PURGATORIO - CANTO XXVII


Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Sì come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l’alta Libra, 3

e l’onde in Gange da nona rïarse,
sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,
come l’angel di Dio lieto ci apparse. 6
Albeggia dove il Cristo ha sparso il suo sangue (a Gerusalemme sono le sei del mattino); il fiume Ebro si trova sotto la Bilancia (in Spagna è mezzanotte); sul Gange  è l’ora nona (in India è mezzogiorno); perciò (in Purgatorio) il sole sta tramontando quando ai tre Pellegrini appare il beato Angelo (della castità, custode della settima cornice).   
Fuor de la fiamma stava in su la riva,
e cantava ’Beati mundo corde!’
in voce assai più che la nostra viva. 9

Poscia "Più non si va, se pria non morde,
anime sante, il foco: intrate in esso,
e al cantar di là non siate sorde", 12

ci disse come noi li fummo presso;
per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,
qual è colui che ne la fossa è messo. 15
Egli sta sul margine esterno della fiamma e canta: “Beati i puri di cuore” (la sesta delle beatitudini del vangelo di Matteo 5, 8 v. in
www.taozen.it  Testi sacri ns/ relativo commento) con una voce assai più squillante delle voci umane e poi, quando i tre gli sono vicini, continua: “ Anime sante, non vi è possibile proseguire se prima non vi purifica il foco; entrate in esso e siate attenti al canto che vi si ode aldilà”. A queste parole il Nostro diventa (atterrito) come chi è messo in una fossa.

Per poter accedere al Piano Spirituale (Atzilutico) si deve oltrepassare il fuoco del piano mentale (Briatico); questo è quanto richiesto dall’Angelo della castità che celebra la ‘beatitudine dei puri di cuore’. La castità (dal latino ‘cadstus’, da una radice sanscrita ‘cudh-ye’ = lavarsi, purificarsi) è prerogativa oltre che della sfera fisica, anche e soprattutto di quella astrale (dei sentimenti ) e mentale (dei pensieri); la parola corde (= cuore dal greco kardia, dal sanscrito ‘hard-aya’ = vibrare) indica chiaramente che per giungere alla beatitudine  = condizione dell’anima perfetta, che usufruisce della contemplazione del Divino, si devono purificare le ‘vibrazioni’ dei tre corpi inferiori (fisico, astrale, mentale) con il foco (dal greco ‘phao’ = splendo); questo ‘fuoco’ può atterrire chi conosce solo il fuoco fisico, ma lo ‘splendore’ mentale che deve accelerare le vibrazioni dei corpi del Discepolo a questo punto del Viaggio, è tutt’altra cosa, e deve essere affrontato con estremo coraggio e tecniche opportune.
In su le man commesse mi protesi,
guardando il foco e imaginando forte
umani corpi già veduti accesi. 18

Volsersi verso me le buone scorte;
Virgilio mi disse: "Figliuol mio,
qui può esser tormento, ma non morte. 21
Dante con le mani giunte si protende verso l’alto, guardando il fuoco e ricordando i corpi umani arsi, visti in passato. Le due buone Guide (Virgilio e Stazio) si volgono verso di lui e Virgilio (= la verga) dice: “Figlio mio, ciò potrà procurarti sofferenza, ma non morte…”
Ricorditi, ricorditi! E se io
sovresso Gerïon ti guidai salvo,
che farò ora presso più a Dio? 24

Credi per certo che se dentro a l’alvo
di questa fiamma stessi ben mille anni,
non ti potrebbe far d’un capel calvo. 27
“…Rammenta, rammenta! Se io ti ho guidato a salvezza quando eri sulla groppa di Gerïon (
v. inferno canto XVII; Gerione che significa ‘l’uomo  più forte’ o anche  ‘fulmine’, o ‘dalla voce potente’, nella  mitologia  greca  viene ucciso da Eracle  nella  decima  fatica perché  nutre i suoi buoi con carne umana - v. www.taote.it  miti) che cosa non farò per te ora che siamo vicini al Signore? Sta sicuro che se anche dovessi stare per mille anni all’interno di questa fiamma, non perderesti neanche un capello…”
E se tu forse credi ch’io t’inganni,
fatti ver’ lei, e fatti far credenza
con le tue mani al lembo d’i tuoi panni. 30

Pon giù omai, pon giù ogne temenza;
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!".
E io pur fermo e contra coscïenza. 33

Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: "Or vedi, figlio:
tra Bëatrice e te è questo muro". 36
“…E se tu credi che io possa ingannarti, avvicinati ad essa e convinciti, mettendole a contatto un lembo del tuo vestito. Abbandona ogni timore, volgiti da questa parte ed entra sicuro!” Ma Dante rimane fermo, ribelle alla sua coscienza. Allora Virgilio, vedendolo fermo e ostinato, un poco turbato, dice: “Figlio, sta attento, tra te e Beatrice ora c’è solo questo ostacolo”.

Con vari argomenti la ragione cerca di convincere la personalità a superare quest’ulteriore prova. Ma i ragionamenti da soli non fanno vincere la paura del fuoco. Sicché il Nostro resta fermo e contra coscïenza: è l’attaccamento alla fisicità della personalità che oppone l’ultima resistenza all’esperienza spirituale; la paura del fuoco, del suo splendore, non è altro che un ‘difetto’, una mancanza di coraggio, (virtu` della sephirah Geburah); però presto la Ragione, trova l’argomento convincente: sollecita il cuore (fa vibrare la corda giusta) del Discepolo ri-cordandogli il nome della donna amata: Beatrice, colei che conduce alla beatitudine.
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte, e riguardolla,
allor che ’l gelso diventò vermiglio; 39

così, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
che ne la mente sempre mi rampolla. 42
Come Piramo (= ricco di frumento; già morto) all’udire il nome di Tisbe (l’amata) aprì gli occhi e la guardò, quando il gelso mutò il colore dei fiori da bianco in vermiglio (Metamorfosi IV di Ovidio: i due amanti, figli di famiglie in odio, si uccisero credendo l’uno nella morte dell’altra; gli dei concessero loro di morire insieme e mutarono, in loro ricordo, il colore del fiore del gelso – la storia è raccontata anche da Shakespeare in ‘Sogno di una notte di mezza estate’ e il mito è ripreso poi in ‘Romeo e Giulietta’), così l’ostinazione di Dante, ammorbidita dal nome di colei che gli è sempre nella mente, lo fa volgere alla sua Guida.
Ond’ei crollò la fronte e disse: "Come!
volenci star di qua?"; indi sorrise
come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. 45

Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
pregando Stazio che venisse retro,
che pria per lunga strada ci divise. 48
Allora Virgilio scuote la testa e dice: “Come! Vogliamo restare qui?” Poi (gli) sorride come si fa con un fanciullo che si è convinto con (il dono di) un frutto. Quindi entra nel fuoco, pregando Stazio, che prima è stato secondo per un lungo tragitto, di porsi (ora per terzo), dietro (al Discepolo).

La Ragione (Virgilio) chiede a Stazio (= ‘la piccola illuminazione’ v. canto XXI) di porsi dietro al Discepolo come a dargli conforto alle spalle: quest’ultima prova di purificazione nel foco va affrontata rammentando  una esperienza spirituale già vissuta (passata) e con una totale apertura ed accettazione di quelle future che l’interiore ‘donna angelicata’ saprà suscitare.
Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
tant’era ivi lo ’ncendio sanza metro. 51

Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
dicendo: "Li occhi suoi già veder parmi". 54
Come il Nostro è dentro, si getterebbe volentieri, per rinfrescarsi, nel vetro bollente tanto è senza misura il calore di quell’incendio. Ma il suo dolce Padre (Maestro) per confortarlo gli parla di Beatrice dicendo: “Mi sembra già di vedere i suoi occhi”.

La tecnica offerta dalla ‘Ragione’ per superare la difficoltà della prova è: ‘pensare agli occhi di Beatrice’, cioè concentrarsi sul centro relativo agli occhi della donna interiore, vale a dire in Daath, la Coscienza, che essa simboleggia.
Guidavaci una voce che cantava
di là; e noi, attenti pur a lei,
venimmo fuor là ove si montava. 57

’Venite, benedicti Patris mei’,
sonò dentro a un lume che lì era,
tal che mi vinse e guardar nol potei. 60
Una voce che canta al di là della fiamma li guida, e così i tre escono (dal fuoco) nel punto dove si sale (al Paradiso terrestre). “Venite, benedetti del Padre mio”  risuona dentro  una Luce (è l’Angelo della beatitudine, che cancella l’ultima ‘P’ dalla fronte di Dante) e quella luce è tale che il Nostro non ne può sostenere la vista.

Superata la prova, il Discepolo sul Sentiero con tutte le sue facoltà (Virgilio e Stazio) diventa ‘benedetto’, detto-bene, ormai appartiene tutto all’Albero bianco, perché anche l’ultima tendenza a peccare (l’ultima ‘P’) è svanita.
"Lo sol sen va", soggiunse, "e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l’occidente non si annera". 63

Dritta salia la via per entro ’l sasso
verso tal parte ch’io toglieva i raggi
dinanzi a me del sol ch’era già basso. 66
Poi l’Angelo seguita: “Il sole cala e viene la sera; non arrestatevi, ma affrettate il passo, finché l’occidente non si oscura”. La strada è in salita dentro la roccia, dalla parte in cui il Nostro fa ombra al sole ormai basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi,
che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
sentimmo dietro e io e li miei saggi. 69

E pria che ’n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
e notte avesse tutte sue dispense, 72

ciascun di noi d’un grado fece letto;
ché la natura del monte ci affranse
la possa del salir più e ’l diletto. 75
I tre salgono solo pochi gradini e intanto il sole è già tramontato; i Viandanti se ne avvedono dal fatto che Dante non fa più ombra. Prima che l’oscurità faccia diventare tutto di un solo colore e la notte dilaghi dappertutto, ognuno dei tre fa di un gradino un letto, perché la natura del monte toglie loro la forza e il desiderio di salire ancora.
Quali si stanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
sovra le cime avante che sien pranse, 78

tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
poggiato s’è e lor di posa serve; 81

e quale il mandrïan che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
guardando perché fiera non lo sperga; 84

tali eravamo tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
fasciati quinci e quindi d’alta grotta. 87
Come le capre che in cima (alla montagna) erano irrequiete ed altere prima di aver pascolato, poi stanno a ruminare mansuete, in silenzio, all’ombra, mentre il sole splende, guardate dal pastore che, appoggiato al bastone, le fa riposare; e come il mandriano sorveglia di notte, dormendo all’aperto il suo pecuglio, la sua ricchezza (il gregge), badando che una belva non lo disperda, così stanno i tre (su quei gradini): il Discepolo come capra e le Guide come pastori, protetti ai lati dalle pareti di roccia.

Per il Nostro è giunto il momento del riposo; dopo tanto sacrificio e affanno il suo ristoro si compie con un sonno protetto dalla ‘roccia’ della montagna. Egli si paragona ad una capra, animale la cui simbologia è assai vasta: rappresenta la fertilità, la vitalità e l’energia inesauribile; è sacra ad Artemide, dea della Luce e della castità; Zeus è stato allattato da una capra di nome Amaltea, dalla cui pelle fu ricavata l’egida di Atena; dal suo corno si produsse la Cornucopia, che rappresenta la protezione, la preservazione, l’abbondanza e la ricchezza…; a livello mentale ora Dante, custodito dalla Ragione e dalla piccola Illuminazione, è come la capra di Artemide e come quella di Zeus e racchiude in sé tutte le loro meravigliose qualità.
Poco parer potea lì del di fori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle
di lor solere e più chiare e maggiori. 90

Sì ruminando e sì mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
anzi che ’l fatto sia, sa le novelle. 93
Dal punto in cui si trova, Dante può vedere ben poco dell’esterno, ma in quel piccolo (spazio) vede (alcune) stelle, più grandi e più splendenti del solito. Così pensandole e rimirandole prende sonno; un sonno di quelli che preannunciano ciò che accadrà.
Ne l’ora, credo, che de l’orïente
prima raggiò nel monte Citerea,
che di foco d’amor par sempre ardente, 96

giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
cogliendo fiori; e cantando dicea: 99

"Sappia qualunque il mio nome dimanda
ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda. 102
Probabilmente nell’ora in cui Citerea (= Venere, nata nell’isola di Citera) che sembra sempre ardere per fuoco d’amore, manda i primi raggi verso oriente (cioè poco prima dell’alba), ecco apparire in sogno al Nostro una donna giovane e bella, che incede per una pianura cogliendo fiori e che dice cantando: “Per chi vuol conoscere il mio nome io sono Lia (personaggio biblico, prima moglie di Giacobbe, Gn. 29, 15-30, simbolo della vita attiva) e muovo le mie belle mani per farmi una ghirlanda…”
Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;
ma mia suora Rachel mai non si smaga
dal suo miraglio, e siede tutto giorno. 105

Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga
com’io de l’addornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me l’ovrare appaga". 108
“…Qui mi faccio bella per piacermi allo specchio; invece mia sorella Rachele (seconda moglie di Giacobbe; simbolo della vita contemplativa; v. in
www.taozen.it  Testi sacri ‘Commento alla Genesi’ cap. 29 e relativa interpretazione cabalistica) non si allontana mai dal suo specchio e lì rimane tutto il giorno. Ella anela riguardare i suoi begli occhi come io adornarmi con le mani; lei si appaga col vedere, io con l’agire”.

Ecco dunque che il Nostro, nel riposo notturno del fisico, ottiene un sogno altamente simbolico e pregno di insegnamenti. La sua interiorità femminile, la sua ‘Donna interiore’ sboccia in lui con le ‘figure’ di Lia (= laboriosa), simbolo della vita attiva, e di Rachele (= mansueta), simbolo della vita contemplativa, che egli è riuscito ad armonizzare in sé e che esprimono assai bene la sua concezione della vita umana: l’azione è valida purché riesca ad equilibrarsi con l’aspirazione al Divino; e questo non è altro che il principio della regola ‘ora et labora’ di San Benedetto (480-547). Ma è anche la fotografia delle due colonne dell’Albero quella di destra, attiva (Lia), delle Sephiroth Chokmah (Saggezza), Chesed (Giustizia), Netzach (Vittoria), e quella sinistra, passiva (Rachele) delle Sephiroth Binah (Comprensione), Geburah (Forza), Hod (Splendore) che vanno armonizzate nella colonna centrale dell’Equilibrio, delle Sephiroth Kether (Corona), Daath (Coscienza), Tiphereth (Bellezza), Yesod (Fondamento) e Malkuth (Regno).
E già per li splendori antelucani,
che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
quanto, tornando, albergan men lontani, 111

le tenebre fuggian da tutti lati,
e ’l sonno mio con esse; ond’io leva’ mi,
veggendo i gran maestri già levati. 114
Intanto, per lo spuntare delle prime luci dell’alba, che tanto più sono gradite ai pellegrini quanto più si avvicina il momento del ritorno (a casa), le tenebre fuggono da tutti i lati, e così il sonno del Discepolo che (subito) si alza, vedendo i suoi Maestri già levati.
"Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de’ mortali,
oggi porrà in pace le tue fami". 117

Virgilio inverso me queste cotali
parole usò; e mai non furo strenne
che fosser di piacere a queste iguali. 120

Tanto voler sopra voler mi venne
de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi
al volo mi sentia crescer le penne. 123
“Il dolce frutto che i mortali cercano affannosamente dappertutto (la felicità), oggi soddisferà la tua fame” Virgilio rivolge queste parole al suo Discepolo, che mai ha ricevuto regalo più gradito. Allora in lui la volontà di salire si somma a quella che già ha, sicché ad ogni passo sente crescere le penne, il desiderio (quasi di volare). 
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi, 126

e disse: "Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
dov’io per me più oltre non discerno. 129
Appena arrivati alla cima della scala, giunti sul gradino più alto, Virgilio con gli occhi negli occhi del Discepolo dice: “Figlio, (con me) hai conosciuto il fuoco che purifica per l’eternità (l’inferno) e quello temporale (il purgatorio); ora sei giunto dove io, per me, non posso vedere oltre…”

Tratto t’ ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. 132

Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce. 135
“…Ti ho condotto fin qui con l’intelligenza e l’esperienza; ora usa come tua guida l’ansia di beatitudine; sei fuori dalle vie pericolose, dalle difficoltà. Dinanzi a te c’è il sole, le erbe, i fiori e gli alberi che qui crescono spontanei…”
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli. 138

Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno: 141

per ch’io te sovra te corono e mitrio".

“…Fino all’arrivo di colei (Beatrice) i cui begli occhi, piangendo, mi fecero venire da te, puoi sederti o passeggiare (tra i fiori). Non devi più attendere il mio comando o il mio assenso; il tuo arbitrio è libero, giusto e sano, e sarebbe errore non farne uso; perciò io ti consegno la corona e la mitra di te stesso (ti faccio re e sacerdote di te stesso)”

Virgilio (la Razionalità) ha assolto il suo compito e più in là ‘di per sé’ non può andare ma ficcando i suoi occhi negli occhi del Discepolo può vivere in lui le ulteriori esperienze che lo aspettano; questo è il suo limite e la sua gloria ed è il limite e la gloria della natura umana: l’Uomo può portare l’umanità nel mondo dello Spirito, ma può farlo solo se ha sviluppato il Cristo interiore, il Sé, la Coscienza, Daath, allorché cioè è diventato Re e Sacerdote di Se Stesso.

 

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