PURGATORIO - CANTO XXX


Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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Quando il settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d’altra nebbia che di colpa velo,
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e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come ’l più basso face
qual temon gira per venire a porto,
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fermo s’affisse: la gente verace,
venuta prima tra ’l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace;
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e un di loro, quasi da ciel messo,
’Veni, sponsa, de Libano’ cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
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si arrestano le sette luci (i candelabri della visione allegorica del canto precedente) che rappresentano il primo cielo (l’Empireo) che non ha mai conosciuto né nascita né tramonto, né copertura di nubi, se non quella del peccato, cielo che rende ognuno conscio del suo dovere, come quello più basso (il cielo delle 7 stelle dell’Orsa Maggiore) guida il timoniere verso il suo porto, allora i 24 Seniori si volgono verso il carro (al centro dei quattro Viventi) come se fosse la loro meta, e uno di loro, come illuminato dal cielo grida per tre volte a voce alta: ‘Vieni o sposa dal Libano’ (dal Cantico dei Cantici 4, 8; v. in www.taozen.it  Appuntamenti ns/ relativa interpretazione cabalistica) e tutti gli altri subito lo accompagnano.

Per il ns/ Albero cabalistico se  il carro rappresenta la personalità (il Malkuth), che deve diventare la ‘sposa’ (Malkah) del Cristo interiore, l’Io Sono, Daath,  compito dei 24 Vegliardi (le 24 ore del giorno  e della notte) è ricordarle in coro il suo meraviglioso destino.

Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando,
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cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messagger di vita etterna.
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dicean: ’Benedictus qui venis!’,
e fior gittando e di sopra e dintorno,
’Manibus, oh, date lilïa plenis!’.
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i beati alla fine dei tempi risorgeranno  dalle tombe, lodando forte il Signore, allo stesso modo rispondono alla voce del vegliardo centinaia di angeli dal carro divino dicendo: ‘Benedetto colui che viene (nel nome del Signore’ - Matteo 21, 9 : è l’ingresso del Cristo in Gerusalemme) e gettando fiori intorno: ‘Spargete gigli a piene mani!’ (Eneide VI, 883: per Marcello, nipote di Augusto). Si sta preparando un evento magico: sta per apparire Beatrice colei che dispensa la beatitudine, che unisce la tradizione classica, (Eneide), il vecchio,  con il Cristianesimo (Vangelo), il nuovo.
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l’altro ciel di bel sereno addorno;
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e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l’occhio la sostenea lunga fïata:
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così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
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sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.
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Nostro ha veduto spesso all’alba, con la parte orientale del cielo tutta rosata e l’altra tutta serena, sorgere il sole appena velato, così da poterne sostenere a lungo la vista per i vapori che ne attenuano lo splendore; allo stesso modo dentro una nuvola di fiori che salgono e ricadono in giù dalle mani di angeli, gli appare ora una donna vestita di un abito rosso fuoco sotto un mantello verde ed un velo bianco adorno di ulivo (il rosso simboleggia la Carità, il verde la Speranza, il bianco la Fede; l’ulivo è simbolo di Pace ed essendo sacro ad Atena, è anche simbolo di Sapienza: Beatrice, con i colori delle tre virtù Teologali, paragonata al Sole, è allegoria della Teologia ed identificata qui col Cristo-Giudice).

Se Beatrice rappresenta il Cristo-Giudice, cioè la Sephirah Daath, Coscienza dell’Albero in lei e per lei si compie il ‘Miracolo della Cosa Unica’ cioè la sintesi di tutto il lavorio del passato (o delle vite precedenti) con l’esperienza del presente, e l’Unione del basso (la personalità)  con l’Alto (il Sé). Virgilio, la conoscenza accumulata nel tempo, che ha permesso il raggiungimento dei più alti livelli della mente umana, la mente che ha accompagnato il Discepolo fino alla soglia del Paradiso, ora lascia il posto a chi più può, a chi sa  contattare il mondo delle Cause, il mondo dello Spirito, ma la personalità deve essere ancora saggiata, temprata, prima di poter accedere alla vera ‘beatitudine’.

E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch’a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,
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sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d’antico amor sentì la gran potenza.
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di Dante, già da tanti anni disabituato a ‘quella’ presenza (Beatrice è morta nel 1290, l’azione della Commedia si svolge nel 1300), tremando turbato, stupito, ammirato, pur non riconoscendola con la vista, a causa di una misteriosa virtù che emana da lei, sente tutta la potenza dell’antico amore.

Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di püerizia fosse,
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volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto,
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per dicere a Virgilio: ’Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l’antica fiamma’.
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appena anche la vista è colpita dalla stessa bellezza (di Beatrice) che l’aveva affascinato già da fanciullo (Dante s’innamorò di Beatrice a 9 anni) ecco che egli si volge dalla parte sinistra con la fiducia del bimbo che corre dalla mamma quando ha paura o ha un problema, per dire a Virgilio: ‘Il mio sangue è tutto un tremito, riconosco i segni dell’antico fuoco’.
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’ mi;
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né quantunque perdeo l’antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre.
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Virgilio se ne è andato, non c’è più; Virgilio, il padre dolcissimo, Virgilio a cui il Nostro si è affidato; e neanche la vista delle bellezze perdute da Eva (del Paradiso terrestre), riesce a fargli trattenere le lacrime che  colano sulle sue guance, purificate dalla rugiada (Purg. 1, 121-129), rioffuscandole.

L’amore della personalità per il suo Cristo interiore, Daath, Coscienza, Io Sono, non sboccia all’improvviso ma si preannuncia nella fanciullezza  e deve essere alimentato e scaldato con una lunga preparazione. (cfr. in www.teatrometafisico.it  sceneggiature bibliche:  ‘Samuele’: ‘…Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto e disse a Samuele: ‘Vattene a dormire e, se ti si chiamerà ancora, dirai: ‘Parla Signore, perché il tuo servo ti ascolta ecc..”. All’inizio gli ‘incontri’ sono fugaci, basati su uno sguardo, un cenno degli occhi, un saluto, cioè su segnali ‘minimi’, poi col tempo si impara a riconoscere i segni dell’Antica Fiamma. Allora, non credendo al ‘miracolo’, si chiede conferma alla mente a cui si è abituati a ricorrere, come fa il bimbo con la madre. Ma la mente in questi incontri non ci può essere, perché ‘l’incontro’ presuppone che essa sia stata trascesa. (cfr. In www.teatrometafisico.it  ‘Il Castello interiore’ di S. Teresa d’Avila)

"Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada".
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Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l’incora;
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in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra,
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vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa,
drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
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non piangere perché  Virgilio è andato via, non piangere ancora, dovrai piangere per ben altro dolore”. A sentire il suo nome, che scrive qui per necessità, il Nostro si volge verso la riva sinistra, e vede la donna che prima gli è apparsa rivestita di fiori angelici, aldilà del torrente, sulla sponda sinistra del carro, alzare gli occhi su di lui, come un ammiraglio che va in poppa e in prua per controllare l’equipaggio che lavora e lo incoraggia far bene. 
Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,
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regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e ’l più caldo parlar dietro reserva:
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"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui è l’uom felice?".
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il velo che le scende sul volto, fermato dalla corona di ulivo, sacro a Minerva (= Atena = regina del cielo, dea della Sapienza) non la lasci vedere completamente, quella, ugualmente altera e come colui che lascia i rimproveri per ultimi, continua: “Guarda bene qui! Io Sono Beatrice, proprio Beatrice. Finalmente ti sei degnato di salire il monte? Non sapevi che (solo) qui l’uomo è felice?”

Il rimprovero accoglie la personalità che ha tardato all’appuntamento con il Sé: “Ma come! Io Sono la tua Beatitudine e tu cerchi ancora l’appoggio della mente!” E` una forma di ‘gelosia’ che accompagna la gioia del ritrovamento; l’incontro sarebbe avvenuto prima se essa si fosse degnata di salire prima il Monte del pentimento e della Purificazione (cfr. in www.taozen.it  Appuntamenti Cantico dei Cantici 5, 1-9).
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.
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Così la madre al figlio par superba,
com’ella parve a me; perché d’amaro
sente il sapor de la pietade acerba.
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Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito ’In te, Domine, speravi’;
ma oltre ’pedes meos’ non passaro.
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volge gli occhi al ruscello, ma rispecchiandosi in esso, li sposta sull’erba, per la vergogna che gli pesa sul capo. Beatrice gli sembra (crudele) come al figlio sembra senza cuore la madre; perché il sapore dell’amore severo sa di amaro.  Ella tace. E gli angeli subito cantano (il Salmo 30, 1-9): ‘In te, Signore ho sperato; fa che io non resti deluso in eterno; salvami nella tua giustizia. Affido nelle tue mani la mia anima; tu mi salverai o Signore. Non mi hai consegnato nelle mani dei nemici; ma hai fermato i miei piedi in un luogo sicuro.’ senza  andare oltre (il v. 9).

Al rimprovero del Sé la personalità si sente in colpa; guardarsi nello ‘specchio dell’acqua’, cioè vedersi nella propria realtà, la rende ancora più vergognosa per la passata pigrizia; pure, gli angeli del carro (le sue buone azioni) cercano di intercedere per lei, senza però riuscirci.
Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d’Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,
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poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;
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sull’Appennino la neve si congela tra gli alberi, spinta e ghiacciata dai venti slavi e poi, sciolta, si liquefa su se stessa, se tira il vento dalla terra che ha l’ombra corta (dall’Africa), tanto da sembrare una candela che si disfa al fuoco;
così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;
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ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
lor compartire a me, par che se detto
avesser: ’Donna, perché sì lo stempre?’,
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lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto.
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stesso modo, prima di udire il  canto di coloro (gli angeli) che sempre accordano le loro voci sulle note delle musiche delle sfere, il Nostro rimane senza piangere e sospirare,  ma quando sente che lo compatiscono come se dicessero: ‘Donna, perché lo sgridi così?’ allora il gelo che gli stringe il cuore si scioglie in sospiri e lacrime e con angoscia gli esce dalla bocca e dal petto.
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia:
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"Voi vigilate ne l’etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;
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onde la mia risposta è con più cura
che m’intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d’una misura.
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quella allora, rimanendo sulla stessa parte del carro,  si rivolge agli angeli pietosi dicendo: “Voi vegliate nell’eterno presente divino, sicché nulla può sfuggirvi degli accadimenti mondani; la mia risposta non è per voi, ma perché meglio mi intenda colui che piange, affinché la colpa sia pari alla dolore (del pentimento)…” 

Beatrice, nella sua funzione di Sephirah Daath, vuole ristabilire l’ordine alterato dalla sephirah Malkuth e come un ammiraglio sulla nave tutto dispone e controlla, senza cedimenti di sorta.

Poiché della Sephirah Daath è stato detto sempre poco in quanto considerata Sephirah ‘occulta’, per approfondirne il significato abbiamo cercato (e trovato) di Essa una definizione che ci sembra molto interessante (da ‘Kabbalah’ di Gabriella Samuel  ed. ‘Oscar Mondadori’): “…Daath significa ‘Conoscenza’, ed implica attaccamento ed unione. Essa non è una facoltà dell’intelletto, quanto piuttosto una capacità di istituire collegamenti, da cui il suo significato letterale ‘connessione’. Viene definita a volte come la ‘Sephirah non manifesta’ perché rimane nascosta e latente finché determinate condizioni legate alle Sephiroth Chockmah e Binah non la portano dallo stato potenziale alla realizzazione. Essa si manifesta allora come volontà e crea una connessione con uno specifico ‘oggetto del pensiero’…. Daath deriva dalla percezione e comprensione di Chockmah e Binah insieme. Nel suo ruolo di mediazione e sintesi delle energie di queste due Sephiroth, Daath fornisce all’intelletto dell’individuo la capacità di collegarsi a concetti al di fuori di sé, principio necessario di ogni apprendimento e comprensione. Daath determina la natura e l’ampiezza delle relazioni tra l’individuo e qualsiasi cosa stia al di fuori di esso…ecc.
Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,
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ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine,
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questi fu tal ne la sua vita nova
virtüalmente, ch’ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
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Non solo per l’influsso dei cieli, che indirizzano ogni creatura verso un determinato destino al variare delle congiunzioni astrologiche, ma per una speciale Grazia Divina, i cui scopi noi non possiamo immaginare, costui nella sua giovinezza fu reso ricco di tali virtù che ogni qualità in lui avrebbe potuto far mirabil  prova (risplendere)…”

Torna in questi versi l’insegnamento evangelico della ‘parabola dei talenti’ (v. in www.taozen.it  testi sacri ‘Commento al vangelo di Matteo’ cap. 25 vv. 14-30): la personalità deve ‘far rendere’ i doni ricevuti, e restituirli al Se` al termine dell’incarnazione con ‘gli interessi’, altrimenti l’esperienza della sua vita sarà stata vana…
Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
quant’elli ha più di buon vigor terrestro.
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Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto.
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Ma il terreno diventa tanto più cattivo e selvaggio  se lasciato incolto o mal seminato, quanto più è vigoroso e fertile. Per qualche tempo l’ho aiutato con la mia bellezza, mostrandogli  i miei occhi l‘ho indirizzato verso il bene…”
Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.
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Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
fu’ io a lui men cara e men gradita;
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e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.
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Ma non appena giunta sulla soglia della giovinezza, passai all’altra vita e lui si diede ad altre ‘donne’. Quando ormai, salendo dalla vita corporea a quella dello spirito, ero giunta alla pienezza della beltà e della virtù, gli fui meno cara e meno gradita; egli volse i suoi passi sulla via dell’errore, seguendo immagini di falso bene, di quelle che non mantengono alcuna promessa…”
Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
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Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.
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Né riuscii a richiamarlo con ispirazioni ottenute con la preghiera, né apparendogli in sogno e in altri modi: non gliene importava nulla! Cadde tanto in basso che non c’era modo di salvarlo se non mostrandogli il ‘luogo’ dei morti (l’inferno)…”
Per questo visitai l’uscio d’i morti,
e a colui che l’ ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti.
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Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto
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di pentimento che lagrime spanda".

“…Per questo sono scesa fino alla soglia della gente perduta, e ho rivolto le mie preghiere, piangendo, a colui che l’ha condotto fin qui. Sarebbe infranta una regola celeste se passasse il Lete e ne bevesse senza un reale, profondo pentimento”.

Ma quand’anche la personalità arrivi a cadere tanto in basso da dimenticare il contatto avuto con la sua Componente spirituale, se questo contatto si è verificato, sarà Essa stessa ad andare a cercarla per aiutarla a risalire la china e lo farà nel modo che più le si addice, fermo restante la sua più completa sottomissione e il suo pentimento anche se doloroso. 

 

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