo prendere per andare sul Monte 
		Gotai?" La vecchia rispose: "Vai sempre diritto" Quando il monaco ebbe 
		fatto pochi passi essa osservo`: "Sembra un bravo monaco, ma anche lui 
		va fuori strada in questo modo").   
		
		
		E io a lui: "Per fede mi ti lego 
		di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio 
		dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.54 
		 Prima era scempio, e 
		ora è fatto doppio 
		ne la sentenza tua, che mi fa certo 
		qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio. 57 
		
		
		E il Viandante a lui: “Per la fede mi 
		impegno a fare cio` che chiedi. Ma ho un dubbio (nel cuore) e scoppio se 
		non me lo levo. Prima era semplice, ora, per cio` che hai detto, e` 
		doppio e mi conferma quello che penso...” 
		Lo mondo è ben così tutto diserto 
		d’ogne virtute, come tu mi sone, 
		e di malizia gravido e coverto; 60 
		 ma priego che 
		m’addite la cagione, 
		sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; 
		ché nel cielo uno, e un qua giù la pone". 63 
		“…Che il mondo sia tutto 
		pieno di cattiveria e vizi e privo di ogni virtu`, come tu dici, e` 
		sicuro; ma ti prego, spiegamene la causa, cosi` che io la comprenda e la 
		mostri agli altri; perché alcuni dicono che dipende dagli astri, altri 
		dall’uomo”. 
		Alto sospir, che duolo strinse in "uhi!", 
		mise fuor prima; e poi cominciò: "Frate, 
		lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. 66 
		 Voi che vivete ogne 
		cagion recate 
		pur suso al cielo, pur come se tutto 
		movesse seco di necessitate. 69 
		Marco 
		prima sospira, poi geme: “Ohime`, fratello, il mondo fisico e` cieco e 
		tu vieni proprio da quello. I viventi attribuiscono ogni causa al cielo, 
		come se tutto fosse ‘necessitato’ (scritto)…” 
		Se così fosse, in voi fora distrutto 
		libero arbitrio, e non fora giustizia 
		per ben letizia, e per male aver lutto. 72 
		 Lo cielo i vostri 
		movimenti inizia; 
		non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica, 
		lume v'è dato a bene e a malizia, 75 
		 e libero voler; che, 
		se fatica ne 
		le prime battaglie col ciel dura, 
		poi vince tutto, se ben si notrica. 78 
		“…Se cosi` fosse non ci 
		sarebbe il libero arbitrio, e non sarebbe giusto avere il premio per 
		aver agito bene e la condanna per aver agito male. Il cielo, gli astri, 
		all’inizio, regolano le vostre inclinazioni, non dico tutte, ma se anche 
		cosi` fosse, con la volonta` vi e` data la possibilita` di scegliere tra 
		bene e male, e se in principio la scelta e` difficile, quando (la 
		volonta`) e` ben educata, essa vince (il male)…”  
		 
		
		
		Eccoci dunque a trattare un tema su 
		cui si potrebbe discutere all’infinito: il libero arbitrio. Il Nostro 
		affronta qui uno dei temi fondamentali della questione esistenziale: 
		siamo noi a decidere del nostro destino o no? Dal ‘Dizionario della 
		lingua italiana’ di G. Devoto 
		e G. C.Oli 
		ricaviamo la 
		definizione: ‘l’arbitrio e` la facolta` di scelta nel giudicare e 
		nell’operare da parte del soggetto’, e ‘l’arbitrio’ e` ‘libero’ quando 
		il soggetto puo` esercitare ‘liberamente’ la sua scelta. Normalmente 
		quando si viene al mondo (e non si ha memoria di vite precedenti) non si 
		sceglie ne` il luogo dove si nasce, ne` il sesso, ne` la famiglia e (di 
		conseguenza) ne` l’educazione, ne` l’istruzione che si ricevera`; pero` 
		gia` con l’eta` della ‘ragione’ si e` in grado di scegliere tra ‘bene’ e 
		‘male’ per esempio se ubbidire o disobbedire ai genitori e ai maestri 
		ecc.. Man mano che gli anni passano le possibilita` di scelta aumentano, 
		ma sono sempre limitate dalle condizioni iniziali (luogo, sesso, 
		famiglia, ecc.) e dai concetti di bene e male acquisiti col crescere in 
		‘quella’ famiglia e in ‘quell’ambiente’ (scuola, amici, cinema, 
		televisione, ecc.) e soprattutto dal carattere che il soggetto intanto 
		si e` formato 
		con le sue 
		inclinazioni, la sua volonta` e la sua coscienza. A questo punto le 
		‘libere scelte’ che sono quindi ‘relative’ a 
		quanto detto sopra, 
		potranno essere liberamente effettuate in conseguenza a cio` che il 
		soggetto giudica Bene o male, per se`e per gli altri. Se il soggetto e` 
		ben inclinato e in famiglia e a scuola e` stato educato secondo una 
		morale ‘buona’, fara` scelte prevalentemente ‘buone’, altrimenti saranno 
		scelte prevalentemente ‘non buone’. Nel primo caso si avra` un soggetto 
		che l’I King, il testo taoista cinese (ed. Astrolabio pag. 601-602), 
		definisce ‘nobile’: 
		“Il nobile acquieta la sua persona prima di mettersi in moto. Egli si 
		raccoglie nella mente prima di mettersi a parlare. Egli non e` 
		strisciante nei suoi rapporti verso l’alto, non e` presuntuoso nei suoi 
		rapporti verso coloro che stanno in basso… ecc.”. Nel secondo caso si 
		avra` un soggetto che l’I King definisce ‘ignobile’: “L’ignobile non si 
		vergogna della durezza di cuore e non rifugge dall’ingiustizia. Dove non 
		vede accenno di vantaggio che lo alletti egli non si muove. Se non lo si 
		intimidisce egli non si emenda… ecc..” (id. pag. 599). Ma ‘quanto’ e` 
		dunque il soggetto responsabile delle sue scelte di Bene o male? Sara` 
		relativo al suo grado di ‘nobilta`’ cioe` al grado di sviluppo 
		coscienziale. Piu` il soggetto e` evoluto spiritualmente, piu` ha 
		‘libero arbitrio’, piu` ha ‘libero arbitrio’, piu` e` responsabile verso 
		la Vita e il Se`. Ricordiamo inoltre che ogni ‘scelta’, a qualunque 
		livello (v. Archetipo n.6 ‘Il Bivio’ in 
		
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		Archetipi), 
		implica una serie di 
		conseguenze determinanti a causa delle quali, dopo la scelta iniziale, 
		non c’e` piu` tanto da scegliere, e che quasi mai il tornare indietro 
		per cambiare strada facilita il raggiungimento di una meta, perché 
		spesso si e` persa l’occasione. Ma e` indubbio che se ci si accorge di 
		aver preso il sentiero sbagliato e` giusto correggere l’errore. L’ideale 
		sarebbe che ogni soggetto, possedendo buone inclinazioni e avendo 
		ricevuto buona educazione, sviluppasse un buon carattere e un buon grado 
		di coscienza, che riuscisse poi 
		a conoscere il vero 
		scopo della sua vita, cioe` quale e` il ‘proprio dovere’, relativo alla 
		sua incarnazione, 
		e liberamente 
		cercasse di compierlo al meglio: v. Bhagavad Gita canto III, v. 35: 
		‘Meglio il proprio 
		dovere benche` imperfettamente compiuto che il dovere di un altro ben 
		eseguito’, sempre tenendo presente che al termine dell’incarnazione si 
		dovra` rendere conto dei ‘talenti ricevuti’ al momento della nascita…(v. 
		Matteo 25, 14-30 e relativa ns/ interpretazione cabalistica in 
		
		
		
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		testi sacri – Commento al vangelo di Matteo). A maggior 
		forza e a miglior natura 
		liberi soggiacete; e quella cria 
		la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua 
		cura. 81
  
		Però, se ’l mondo presente disvia, 
		in voi è la cagione, in voi si cheggia; 
		e io te ne sarò or vera spia. 84 
		“…Voi uomini, essendo 
		liberi, soggiacete ad una Forza maggiore ed ad una Natura migliore di 
		quella del cielo (degli astri); e` quella Divina, che ha creato la 
		vostra mente, che non e` soggetta all’influsso astrologico. Percio` se 
		il mondo di oggi si 
		
		disvia 
		(devia) la causa e` in voi, li` la si cerchi; ed ora te ne daro` la 
		prova…” 
		Esce di mano a lui che la vagheggia 
		prima che sia, a guisa di fanciulla 
		che piangendo e ridendo pargoleggia, 87 
		 l’anima semplicetta 
		che sa nulla, 
		salvo che, mossa da lieto fattore, 
		volontier torna a ciò che la trastulla. 90 
		“…L’anima ignara e 
		semplice, appena esce dalle mani del suo Fattore, che se ne compiace 
		prima che esista, e` come un bambina che ride e piange infantilmente, ma 
		essendo stata creata dal Signore, che e` Bene e Letizia, e` attratta da 
		cio` che la diletta...” 
		Di picciol bene in pria sente sapore; 
		quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, 
		se guida o fren non torce suo amore. 93 
		 Onde convenne legge 
		per fren porre; 
		convenne rege aver, che discernesse 
		de la vera cittade almen la torre. 96 
		“…Dapprima assapora i 
		beni materiali, e li scambia per veri beni, e li insegue, se non e` 
		guidata e frenata nelle sue scelte. Per porre un freno alle scelte 
		sbagliate fu data la legge e un re che riuscisse a vedere della vera 
		Citta` (quella Divina) almeno la torre (la Giustizia)...” Le leggi 
		son, ma chi pon mano ad esse? 
		Nullo, però che 'l pastor che procede, 
		rugumar può, ma non ha l'unghie fesse; 99 
		 per che la gente, 
		che sua guida vede 
		pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta, 
		di quel si pasce, e più oltre non chiede. 102 
		“…Le leggi ci sono, ma 
		chi le applica? Nessuno, perché il 
		
		pastore 
		(il Papa = che dovrebbe occuparsi solo del potere spirituale) puo`
		
		ruminar 
		(ruminare= rimasticare) le Scritture, ma non avendo (come l’animale puro 
		Dt. 14, 1-8) l’unghia fessa 
		(come l’Imperatore = 
		potere temporale, che distingue il Bene dal male) non sa distingue i 
		‘poteri’ (spirituale e temporale), per cui i fedeli che vedono la loro 
		guida, il 
		pastore, 
		tendere solo a quei beni (materiali) di cui sono ghiotti, si nutrono di 
		quelli e non vedono altro…”  
		 
		
		
		Nelle varie ‘funzioni’ attribuite ai 
		ns/ 
		personaggi interiori 
		servitore/funzionario di provincia (= fisico); funzionario di 
		citta`/ministro (= astrale); 
		re/saggio (= mentale) 
		corrispondenti alle 6 linee dell’esagramma dell’I King sull’Albero 
		cabalistico (v. ns/ interpretazione dell’Esagramma in 
		
		
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		I King e Kabbalah), 
		il re (o imperatore) corrisponde alla mente razionale, alla Ragione che 
		deve governare il Regno (la personalita`), e il saggio, (o 
		papa), al mentale 
		superiore, l’Intuizione; e` lei, l’Intuizione, che 
		deve consigliare per 
		il Bene la Ragione, ma senza ‘macchiarsi i guanti’ (v. ns/ lezione 
		spettacolo sull’ Archetipo n. 5, ‘il Papa’ in 
		 www.teatrometafisico.it). 
		Se l’intuizione si ‘sporca i guanti’ seguendo gli interessi materiali, 
		non e` piu` intuizione, ma diventa furbizia, astuzia, egoismo, insomma 
		‘altro’ dall’intuizione, 
		e conduce il Regno, 
		la personalita` dritta 
		dritta nel caos. 
		Ben puoi veder che la mala condotta 
		è la cagion che ’l mondo ha fatto reo, 
		e non natura che ’n voi sia corrotta. 105 
		 Soleva Roma, che ’l 
		buon mondo feo, 
		due soli aver, che l’una e l’altra strada 
		facean vedere, e del mondo e di Deo. 108 
		“…Vedi bene che e` la 
		cattiva condotta (la scelta sbagliata) che ha reso il mondo malvagio e 
		non che la Natura si sia corrotta in voi. Soleva 
		
		Roma 
		(I’Impero Romano)
		che ha ben 
		governato, avere due luci che permettevano di illuminare i due poteri 
		mondano (temporale) e Divino (spirituale)…” 
		 
		L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada 
		col pasturale, e l’un con l’altro insieme 
		per viva forza mal convien che vada; 111 
		 però che, giunti, 
		l’un l’altro non teme: 
		se non mi credi, pon mente a la spiga, 
		ch’ogn’erba si conosce per lo seme. 114 
		“… I due poteri si sono 
		estinti l’uno con l’altro; la spada (simbolo del potere temporale) si e` 
		congiunta col pastorale (simbolo del potere spirituale) e i due poteri, 
		uniti a forza, creano danno; perché congiunti non si temono 
		reciprocamente: se non mi credi, pensa alle conseguenze di cio`: ogni 
		erba si conosce dal frutto (cfr. Matteo 12, 33 e Luca 6, 43-44) In sul paese 
		ch’Adice e Po riga, 
		solea valore e cortesia trovarsi, 
		prima che Federigo avesse briga; 117 
		 or può sicuramente 
		indi passarsi 
		per qualunque lasciasse, per vergogna, 
		di ragionar coi buoni o d’appressarsi. 120 
		“…Prima della lotte 
		iniziate dall’Imperatore 
		Federico 
		(= potente in pace, al bianco, potente in guerra al nero; II), sulla 
		terra irrigata dall’Adige e dal Po (la Lombardia) si trovavano valore e 
		cortesia, ora invece tutto cio` che e` disonesto passa da li`…” 
		Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna 
		l’antica età la nova, e par lor tardo 
		che Dio a miglior vita li ripogna: 123 
		 Currado da Palazzo e 
		’l buon Gherardo 
		e Guido da Castel, che mei si noma, 
		francescamente, il semplice Lombardo. 126 
		 Dì oggimai che la 
		Chiesa di Roma, 
		per confondere in sé due reggimenti, 
		cade nel fango, e sé brutta e la soma". 129 
		“…E` vero, ci sono 
		ancora tre anziani che rimproverano i nuovi costumi dei giovani, i quali 
		sperano che il Signore 
		li chiami presto a 
		miglior vita; e sono: 
		Currado 
		(= audace e saggio)
		da 
		Palazzo e il buon
		Gherardo 
		(= coraggioso) e 
		Guido 
		(silvestre)
		da 
		
		Castel 
		noto come l’onesto
		
		Lombardo 
		(=forte) Quindi comprendi come la 
		
		Chiesa 
		di 
		Roma 
		(il Papato) confondendo in se` i due poteri, cada nel fango e abbrutisca 
		se stessa ed i suoi…”   
		
		Come gia` notato in altri canti il 
		Nostro ricorda qui alcuni personaggi il cui nome per il significato 
		etimologico puo` essere ricondotto alla sephirah di cui si tratta nel 
		canto stesso, in questo caso Geburah, 
		confermando 
		ancora una volta come 
		il nome proprio di un personaggio racchiuda il suo ‘destino’
		come 
		‘inclinazione’ degli astri (nomen omen = il nome e` un presagio); sta 
		poi al personaggio (al suo libero arbitrio) volgere il suo 
		potenziale verso lo 
		sviluppo positivo, facendo fiorire la sephirah che gli compete (la 
		virtu`) o alimentando la qelipah (il vizio) che le si oppone. 
		  
		
		
		"O Marco mio", diss’io, "bene 
		argomenti; e 
		or discerno perché dal retaggio 
		li figli di Levì furono essenti. 132 
		 Ma qual Gherardo è 
		quel che tu per saggio 
		di’ ch’è rimaso de la gente spenta, 
		in rimprovèro del secol selvaggio?". 135 
		
		
		E Dante a lui: “ Caro Marco, tu parli 
		bene; ed ora capisco perché i figli di Levi (la casta sacerdotale degli 
		ebrei) non potevano ereditare. Ma di quale 
		
		Gerardo 
		 parli, 
		dicendo che e` rimasto come uno degli ultimi esemplari dell’epoca 
		passata a rimproverare le nuove generazioni?” 
		"O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta", 
		rispuose a me; "ché, parlandomi tosco, 
		par che del buon Gherardo nulla senta. 138 
		 Per altro sopranome 
		io nol conosco, 
		s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. 
		Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. 141 
		 Vedi l’albor che per 
		lo fummo raia 
		già biancheggiare, e me convien partirmi 
		(l’angelo è ivi) prima ch’io li paia". 144 
		 Così tornò, e più 
		non volle udirmi. 
		
		E lui: “O le tue parole non mi sono 
		chiare o tu vuoi provocarmi, perché, benche` toscano, tu sembri non 
		conoscere il buon 
		Gherardo. 
		Non lo conosco con altro nome. Se non anche come il padre di 
		
		Gaia 
		(= allegra; sua figlia). Che il Signore vi benedica. Non posso 
		accompagnarvi. Ma nota la Luce che gia` si intravede attraverso la 
		cortina di fumo, e` l’Angelo (custode della terza cornice) e debbo 
		lasciarvi prima che mi veda”. Cosi` Marco torna indietro, senza 
		ascoltare altro. 
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