PURGATORIO - CANTO XXI


Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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La sete natural che mai non sazia
se non con l’acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia, 3

mi travagliava, e pungeami la fretta
per la ’mpacciata via dietro al mio duca,
e condoleami a la giusta vendetta. 6
Tormenta il Nostro la sete genuina che mai si soddisfa se non con l’acqua (di Vita), quell’acqua che la samaritana (donna di Sicar, città della Samaria) chiese (a Gesù; Giovanni 4, 15 v. ns/ commento in www.taozen.it  Testi sacri); ma la fretta lo spinge sulla via difficoltosa, dietro alla sua Guida, mentre si impietosisce per la giusta sofferenza (dei penitenti).

Il Discepolo sul Sentiero ci confessa di avere sete dell’Acqua di Vita e si paragona alla samaritana che al pozzo di Giacobbe conosce il Cristo. La natura umana (Malkuth) anela all’incontro con l’Io Sono, (Daath) e lo scuotimento e il grido del canto precedente preparano il terreno per tale esperienza, ma egli deve ancora attendere il momento giusto, seguire il Sentiero e amare le prove che lo costellano.
Ed ecco, sì come ne scrive Luca
che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
già surto fuor de la sepulcral buca, 9

ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
dal piè guardando la turba che giace;
né ci addemmo di lei, sì parlò pria, 12

dicendo: "O frati miei, Dio vi dea pace".
Noi ci volgemmo sùbiti, e 
Virgilio
rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface. 15
Allora, come è scritto nel vangelo di  Luca (= che fa luce; Lc. 24, 13-15) che Cristo (= l’unto) risorto dal sepolcro, apparve ai due discepoli (sulla via di Emmaus), ecco che appare dietro ai due Pellegrini, ma se ne avvedono solo quando inizia a parlare, uno spirito, attento a scansare i penitenti che giacciono bocconi, che dice: “ Fratelli miei, Il Signore vi doni la pace”. Allora i due si volgono e Virgilio con un cenno adeguato gli rende il saluto. 

Anche questo secondo paragone tratto dal vangelo di Luca (= che fa luce) rivela l’anelito di Dante (= colui che persevera) all’incontro col suo Sé e il saluto che mette in bocca al nuovo arrivato è lo stesso che il Cristo rivolge agli Apostoli quando appare loro, dopo la Resurrezione, nell’interno della loro abitazione (Vangelo di Luca, 24, 36): “Pace a voi!”
Poi cominciò: "Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne l’etterno essilio". 18

"Come!", diss’elli, e parte andavam forte:
"se voi siete ombre che Dio sù non degni,
chi v’ ha per la sua scala tanto scorte?". 21
Poi così parla Virgilio: “La Corte celeste che mi condanna all’esilio eterno  ti accolga in pace nel concilio dei beati”. E, mentre (i tre) camminano in fretta, quello replica (meravigliato): “Come! Se voi non siete anime degne del Cielo,  come siete arrivati fin quassù?”
E ’l dottor mio: "Se tu riguardi a’ segni
che questi porta e che l’angel profila,
ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni. 24

Ma perché lei che dì e notte fila
non li avea tratta ancora la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila, 27

l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
venendo sù, non potea venir sola,
però ch’al nostro modo non adocchia. 30
E il Maestro: “Se noti i segni, incisi dall’angelo, che costui ha in fronte (le ‘P’), capirai che senz’altro lui sarà tra i beati. Ma poiché quella che fila di continuo (Lachesi, una delle tre Parche) non ha ancora finito di filare la sua conocchia (dal latino ‘conus’ = a forma di cono; ma anche dal tedesco ‘kankel’ = tela di ragno, filo), quella che Cloto (= ‘filo’, la Parca che inizia il filo della vita di ogni uomo) impone e avvolge per ciascuno (e che al termine della vita Atropo, la terza Parca, taglia), la sua anima, sorella della tua e della mia, non poteva compiere questo viaggio da sola, non vedendo come noi (con gli occhi dell’intelletto)...”

Che Dante sia un ‘eletto’, destinato alla beatitudine (alla Reintegrazione), lo dimostrano  i segni sulla sua fronte della ‘purificazione in corso’; ma proprio perché tale purificazione si  compie mentre  ancora il ‘filo della sua vita’ si sta svolgendo, egli necessita della guida dell’intelletto (dal latino ‘inter’= tra e ‘lectus’ = scelto; di chi sceglie la cosa giusta per lui, cioè della guida di Virgilio = il nocchiero).
Ond’io fui tratto fuor de l’ampia gola
d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
oltre, quanto ’l potrà menar mia scola. 33

Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una
parve gridare infino a’ suoi piè molli". 36
“…Per questo io fui fatto uscire dall’abisso infero, per essergli da guida, e lo sarò ancora per quanto potrò. Ma dimmi, se lo sai, perché tutto il monte si è scosso poco fa e perché tutto parve gridare fino alle sue radici immerse nel mare”.
Sì mi diè, dimandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
si fece la mia sete men digiuna. 39

Quei cominciò: "Cosa non è che sanza
ordine senta la religïone
de la montagna, o che sia fuor d’usanza. 42

Libero è qui da ogne alterazione:
di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
esser ci puote, e non d’altro, cagione. 45
Con tale domanda il Maestro ha infilato la cruna del desiderio del Discepolo, (cioè ne esaudisce la brama) cosicché la speranza della spiegazione calma la sua sete di sapere (quale sia la causa dello scuotimento e del grido, v. canto XX vv.145-151). Lo spirito comincia a dire: “Non esiste nulla su questo monte che non sia motivato e usuale. Qui non ci sono alterazioni. Ciò che qui accade è l’effetto di ciò che il Cielo da Sé in Sé vuole, null’altro…”

Il nuovo arrivato spiega che lo scuotimento e il grido consequenziale non sono fatti esteriori, ma interiori, legati alla Volontà Celeste; essi precedono l’esperienza che nello Zen è chiamata ‘Illuminazione’. Allorché si è raggiunto un certo grado di purificazione  e si ha un’inestinguibile sete dell’Acqua di Vita, ‘qualcosa’ accade, spesso è accompagnato dalla manifestazione del ‘Tremendum’.
Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina più sù cade
che la scaletta di tre gradi breve; 48

nuvole spesse non paion né rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,
che di là cangia sovente contrade; 51

secco vapor non surge più avante
ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai,
dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante. 54
“…Dopo i tre gradini (della porta del Purgatorio, su per tutto il monte) non cade né pioggia, né neve, né grandine, né rugiada, né brina; né (nel cielo di qua) compaiono mai nubi, né fitte né rade, né fulmini, neppure compare la figlia di Taumante (= Taumazia = meraviglia di colori = Iride o ‘arcobaleno’), fenomeni variabili nel mondo fisico,  né il vapor secco (secondo la credenza medievale causa dei terremoti) si manifesta oltre l’ingresso dove risiede il vicario di Pietro (= la roccia, il Malkuth; l’angelo portinaio)…” 

…Il ‘Purgatorio’ non è il mondo fisico (Assiah), ma corrisponde al mondo astro-mentale; quelle perturbazioni che nel corpo fisico (assianico) sono legate ai quattro elementi che ne regolano la salute e le condizioni, nel mondo astro – mentale (di Yetzirah e Briah), mondo dei sogni, che inizia con il centro Yesod, dove  c’è il vicario di Pietro, cioè il ‘Guardiano della Soglia’, tali fenomeni sono regolati dalla volontà del Sé che manda i segni giusti al momento giusto, quando la personalità è pronta per riceverli; allora ‘si produce’ in lei  il Gloria in excelsis Deo.
Trema forse più giù poco o assai;
ma per vento che ’n terra si nasconda,
non so come, qua sù non tremò mai. 57

Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, sì che surga o che si mova
per salir sù; e tal grido seconda. 60
“…Forse più in basso la terra trema, poco o molto, ma qui, non so come, non trema, come sul mondo per i venti che si nascondono in essa. Trema quando uno spirito (che era penitente) si sente purificato e sorge e si muove per ascendere al Cielo e allora il grido (di tutti) lo asseconda….”

Il ‘grido’ che è poi il canto angelico  (del vangelo di Luca  2, 14) è esaltazione di gioia e comunione. Perché quando nei piani sottili si verifica una ‘Illuminazione’, tutto l’Albero si ‘illumina’ e si glorifica.
De la mondizia sol voler fa prova,
che, tutto libero a mutar convento,
l’alma sorprende, e di voler le giova. 63

Prima vuol ben, ma non lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento. 66
“…Dell’avvenuta purificazione è prova la volontà, che ora tutta libera di mutare ‘luogo’, occupa l’anima e la spinge (a salire). L’anima anche prima della purificazione vorrebbe salire ma, dovendo adempiere alla giustizia divina, è contrastata dal suo desiderio di espiare, come essa  in vita contrastò il desiderio del bene, peccando…”
E io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecent’anni e più, pur mo sentii
libera volontà di miglior soglia: 69

però sentisti il tremoto e li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii". 72
“…Io, che ho espiato qui (i miei peccati) per più di cinquecento anni, ora ho sentito il libero desiderio di un miglior ‘luogo’; per questo hai sentito lo scuotimento e il grido delle anime pie che rendono lode al Signore (Il Gloria in excelsis Deo del canto XX , v. 136) affinché li faccia salire al più presto”.

Il numero 500, formato dal 5 (Archetipo del Papa) e dal 100 (numero relativo all’Archetipo del Sole – v, ns/ Lezioni spettacolo sugli Archetipi in www.teatrometafisico.it) ci suggerisce che per poter essere liberi di desiderare un miglior ‘luogo’ nel nostro mondo astro-mentale, cioè di desiderare liberamente di salire di livello coscienziale, occorre aver purificato il proprio Papa e il proprio Sole interiori, allora sarà possibile avere  l’esperienza del ‘Tremendum’.
Così ne disse; e però ch’el si gode
tanto del ber quant’è grande la sete,
non saprei dir quant’el mi fece prode. 75

E ’l savio duca: "Omai veggio la rete
che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
perché ci trema e di che congaudete. 78

Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia,
e perché tanti secoli giaciuto
qui se’, ne le parole tue mi cappia". 81
Così lo spirito parla, e il Nostro non sa dire quanto il suo discorso lo renda pago, perché si gode del bere per quanto è grande la sete. E Virgilio: “Adesso intendo bene il legame che vi costringe qui e come ve ne liberate, la causa dello scuotimento e la gioia del grido che vi unisce. Ora però ti piaccia farmi conoscere chi sei stato (in vita) e chiariscimi perché sei rimasto qui tanti secoli”. 
"Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto
del sommo rege, vendicò le fóra
ond’uscì ’l sangue per Giuda venduto, 84

col nome che più dura e più onora
era io di là", rispuose quello spirto,
"famoso assai, ma non con fede ancora. 87
E quello risponde: “ Al tempo in cui l’imperatore Tito (= difensore) vendicò l’uccisione di Colui che fu tradito da Giuda (con la distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C.) io ero di là (vivo), molto noto, ma ancora senza fede…”
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto. 90

Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma. 93
“…La mia poesia fu tanto dolce che, benché di Tolosa (notizia storica falsa, nacque a Napoli: 45-96 d. C.),  mi condusse a Roma (= città che nutre) e lì meritai la corona di mirto. Il mio nome, ancora famoso, fu Stazio (= da s-tatio = mai anziano, mai vecchio, cioè ‘il sempre giovane’); composi la ‘Tebaide’ (= luogo selvaggio ed inospitale) e ‘l’Achilleide’ (relativo all’‘aquila’), rimasto incompiuto al secondo libro…” 

Ecco che finalmente questo personaggio (ennesima componente interiore del Discepolo sul Sentiero)  che è stato annunciato ‘dallo scuotimento e dal grido’ si rivela: il suo nome è  Stazio, ‘il sempre giovane’; ha sviluppato (e condannato) la Tebaide (=  poema sul ‘luogo selvaggio e inospitale’- dell’Albero, luogo degli incesti, degli odi, delle lotte fratricide, v. in www.teatrometafisico.it  i copioni di ‘Edipo re’ ed ‘Antigone’ e relative interpretazioni cabalistiche) e iniziato (anche se lasciato incompiuto) l’Achilleide (poema relativo all’‘aquila’, animale simbolo dell’autorità, della maestà, del potere spirituale,  ecc. ); egli, benché non cristiano, era già conosciuto al tempo di Tito, il ‘difensore del Cristo’ e ricevette la corona in Roma (la città che nutre), cioè: egli, benché non cristiano (pur non appartenendo all’Io Sono, al Cristo, a Daath),  ha favorito e alimentato il centro della Coscienza (Daath). Con lui e per lui il Nostro si ‘illumina’, infatti Stazio che ha purificato il proprio ‘Papa’ e il proprio ‘Sole’ è ora già in grado di salire al Cielo.
Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati più di mille; 96

de l'Eneïda dico, la qual mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz'essa non fermai peso di dramma. 99

E per esser vivuto di là quando
visse Virgilio, assentirei un sole
più che non deggio al mio uscir di bando". 102
“…Il mio ardore poetico ebbe origine e nutrimento dalla divina fiamma a cui si sono scaldati più di mille poeti, parlo dell’Eneide ( =poema su ‘Enea’, il pio, il devoto) che con la sua  poesia mi fece da madre e da nutrice; senza di essa non avrei scritto nulla. E per esser vissuto nel mondo al tempo di Virgilio, accetterei di rimanere in Purgatorio un altro anno”.

Stazio, il principio coscienziale del Nostro, parlando di se`, riconosce di essersi nutrito e scaldato alla fiamma dell’Eneide (v. in www.teatrometafisico.it  il copione e relativa interpretazione cabalistica)  il poema dedicato all’eroe ‘lodevole’, pio e devoto alla volontà del Cielo, di cui l’autore è Virgilio, la vigile Ragione, che avrebbe tanto voluto conoscere. Stazio è dunque  ‘figlio’ di Virgilio, da lui proviene e senza di lui non sarebbe stata possibile la sua ‘poesia’. Come dire che l’Illuminazione che già appartiene all’Intuizione, si può avere solo dopo aver lasciato la Ragione ma non senza di essa. E` questa la tecnica suggerita dai Koan Zen: ricevuto un Koan dal Maestro bisogna lavorarci sopra con la razionalità fino a che essa si frantuma, solo allora può subentrare l’Illuminazione (v. www.teatrometafisico.it  Mumonkan e relativo commento).
Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, disse ’Taci’;
ma non può tutto la virtù che vuole; 105

 ché riso e pianto son tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne’ più veraci. 108
Queste parole fanno volgere Virgilio verso Dante con un’espressione che gli impone di tacere; ma la virtù del ‘volere’ non può tutto, riso e pianto sono talmente legati alla passione che li genera che, tanto più sono sinceri, tanto meno sono obbedienti alla volontà.
Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca;
per che l’ombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca; 111

e "Se tanto labore in bene assommi",
disse, "perché la tua faccia testeso
un lampeggiar di riso dimostrommi?". 114
Il Nostro sorride appena, come colui che ammicca, per cui Stazio tace, ma lo guarda fisso negli occhi, dove di più si rivela l’espressione, e gli chiede: “ Se riesci ad assommare tanto bene, perché hai sorriso cosi`?”
Or son io d’una parte e d’altra preso:
l’una mi fa tacer, l’altra scongiura
ch’io dica; ond’io sospiro, e sono inteso 117

dal mio maestro, e "Non aver paura",
mi dice, "di parlar; ma parla e digli
quel ch’e’ dimanda con cotanta cura". 120
Dante si trova come tra due fuochi: uno vuole che taccia, l’altro che parli, così emette un sospiro; il Maestro capisce il suo imbarazzo e gli dice: “Non temere, parla, e digli quel che vuol sapere”.
Ond’io: "Forse che tu ti maravigli,
antico spirto, del rider ch’io fei;
ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli. 123

Questi che guida in alto li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forte a cantar de li uomini e d’i dèi. 126

Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti". 129
Allora Dante a Stazio: “Antico spirito, forse tu ti meravigli del mio sorriso, ma voglio stupirti ancora di più. Questo, che guida i miei occhi in alto, è quel Virgilio da cui hai preso l’ispirazione per cantare uomini e dei. Se hai pensato che ci fosse un'altra ragione per il mio ridere, dimenticala, non è vera; ma ritieni vere le parole che hai detto di lui”.
Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: "Frate,
non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi". 132

Ed ei surgendo: "Or puoi la quantitate
comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
quand’io dismento nostra vanitate, 135

trattando l’ombre come cosa salda".

Già Stazio si china ad abbracciare i piedi di Virgilio, ma questi lo ferma dicendo: “Fratello, non farlo, tu sei un’anima e tale sono io”. E quello rialzandosi: “Ora puoi ben comprendere l’amore che ho per te, quando mi dimentico che siamo ombre, trattandole come cose solide”.

“Facciamo incontrare due nostre componenti interiori e stiamo a vedere quello che succede”, sembra dirci il Nostro sorridendo; e sorridendo gioca con i suoi personaggi come se fossero vivi, ‘ma sono solo ombre’ dice la Ragione: ‘solo ombre!’… ed ha pienamente ragione!

 

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