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		PURGATORIO - CANTO XIX 
		Interpretazione cabalistica di Franca 
		Vascellari
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		Ne l’ora che non può ’l calor dïurnointepidar più ’l freddo de la luna,
 vinto da terra, e talor da Saturno 3
 
 - quando i geomanti 
		lor Maggior Fortuna
 veggiono in orïente, innanzi a l’alba,
 surger per via che poco le sta bruna -, 6
 
 mi venne in sogno 
		una femmina balba,
 ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
 con le man monche, e di colore scialba. 9
 Nell’ora in cui i geomanti vedono ad 
		oriente, prima dell’alba, la ‘Fortuna Maggiore’ 
		(il tema geomantico formato da 6 stelle, nella costellazione dei Pesci), 
		quando il calore del giorno, vinto dalla terra e talvolta da 
		
		Saturno, 
		non può riscaldare il freddo della 
		
		luna 
		(nel medioevo si credeva che di notte radiazioni gelide provenissero da 
		Saturno e dalla Luna), ecco che appare in sogno al Nostro una femmina
		
		balba 
		(balbuziente), guercia, sciancata, con le mani monche e di colorito 
		smorto.
 Io la mirava; e come 
		’l sol conforta
 le fredde membra che la notte aggrava,
 così lo sguardo mio le facea scorta 12
 
 la lingua, e poscia 
		tutta la drizzava
 in poco d’ora, e lo smarrito volto,
 com’amor vuol, così le colorava. 15
 Il Discepolo in sogno la 
		guarda e, come il sole scalda le membra fredde, intirizzite dalla freddo 
		notturno, così il suo sguardo (la sua attenzione) le scioglie la lingua, 
		le raddrizza le gambe, e in poco tempo le colora il viso, come fa 
		l’amore.
 
		Quello su cui poniamo l’attenzione 
		viene vivificato e ‘abbellito’ da noi, e noi diventiamo quello su cui 
		mettiamo l’attenzione. La regola base per evitare il male è quella di 
		non dargli il nostro alimento; al contrario invece, dovremmo pensare e 
		sentire, cioè alimentare, energicamente il bene. 
		Poi ch’ell’avea ’l parlar così disciolto,
 cominciava a cantar sì, che con pena
 da lei avrei mio intento rivolto. 18
 
 "Io son", cantava, 
		"io son dolce serena,
 che ’ marinari in mezzo mar dismago;
 tanto son di piacere a sentir piena! 21
 
 Io volsi Ulisse del 
		suo cammin vago
 al canto mio; e qual meco s’ausa,
 rado sen parte; sì tutto l’appago!". 24
 Avendo acquistato la 
		facoltà di parlare, la donna comincia a cantare, e in modo tale che 
		difficilmente Dante si sarebbe da lei distolto. Cantando dice: “Io sono 
		la dolce sirena che attira i marinai in mezzo al mare, tanto è suadente 
		il mio canto! La mia voce ha distratto 
		Ulisse 
		(= ferito alla coscia) dal suo viaggio e chi si abitua a me, 
		difficilmente mi abbandona, tanto lo soddisfo”.
 
		
		La 
		
		donna balba 
		divenuta ‘sirena’ per 
		l’attenzione che l’ha vivificata, è conscia del suo potere sugli uomini, 
		anche su quelli come 
		
		Ulisse 
		(= ferito alla coscia) cioè ‘segnati’ (come 
		Giacobbe 
		ferito all’anca, v. 
		in 
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		miti, Ulisse), 
		dall’incontro con il loro demone interiore che vinto, li ha resi ‘eroi’; 
		essi tuttavia possono 
		resistere alle sue 
		lusinghe, ma solo con l’aiuto della Ragione che deve drasticamente 
		intervenire a smascherarla, come avviene in questo sogno.Ancor non era sua bocca richiusa,
 quand’una donna apparve santa e presta
 lunghesso me per far colei confusa. 27
 
 "O Virgilio, 
		Virgilio, chi è questa?",
 fieramente dicea; ed el venìa
 con li occhi fitti pur in quella onesta. 30
 
 L’altra prendea, e 
		dinanzi l’apria
 fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;
 quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. 33
 Ancora la sua bocca non s’è richiusa che appare accanto al 
		Discepolo una donna santa e solerte per mandarla via. E dice con 
		fierezza: “Virgilio, Virgilio, chi è costei?” Al che la Guida arriva 
		immediatamente tenendo i suoi occhi fissi in quelli della donna onesta: 
		afferra l’altra, le strappa il vestito sul davanti e ne mostra il ventre 
		al Discepolo, che subito, al puzzo che ne esce, si sveglia.
 
		Come già detto in precedenza l’ora 
		migliore per ricevere istruzioni sul piano astrale (Yetzirah), il piano 
		del sogno, è proprio quella indicata all’inizio di questo canto: appena 
		prima dell’alba, quando si è già riposati abbastanza e si ha già, pur 
		dormendo, una certa coscienza di veglia: è il momento magico in cui ci 
		si può mettere in contatto con le nostre ‘potenze’ interiori, per 
		risolvere i nostri problemi prendendo le giuste decisioni. Poiché tutti 
		vanno a dormire e si risvegliano ogni 
		giorno, tutti 
		hanno questa facoltà, 
		ma pochi la sviluppano. Questa facoltà è il ‘dono’ 
		di Yesod, il centro 
		di cui abbiamo parlato nel canto precedente, la cui virtu` e 
		‘l’indipendenza tale da far decidere il ritorno al Padre’ e il vizio 
		l’accidia, che si purifica in questa cornice. 
		
		Il sogno del Nostro è di facile interpretazione: la donna-sirena 
		rappresenta i suoi vizi (qelipoth) ancora da purificare (avarizia, gola, 
		lussuria), la donna onesta le sue tre virtu` corrispondenti (generosità, 
		temperanza, castità) che brilleranno nei suoi centri (sephiroth) dopo la 
		purificazione. Ma è la volontà per mezzo di Virgilio, la Ragione, che 
		opera la scelta ogni volta che il Viandante si trova al Bivio (v. la ns/ 
		lezione-spettacolo sull’Archetipo n. 6, in 
		
		
		www.teatrometafisico.it).Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: "Almen 
		tre
 voci t’ ho 
		messe!", dicea, "Surgi e vieni;
 troviam l’aperta per la qual tu entre". 36
 
 Sù mi levai, e tutti 
		eran già pieni
 de l’alto dì i giron del sacro monte,
 e andavam col sol novo a le reni. 39
 Dante si svegli e apre 
		gli occhi, e Virgilio a lui: “Ti ho chiamato già tre volte, alzati e 
		vieni, troviamo il passaggio per salire. Così il Discepolo si alza: il 
		sole già illumina le cornici del Purgatorio: i due vanno, col sole 
		appena sorto alle spalle.
 Seguendo lui, portava la mia fronte
 come colui che l’ ha di pensier carca,
 che fa di sé un mezzo arco di ponte; 42
 
 quand’io udi’ 
		"Venite; qui si varca"
 parlare in modo soave e benigno,
 qual non si sente in questa mortal marca. 45
 Seguendo la sua Guida il 
		Nostro va pensieroso, chino in avanti; ed ecco che ode una voce soave e 
		benevola, come non si sente sulla terra mortale, dire: “Venite, si passa 
		di qui”.
 Con l’ali aperte, che parean di cigno,
 volseci in sù colui che sì parlonne
 tra due pareti del duro macigno. 48
 
 Mosse le penne poi e 
		ventilonne,
 ’Qui lugent’affermando esser beati,
 ch’avran di consolar l’anime donne. 51
 Colui che ha parlato, 
		con le ali aperte che sembrano di cigno, li fa salire tra due pareti di 
		dura roccia. Poi muove le ali e con esse fa vento (l’Angelo custode 
		della quarta cornice cancella la quarta P dalla fronte del Nostro) e 
		dice: “Coloro che piangono avranno l’animo pieno di consolazione” 
		(‘Beati gli afflitti, perché saranno consolati’ – Matteo 5,4 – v. ns/ 
		‘Commento al vangelo di Matteo’ in 
		
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		Testi sacri)
 "Che hai che pur inver’ la terra guati?",
 la guida mia incominciò a dirmi,
 poco amendue da l’angel sormontati. 54
 
 E io: "Con tanta 
		sospeccion fa irmi
 novella visïon ch’a sé mi piega,
 sì ch’io non posso dal pensar partirmi". 57
 Allontanatisi i due 
		dall’Angelo, Virgilio chieda a Dante: “Che hai che continui a guardare 
		in terra?” E Dante a lui: “La visione che ho avuto in sogno mi chiama a 
		sé e mi rende tanto perplesso che non posso smettere di pensarci”.
 "Vedesti", disse, "quell’antica strega
 che sola sovr’a noi omai si piagne;
 vedesti come l’uom da lei si slega. 60
 
 Bastiti, e batti a 
		terra le calcagne;
 li occhi rivolgi al logoro che gira
 lo rege etterno con le rote magne". 63
 La Guida rassicura il 
		Discepolo: “Hai veduto 
		l’antica strega 
		(= la prostituta – cfr. in 
		
		
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		Testi sacri ns/ commento all’ ‘Apocalisse di Giovanni’ il cap. 17) i cui 
		vizi vengono purificati nelle cornici di sopra, ed hai visto come ci si 
		libera di lei. Ciò ti basti, ora accelera il passo e rivolgi la tua 
		attenzione alle bellezze eterne create dal Signore”.
 Quale ’l falcon, che prima a’ piè si mira,
 indi si volge al grido e si protende
 per lo disio del pasto che là il tira, 66
 
 tal mi fec’io; e 
		tal, quanto si fende
 la roccia per dar via a chi va suso,
 n’andai infin dove ’l cerchiar si prende. 69
 Come il falcone prima si 
		guarda le zampe e poi si protende verso il grido (di richiamo) attirato 
		dal cibo, così fa il Nostro, e sale diritto per tutto il passaggio che 
		taglia la roccia, fino alla cornice successiva.
 Com’io nel quinto giro fui dischiuso,
 vidi gente per esso che piangea,
 giacendo a terra tutta volta in giuso. 72
 
 ’Adhaesit pavimento 
		anima mea’
 sentia dir lor con sì alti sospiri,
 che la parola a pena s’intendea. 75
 Giunto nella quinta 
		cornice vede i penitenti che piangono, giacendo a terra, volti in giù, e 
		li sente pregare così: ‘La mia anima si è attaccata alla terra’, ma con 
		tali sospiri che le parole si intendono appena. (Sono le parole del 
		Salmo 118, 25: ‘Io sono prostrato nella polvere, vivificami secondo la 
		Tua parola’).
 "O eletti di Dio, li cui soffriri
 e giustizia e speranza fa men duri,
 drizzate noi verso li alti saliri". 78
 
 "Se voi venite dal 
		giacer sicuri,
 e volete trovar la via più tosto,
 le vostre destre sien sempre di fori". 81
 Virgilio a loro: “O 
		eletti del Signore, le cui sofferenze sono mitigate dalla speranza e 
		dalla giustizia, mostrateci la strada per salire”. Ed ecco la risposta: 
		“Se voi non siete giunti fin qui per giacere (come noi), e volete 
		trovare la via più in fretta, fate che la vostra destra sia sempre 
		all’esterno”.
 
		Ancora una volta è ribadito (come nei 
		canti IX e XIII) che la risalita dell’Albero avviene ‘andando a destra’, 
		cioè seguendo il corso del Sole.Così pregò ’l poeta, e sì risposto
 poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
 nel parlare avvisai l’altro nascosto, 84
 
 e volsi li occhi a 
		li occhi al segnor mio:
 ond’elli m’assentì con lieto cenno
 ciò che chiedea la vista del disio. 87
 Ricevuta quella 
		risposta, Dante desidera conoscere l’interlocutore e volge gli occhi, 
		per ricevere istruzioni, alla Guida che annuisce lietamente alla 
		richiesta del suo sguardo.
 
		
		Poi ch’io potei di me fare a mio 
		senno,trassimi sovra quella creatura
 le cui parole pria notar mi fenno, 90
 
 dicendo: "Spirto in 
		cui pianger matura
 quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi,
 sosta un poco per me tua maggior cura. 93
 
 Chi fosti e perché 
		vòlti avete i dossi
 al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
 cosa di là ond’io vivendo mossi". 96
 Avendone ricevuto il permesso, il 
		Discepolo si avvicina a quell’anima che ha parlato e chiede: “Spirito il 
		cui pianto matura quella purificazione senza la quale non si può tornare 
		al Creatore, interrompi un poco la tua 
		maggior cura 
		(la penitenza). Dimmi chi fosti, perché qui state bocconi, e anche se 
		vuoi che io chieda per te qualcosa nel mondo dei vivi”.
 Ed elli a me: "Perché i nostri diretri
 rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
 scias quod ego fui successor Petri. 99
 
 Intra Sïestri e 
		Chiaveri s’adima
 una fiumana bella, e del suo nome
 lo titol del mio sangue fa sua cima. 102
 
 Un mese e poco più 
		prova’ io come
 pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
 che piuma sembran tutte l’altre some. 105
 E lo spirito a Dante: 
		“Conoscerai il perché della nostra posizione (bocconi), ma prima sappi 
		che io fui un successore di Pietro (è papa Adriano V, pontefice per soli 
		38 giorni nel 1276). Tra 
		
		Siestri 
		(= da segesta = citta`) e 
		
		Chiaveri 
		(= Chiavari = ghiaiosa) scorre un bel torrente (il Lavagna) da cui la 
		mia famiglia deriva il titolo (conti di Lavagna). Per poco più di un 
		mese provai quanto pesa, e tutti gli altri pesi al confronto sembrano 
		piume, il 
		gran manto 
		(= il pontificato) a chi vuol tenerlo lontano dal fango …”.
 La mia conversïone, omè!, fu tarda;
 ma, come fatto fui roman pastore,
 così scopersi la vita bugiarda. 108
 
 Vidi che lì non 
		s’acquetava il core,
 né più salir potiesi in quella vita;
 per che di questa in me s’accese amore. 111
 “…La mia conversione, 
		ahimè, giunse tardi; ma divenuto vescovo di Roma, scoprii la falsità di 
		(quella) vita. Vidi che là non c’era né pace, né progresso; ed in me 
		s’accese l’amore per la vita ultraterrena…”
 Fino a quel punto misera e partita
 da Dio anima fui, del tutto avara;
 or, come vedi, qui ne son punita. 114
 
 Quel ch’avarizia fa, 
		qui si dichiara
 in purgazion de l’anime converse;
 e nulla pena il monte ha più amara. 117
 “…Fino ad allora ero 
		stato lontano dal Signore e molto avaro; perciò mi vedi qui punito. 
		Quello che causa l’avarizia si mostra qui, nella penitenza delle anime 
		pentite; questa è la pena più dura del Purgatorio…”
 Sì come l’occhio nostro non s’aderse
 in alto, fisso a le cose terrene,
 così giustizia qui a terra il merse. 120
 
 Come avarizia spense 
		a ciascun bene
 lo nostro amore, onde operar perdési,
 così giustizia qui stretti ne tene, 123
 
 ne’ piedi e ne le 
		man legati e presi;
 e quanto fia piacer del giusto Sire,
 tanto staremo immobili e distesi". 126
 “…Come il nostro occhio 
		non si volse verso l’alto perché 
		tutto attratto dagli 
		interessi terreni (bassi), così qui la Giustizia lo costringe a terra. 
		Come l’avarizia ci ha spento l’amore verso il bene, per cui il nostro 
		agire si è perduto, così qui la Giustizia ci tiene prigionieri, legati 
		mani e piedi e così resteremo fino a quando vorrà la Giustizia del 
		Signore”.
 
		
		Nella quinta cornice si espiano i peccati di avarizia e di 
		prodigalità, cioè la dismisura nel tenere (avarizia) o nel dare 
		(prodigalità - cfr. ns/ commento a ‘La mano di Mokusen’ in 
		
		
		
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		appuntamenti - 2 Storie Zen). Per la 
		Kabbalah l’avarizia e la prodigalità sono i vizi relativi alla scoria 
		(qelipah) della sephirah 
		Hod (Splendore) che è 
		situata alla base della colonna di sinistra dell’Albero cabalistico 
		ed è detta la 
		sephirah dell’Intelligenza Perfetta; essa emana la sua particolare 
		essenza da Chesed (Giustizia), e con Netzach (Vittoria) che ne è la 
		‘forza’, dà la ‘forma’ alla consapevolezza dell’astrale. 
		Mercurio-Ermete, il dio che presiede alle scienze, ai commerci, al 
		denaro, 
		alle ricchezze, 
		all’oratoria, alla scaltrezza, ne è il protettore e il custode. La 
		fioritura di Hod permette al Discepolo sul Sentiero di discernere dietro 
		le apparenze delle cose create il Creatore, e di 
		divenirne un 
		cosciente collaboratore, così da poter mettere ordine nel disordine e 
		riequilibrare ciò che è squilibrato.Io m’era inginocchiato e volea dire;
 ma com’io cominciai ed el s’accorse,
 solo ascoltando, del mio reverire, 129
 
 "Qual cagion", 
		disse, "in giù così ti torse?".
 E io a lui: "Per vostra dignitate
 mia coscïenza dritto mi rimorse". 132
 Allora Dante 
		s’inginocchia per seguitare a parlare col penitente che è stato papa, ma 
		questo, accortosi dalla voce del sua atto reverenziale gli chiede: 
		“Perché mai ti prostri?” e Dante a lui: “ La mia coscienza mi impedisce 
		di stare ritto dinanzi alla dignità dell’alta carica”.
 "Drizza le 
		gambe, lèvati sù, frate!",
 rispuose; "non errar: conservo sono
 teco e con li altri ad una podestate. 135
 
 Se mai quel santo 
		evangelico suono
 che dice ’Neque nubent’intendesti,
 ben puoi veder perch’io così ragiono. 138
 E quello: “Alzati in 
		piedi, fratello e non commettere errori: siamo tutti servi di un Solo 
		Signore. Se ricordi il detto evangelico che dice: ‘Non si sposeranno’ 
		(in Matteo 22, 30: ‘Alla resurrezione non si prende né moglie né marito, 
		ma si è come angeli nel cielo’), puoi comprendere perché dico questo…”
 Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
 ché la tua stanza mio pianger disagia,
 col qual maturo ciò che tu dicesti. 141
 
 Nepote ho io di là 
		c’ ha nome Alagia,
 buona da sé, pur che la nostra casa
 non faccia lei per essempro malvagia; 144
 
 e questa sola di là 
		m’è rimasa".
 
		“…Ma ora va via, non voglio che ti 
		fermi oltre, perché il tuo rimanere ritarda la mia penitenza che matura 
		lo scopo che hai sopra detto. Io ho tra i vivi ancora solo una nipote di 
		nome Alagia 
		(= Adalgisa= di forte intelletto), buona di natura, purché la nostra 
		stirpe non la guasti, (dille di pregare per me)”. |