PURGATORIO - CANTO XXXI


Interpretazione cabalistica di Franca Vascellari
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"O tu che se’ di là dal fiume sacro",
volgendo suo parlare a me per punta,
che pur per taglio m’era paruto acro,
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ricominciò, seguendo sanza cunta,
"dì, dì se questo è vero; a tanta accusa
tua confession conviene esser congiunta".
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senza indugiare, continua il suo discorso rivolgendosi (stavolta) direttamente a Dante: “O tu che sei (ancora) aldilà del fiume sacro, conferma quello che ho detto, perché una tale accusa va associata alla confessione” e il suo dire, che al Nostro era parso tanto severo, come una spada che colpisce per taglio, sembra ora colpire di punta.

Beatrice (l’Io Sono, la Coscienza, Daath) è ora nella sua funzione di ‘Giudice’ e chiede all’imputato (Dante, la personalità che ha perseverato nella Ricerca) di ammettere le sue colpe; prima aveva parlato severamente di lui agli angeli che lo avevano compatito, ora gli si rivolge direttamente, dandogli del tu. Se il discorso indiretto era stato per lui come un colpo di spada di taglio, ora quello diretto gli sembra di punta, molto più doloroso. La spada che punisce è uno dei simboli che tiene in  mano la Giustizia (v. in  www.teatrometafisico.it  Archetipi la Lezione spettacolo n. 8) non può esserci perdono senza che la violazione della Legge venga adeguatamente espiata; l’altro simbolo in mano alla Dea è la bilancia che dà la giusta misura della punizione, una volta valutati i meriti e le colpe. Un colpo di punta penetra molto più a fondo di un colpo di taglio.
Era la mia virtù tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
che da li organi suoi fosse dischiusa.
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Poco sofferse; poi disse: "Che pense?
Rispondi a me; ché le memorie triste
in te non sono ancor da l’acqua offense".
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la virtù (= dal latino ‘virtute’ = coraggio) del Discepolo è tanto confusa, che sta per rispondere, però non riesce ad esprimersi. La Donna attende un poco e poi gli dice: “Che pensi? Rispondimi, perché in te persistono ancora i ricordi (dei peccati) non cancellati dall’acqua (del Lete)”.
Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal "sì" fuor de la bocca,
al quale intender fuor mestier le viste.
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Come balestro frange, quando scocca
da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
e con men foga l’asta il segno tocca,
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sì scoppia’ io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
e la voce allentò per lo suo varco.
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e paura insieme gli fanno uscire dalla bocca un ‘sì’ che per udirlo è necessario vederlo. Come la balestra rompe la corda e l’arco quando con troppa tensione scocca la freccia, sicché questa giunge al bersaglio con meno forza, così sotto il carico della pressione il Nostro scoppia in lacrime e sospiri e la sua voce esce debole.

Incalzato dal suo ‘Giudice’, l’imputato prima per paura tace, poi emette un flebile ‘sì’, infine scoppia in lacrime e sospiri. Ma non c’erano già stati nel canto IX  la confessione con l’esame di coscienza, il pentimento e l’ardore di purificazione (i tre gradini per accedere alle cornici del Monte) e l’incisione da parte dell’Angelo portiere delle sette ‘P’( simbolo dei peccati capitali) che erano poi state cancellate nelle sette cornici durante la salita?  E allora perché ancora questa sofferenza? Nella ns/ interpretazione cabalistica avevamo identificato l’Angelo portiere col ‘Guardiano della soglia’ dei mondi di Yetzirah e Briah, ora ‘Beatrice – Giudice’ viene ad impersonare il ‘Guardiano della soglia’ di Atziluth ed ecco che di nuovo il Discepolo deve essere esaminato (pesato), e trovato tanto ‘purificato’ da poter essere accolto finalmente nel mondo dello Spirito.
Ond’ella a me: "Per entro i mie’ disiri,
che ti menavano ad amar lo bene
di là dal qual non è a che s’aspiri,
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quai fossi attraversati o quai catene
trovasti, per che del passare innanzi
dovessiti così spogliar la spene?
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E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
per che dovessi lor passeggiare anzi?".
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A lui Beatrice: “Attraverso il desiderio di me io ti ho condotto ad amare il Bene, oltre il quale non c’è altro a cui aspirare; quali fossi o catene, (cioè ostacoli) tremendi hai incontrato per lasciare la speranza di superarli? E quali piaceri o vantaggi vedesti negli altri (beni) per desiderare di seguirli?”
Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
a pena ebbi la voce che rispuose,
e le labbra a fatica la formaro.
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Piangendo dissi: "Le presenti cose
col falso lor piacer volser miei passi,
tosto che ’l vostro viso si nascose".
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un sospiro amaro, egli, con le labbra che faticano a parlare, ha appena la voce per risponderle piangendo: “Le cose del presente (della realtà terrena) con la loro ingannevole bellezza mi sviarono, allorché Voi diveniste invisibile”.

Ed ella: "Se tacessi o se negassi
ciò che confessi, non fora men nota
la colpa tua: da tal giudice sassi!
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Ma quando scoppia de la propria gota
l’accusa del peccato, in nostra corte
rivolge sé contra ’l taglio la rota.
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Ella: “Tacere o negare la colpa, non la rende meno nota, che la si conosce attraverso il (Divino) Giudice (onnisciente); ma quando ci si auto accusa, in Cielo diminuisce l’affilatura della spada…”.

Ai rimproveri e alla richiesta del Giudice di dare una spiegazione alla sua colpa di aver trascurato le cose del Cielo, il Discepolo sul Sentiero, risponde accusandosi di aver dimenticato di aderire agli ideali spirituali per seguire le presenti cose, cioè le bellezze ingannevoli della realtà terrena. L’auto accusa e il pentimento placano in parte la Giustizia, così tra poco a lei subentrerà l’altra faccia del Giudice, quella della Grazia…
Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta,
udendo le serene, sie più forte,
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pon giù il seme del piangere e ascolta:
sì udirai come in contraria parte
mover dovieti mia carne sepolta.
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Tuttavia, affinché tu possa provare vergogna dell’errore e tu possa dimostrarti più forte quando udrai ancora il canto delle serene (= la tentazione; le sirene, ninfe del mare, dotate di voci melodiose, attiravano i marinai per poi divorarli v. in  www.taote.it   miti ‘Ulisse’ e relativa interpretazione cabalistica), smetti di piangere e ascolta: udrai come la mia morte avrebbe dovuto spingerti nella direzione opposta (a quella in cui sei andato)…”
Mai non t’appresentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch’io
rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
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e se ’l sommo piacer sì ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
dovea poi trarre te nel suo disio?
 54

Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era più tale.
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natura o l’arte non ti hanno mai offerto bellezza più grande di quella che mi racchiuse, ( cioè il mio corpo fisico) che ora è disperso nella terra; se a causa del mio decesso ti mancò quel massimo godimento, come hai potuto desiderare ancora altre cose così caduche? Avendo ricevuto il primo colpo da ciò che è ingannevole, avresti dovuto volgerti in su, verso  di me, (Spirito) che non ero più mortale…”
Non ti dovea gravar le penne in giuso,
ad aspettar più colpo, o pargoletta
o altra novità con sì breve uso.
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Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
rete si spiega indarno o si saetta".
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Non avresti dovuto volgerti verso il basso, pronto a ricevere un'altra sconfitta, per un’altra donzella o per altre novità così effimere. Chi è molto giovane, come un uccelletto, cade facilmente nelle trappole, ma chi è cresciuto ne evita con saggezza il pericolo”.
Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
e sé riconoscendo e ripentuti,
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tal mi stav’io; ed ella disse: "Quando
per udir se’ dolente, alza la barba,
e prenderai più doglia riguardando".
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i fanciulli stanno con gli occhi a terra, in silenzio, vergognosi, ascoltando (i rimproveri) e riconoscendosi colpevoli e pentiti, così sta il Nostro e a lui Beatrice: “Poiché l’ascoltarmi ti addolora, guardami, e ne avrai anche maggior sofferenza”.
Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento
o vero a quel de la terra di Iarba,
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ch’io non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
ben conobbi il velen de l’argomento.
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obbedisce al comando di sollevare il volto per guardarla, ma fa tanta fatica che lo considera un castigo velenoso: difficile come lo sradicarsi di un cerro (albero simile alla quercia) al vento di tramontana o africano de la terra di Iarba (re della Libia; innamorato respinto da Didone, Eneide IV v. 196)
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersïon l’occhio comprese;
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e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
ch’è sola una persona in due nature.
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il viso, Dante vede che le prime creature create (gli angeli) hanno smesso di spargere fiori ed i suoi occhi (ancora insicuri) notano che Beatrice sta fissando Colui che ha in una Persona due nature (l’umana e la divina), cioè il Grifone.

Sia Beatrice, sia il Grifone sono entrambi non solo ‘figure’, cioè rappresentazioni, allegorie, ma anche ‘incarnazioni’ del Cristo, dell’Io Sono, Daath,  e come Lui sono sia di natura umana che Divina: allorché Beatrice fissa il Grifone, diviene tutt’Uno con Lui e con il Figlio dell’Uomo, per mostrare e svelare al Discepolo la sua Bellezza e la sua Rivelazione.
Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi più sé stessa antica,
vincer che l’altre qui, quand’ella c’era.
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Di penter sì mi punse ivi l’ortica,
che di tutte altre cose qual mi torse
più nel suo amor, più mi si fé nemica.
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Tanta riconoscenza il cor mi morse,
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
salsi colei che la cagion mi porse.
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velata e aldilà del fiume Ella gli appare ancora più bella di quanto non lo fosse un tempo, e già allora, da viva, era la più bella di tutte. Allora Dante si sente ‘pungere’ (bruciare) dall’ortica del rimorso, tanto da odiare ciò che più l’ha attratto (con le sue lusinghe). La coscienza di ciò gli stringe a tal punto il cuore che sviene; e conosce bene il suo stato Colei che glielo ha procurato.

Essere consapevoli dell’errore di aver tralasciato per tanto tempo di volgere la propria attenzione verso il Sé per occuparsi di ciò che è effimero e caduco, ascoltarNe il rimprovero, guardandoLo, è in questo momento la massima sofferenza che possa essere inflitta alla personalità. E Dante, punto dall’ortica del rimorso, ‘viene meno’. Lo svenimento, che è parvenza di morte, corrisponde alla ‘morte iniziatica’ del Discepolo sul Sentiero, allorché sta per essere ammesso ai ‘Misteri’: il ‘vecchio’ cessa di esistere e permette la nascita del ‘nuovo’; è un morire al peccato e alle sue lusinghe per rinascere alla Grazia e alla Vita. E Beatrice, colei che dona la beatitudine, che ha guidato fin dall’inizio tutto il Viaggio di autoconoscenza di Sé del suo Dante, sa bene quanto questo momento si realizzativo.
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
la donna ch’io avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: "Tiemmi, tiemmi!".
 93

Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
sovresso l’acqua lieve come scola.
 96

Quando fui presso a la beata riva,
’Asperges me’ sì dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.
 99
quando il sangue torna a circolare, egli, ripresi i sensi, vede china su di sé Matelda che gli dice: “Tieniti a me, tieniti a me!”. Matelda l’ha trascinato nel fiume (immerso) fino alla gola, camminando lieve sull’acqua come una scola (dal veneto ‘scaula’ = gondola). Quando giungono alla riva dei beati egli ode un canto: ‘Aspergimi di issopo (un profumo) e sarò purificato; lavami, e sarò più bianco della neve’ (Salmo 50, 9); questo canto è tanto dolce che non riesce né a ricordarlo, né a descriverlo. 

La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.
 102

Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
dentro a la danza de le quattro belle;
e ciascuna del braccio mi coperse.
 105
poi allarga le braccia, gli afferra la testa e gliela tiene immersa (nel Lete): egli è costretto così a berne. Poi lo tira su e, bagnato, lo offre alla danza delle quattro belle donne (le Virtu` Cardinali): ognuna di esse lo copre col suo braccio.

Matelda, la personificazione della Forza psichica, purificata, irradiazione del pensiero-volontà del Nostro, (v. Purg. canto XXVIII vv. 76-84) mentre è svenuto, lo immerge nell’acqua del Lete, poi gliene fa bere l’acqua: così finalmente egli può definitivamente dimenticare tutto ciò che di male c’è stato nella sua vita, dimenticare tutto ciò che è inutile e che pur essendogli servito da esperienza nel passato, non sarebbe che vana zavorra per ciò che deve ancora sperimentare e con-prendere. E` questa un’operazione importantissima nell’iter iniziatico: dimenticare ciò che va dimenticato. L’oblio (da una radice indoeuropea ‘lei’ = cancellare, rendere liscio) fa tornare liscio e nuovo l’animo su cui era stata incisa una traccia (ricordo) di ‘male’. Ora Dante, il Nuovo, il Rinato è affidato alle Virtù affinché lo proteggano e lo bene-dicano.
"Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
fummo ordinate a lei per sue ancelle.
 108

Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di là, che miran più profondo".
 111
siamo qui ninfe, ma in cielo stelle (in Purg. I, vv. 37-39 illuminano la fronte di Catone). Già prima della nascita di Beatrice fummo destinate ad essere sue ancelle. Ti porteremo al suo cospetto, tu guarderai nei suoi occhi; però per poterti inebriare della loro Luce gioiosa, sarai aiutato dalle altre tre ninfe (le tre Virtù Teologali) che vedono più in profondità di noi”.
Così cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
ove Beatrice stava volta a noi.
 114

Disser: "Fa che le viste non risparmi;
posto t’avem dinanzi a li smeraldi
ond’Amor già ti trasse le sue armi".
 117
cominciano a parlare le quattro Virtù; poi conducono il Discepolo fino al petto del Grifone (per il significato v. canto XXIX, v. 108-114), dove si trova Beatrice rivolta verso di loro. E aggiungono: “Non risparmiare gli sguardi; ti abbiamo posto dinanzi a li smeraldi (cioè agli occhi luminosissimi) che nel passato ti fecero conoscere l’Amore”

L’invito delle Virtu` Cardinali, ancelle dell’Io Sono, Daath, la Coscienza, è di guardare a fondo negli occhi del Sé, lì c’è il vero Amore, che Dante ha conosciuto fin da bambino; lo smeraldo degli occhi di Beatrice (dal sanscrito ‘acmagarbha’ = pietra-prodotto) ci riporta alla ‘pietra d’angolo’ del Vangelo di Matteo 21, 42 (citaz. del Salmo 117,  22-23): ‘La pietra scartata dai costruttori (il Cristo) è divenuta testata d’angolo; ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi’. E questa ‘Pietra’ non  è che la ‘vera medicina’ del ‘“Visita Interiora Terrae, Rectificando, Invenies Occultum Lapidem, Veram Medicinam” (= Visita la parte più interna della (tua) terra e, correggendo gli errori, troverai la Pietra Segreta, la Vera Medicina).

Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
che pur sopra ’l grifone stavan saldi.
 120

Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti.
 123
desideri più ardenti della fiamma costringono gli occhi di lui in quelli rilucenti di Lei, fissi sul Grifone. Negli occhi di Lei, come il sole in uno specchio, la duplice Natura della Fiera risplende, mutando di continuo.
Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
quando vedea la cosa in sé star queta,
e ne l’idolo suo si trasmutava.
 126

Mentre che piena di stupore e lieta
l’anima mia gustava di quel cibo
che, saziando di sé, di sé asseta,
 129

sé dimostrando di più alto tribo
ne li atti, l’altre tre si fero avanti,
danzando al loro angelico caribo.
 132
lettore si immagini la meraviglia di Dante nel vedere il Grifone immobile e l’idolo suo, la sua specchiatura (negli occhi di Lei) trasformarsi incessantemente. La sua anima, piena di stupore, si nutre di quel cibo che saziando di Sé, di Sé asseta; intanto si fanno avanti le altre tre ninfe (le tre Virtù Teologali), danzando e cantando, e dimostrando con i gesti il loro maggior valore.

Il Grifone dalla doppia Natura (aquila-leone) Divina ed Umana, ha come caratteristica la facoltà di essere insieme immobile e mutevole, (Motore Immobile) per quella conciliazione degli opposti di cui il Nostro ha qui un prima esperienza, come cibo che saziando di sé, di sé asseta ed intanto anche le Virtù Teologali, danzando, gli si avvicinano per partecipare alla sua iniziazione.
"Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi",
era la sua canzone, "al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti!
 135

Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sì che discerna
la seconda bellezza che tu cele".
 138
ecco la loro canzone: “Volgi, Beatrice, volgi i tuoi occhi santi verso il tuo fedele che per vederti ha percorso tanto cammino! Graziosamente fa a noi la grazia di svelargli la tua bocca, così che egli possa vedere la tua seconda bellezza, che nascondi”.

Le Virtu` Teologali intercedono per Dante e chiedono che non solo sia permesso al Discepolo di vedere gli occhi dell’Io Sono, Daath, la Coscienza, ma di poterNe conoscere la bocca, la seconda ‘Bellezza’, cioè il ‘Verbo’ (cfr. Gv. 1, 1-3).
O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto l’ombra
sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
 141

che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
là dove armonizzando il ciel t’adombra,
 144

quando ne l’aere aperto ti solvesti?
   

O splendente Beatrice, quale poeta, per quanto diligentemente impegnato e divinamente ispirato (dal dio Apollo che risiede) sul Parnaso, e abbeverato alla fonte (Castalia che lì si trova) non parrebbe impacciato nel cercare di descrivere il tuo splendore quando apparisti senza velo?

 

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