Quarto disegno di Maurizio

 

 

 

Commento al quarto disegno di Maurizio

Il quarto disegno di Maurizio del 12/01/2008, quarto da quando abbiamo cominciato la stagione 2007-8 dedicata ad Antigone, e` senza titolo, dovrebbe essere il suo commento a “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello (con la regia di Strehler, che abbiamo proposto come film sul teatro, da studiare in questo periodo), ma la mancanza del titolo gliene  da` uno  piu` vasto, come se il disegno dovesse, come al solito, rappresentare soprattutto un auto-ritratto di Maurizio, in  riferimento a piu` ‘temi’ mescolati. Ai primi due disegni (v. appuntamenti di www.taozen.it) abbiamo dedicato qualche riga, al terzo nessuna, perché il personaggio li` raffigurato ci e` sembrato, piu` un “Babbo Natale”  ironico che altro. Ma il quarto disegno, questo, richiede la nostra attenzione. 
M. Grazia, una componente del gruppo, lo ha commentato a suo modo cosi`: “Io non ho ancora veduto il dramma di Pirandello, ma a mio parere, mi sembra di riconoscere nelle figure del disegno i personaggi della tragedia di Antigone, quella che stiamo provando. Creonte (interpretato da Maurizio) e` quello in mezzo, gli altri due mi sembrano Emone e il Corifeo… o forse qualcun altro…non saprei…”
Cara M. Grazia, anche noi abbiamo avuto all’inizio la stessa impressione, tanto e` vero che abbiamo chiesto perplessi a Maurizio se ‘quello’ era proprio il suo lavoro sui
Giganti; la risposta e` stata affermativa, ma debole, e non e` stata convincente.
La mancanza di un titolo preciso ci permette di considerare il disegno in relazione a piu` punti di riferimento. Se la prima impressione e` quella che conta, prendiamo prima in considerazione il riferimento
Antigone.
In alto, sui cartigli, ci sono tre scritte in latino: potestas, sapientia, amor: (la Trinita` cristiana, v. “Autosacramental” di Calderon de la Barca in  www.teatrometafisico.it  ) ma esse aleggiano intorno ai personaggi e non li sfiorano, modello di quello che dovrebbe essere e non e`.
Il disegno mostra al centro, sotto la scritta potestas un Creonte (proprio come ha detto M.Grazia) cupo, con gli occhi serrati dall’ira, con in mano un foglio arrotolato.. “Uno scettro di carta?” -abbiamo chiesto a Maurizio, “No, la Legge”- ha risposto… (ma che c’entrerebbe la ‘Legge’ con i Giganti?). Questo Creonte raffigura il ‘potere’ arrogante e impotente.
Alla sua  destra, sotto la parola amor, vediamo un sacerdote che, si fa per dire, ‘benedice’; il corpo nero, il volto emaciato, triste e sofferente, potrebbe essere un Tiresia che annuncia disgrazie e lutti, e che invece di bene-dire, male-dice.
Dall’altro lato, sotto la parola sapientia c’e` un vecchio, stanco e curvo con in mano un bastone nella cui parte superiore si puo` intravedere quasi una testa (uno specchiatura del vecchio?) esso potrebbe essere, (sempre come dice M. Grazia), il Corifeo, il consigliere del re, che consiglia troppo tardi la cosa giusta da fare, e che rappresenta quindi il sapiente che non sa.
La rosa rossa che spicca in tanto bianco-nero potrebbe rappresentare allora Antigone, la vittima della spietata legge del re e del sua testarda arroganza: essa nasce dalla corpo del Pierrot ‘caduto’, cioe` dal cadavere di Polinice, il fratello di Antigone…
Le montagne da cui emergono i vari personaggi non sono montagne ricche di vegetazione e quindi fertili cime e valli, abitate da persone ed animali, ma solo gruppi di rocce nude, crode acuminate e sterili, che possono soltanto ferire e procurare dolore.
Ora passiamo al disegno che ci parla dei
Giganti della montagna.
La figura al centro potrebbe rappresentare, anche per la somiglianza,  lo stesso Pirandello con i problemi degli ultimi anni di vita.  I due ‘demoni’ alle spalle potrebbero essere uno il Dolore, il vecchio smunto  con la tiara, che insegna l’amore attraverso il patire; l’altro la Morte, il vecchio col bastone che ride, una sorta di ‘falce’ dell’ego, che insegna la saggezza attraverso la autocritica…Unica speranza in tanta oscurita` e sofferenza e` la rosa, Ilse, l’attrice, la poesia del  teatro (il Pierrot), che sempre muore e sempre rinasce dalle sue ceneri, come Fenice e speranza infinita di Vita.

Anche questa volta, mentre distribuiva le copie del disegno, Maurizio accennava al fatto che non avrebbe quasi voluto portare il suo lavoro al gruppo e che c’era in lui un nascosto pentimento postumo. (pero`ce l’ha portato, altrimenti non staremmo qui a commentarlo).
Come gia` detto in precedenza, un lavoro scritto e` frutto soprattutto della mente, invece una poesia, una canzone, un racconto, un disegno, se spontanei, sono come il sogno, frutto soprattutto dell’inconscio, dell’astrale, del sentimento. Questi elaborati spontanei possono essere molto piu` rivelatori del nostro carattere e della nostra psiche di  quanto  lo siano  i commenti scritti, e possono essere esaminati alla stregua dei sogni. Lasciamo da parte l’Antigone di Sofocle ed I giganti della montagna  di Pirandello ed iniziamo ad esaminare il disegno ‘senza titolo’ come un ritratto del ‘momento’ dell’autore. Possiamo vedere in questo disegno un Albero cabalistico con le sue tre colonne: la colonna di destra maschile di Chockmah e` stata caratterizzata dall’Amore, quella di sinistra femminile di Binah dalla Sapienza e quella di centro, dell’equilibrio, che dovrebbe mediare le due, dal Potere. I ‘Giganti’ di Atziluth, del mondo causale, Amore, Saggezza e Potere, ridotti a cartigli, sono qui in ‘esilio’ e nel ‘luogo’ improprio e non comunicano coi piani inferiori. Il mondo di Briah, il mentale (formato dai tre vecchioni) e` molto sviluppato, ma mostra sofferenza a destra, severita` a sinistra, e ira al centro; il mondo di Yetzirah, del sentimento, e` costituito da montagne aride, senza vegetazione ne` altra vita, infine il Malkuth, il mondo del fisico e` rappresentato da un Pierrot: una ‘maschera’ che cade o che precipita …
Tuttavia… da questa ‘terra’ oscura, piu` propriamente dal suo cuore,
  ri-nasce, una splendida rosa. Nel suo colore ‘rosa acceso’ c’e` tutto l’Amore  e nella sua foglia verde la mescolanza del blu del Potere  e del giallo della Sapienza dei tre Superni: e` per questa ‘Rosa’ che il disegno viene riequilibrato e diventa “bello”, per la ‘Bellezza’ del cuore del sognatore.

Grazie. F.V.

 

 

 

Disegno Maurizio n° 4 

"Il fondamento essenziale della nostra personalità è l'affettività. Pensiero e azione non sono, per così dire, che un sintomo dell'affettività" (Jung - vol. 3° opere, pag. 46).

Se le cose stanno come dice Jung, considerando i molti complessi autonomi presenti in ognuno di noi, i nostri pensieri e le nostre azioni non sono altro che frutto di "malattie mentali". Con ciò non voglio certo dire che siamo tutti matti, ma solamente che la follia ha inizio proprio nella così detta normalità. Anche un piccolo complesso a debole tonalità affettiva, in un certo senso, se attivato può produrre pensieri o azioni che mai e poi mai potranno essere catalogati come patologie, ma che, provenendo dall'inconscio e imponendo automatismi poco controllabili e pur tuttavia rientranti nella normalità, non possono certo essere catalogati come atti o pensieri coscienti. Detto brutalmente: le persone creative e spesso quelle intuitive sono incoscienti. E siccome in questo nostro gruppo non facciamo che creare mimate, canzoni, disegni, saggi, libri, interpretazioni teatrali, regie, ecc. , siamo un gruppo di incoscienti. Senza speranza? No, perché, grazie a Dio, non facciamo altro che sfornare "perché ?" in tutte le salse, e come ben si sa, ogni domanda è figlia di una risposta che già esiste. Possiamo addirittura dire che ogni domanda è la voce della risposta che verrà. Paradossale? Non direi: ogni interrogativo è una levatrice, un grido d'aiuto che ogni risposta manda affinché venga ricordata dall'interrogante (Socrate docet). Ma è possibile andare ancora oltre: spesso le opere d'arte sono risposte piovute non si sa come e perché. Ed ecco che allora si va a caccia del punto interrogativo.
A proposito
  del "filosofo speculativo" Jung dice: se un tale filosofo "afferma di aver davvero compreso il mondo con il suo sistema, s'inganna, perché egli ha solo compreso se stesso e si è rappresentato con un'ingenua proiezione sul mondo" (Pag. 191 vol. III opere). Se a tale affermazione diamo carattere più ampio di quello junghiano, possiamo azzardare l'ipotesi che, avendo ognuno di noi  compreso il mondo a modo suo ed essendo tale comprensione non quella del mondo ma quella di sé, ogni opera d'arte (e questo è un bel po' che lo ripetiamo) parla dell'autore.
Se così stanno le cose, la ricerca paradossale del punto interrogativo che ha fatto scattare la "risposta" di Maurizio (il 4° disegno), si riduce alla sottolineatura degli strumenti di cui si è servito
  il nostro amico per darsi quel tipo di risposta. Tali strumenti sono Antigone, l'armatura di Polinice, Creonte, Babbo Natale seduto su un trono, I Giganti della montagna di Pirandello. La domanda parte da questi personaggi. Ma analizziamo il disegno, dopo avere detto che tutti gli artisti sono persone sensibilissime capaci di dar corpo e voce a qualunque sentimento attraverso l'espressione artistica, e che spesso sanno pre-correre i tempi anticipando i sentimenti ed i pensieri collettivi.
Il disegno mostra tre personaggi giganteschi (tre giganti in mezzobusto) alti come montagne: al centro un re con un rotolo ben stretto in mano, a sinistra una sorta di eremita, a destra un vescovo (o papa) con una tiara. In primo piano un piccolo Pierrot (morto?) dal cui fianco si erge una gigantesca rosa rossa sbocciata. Il tutto è in bianco e nero, tranne il fiore (gambo e foglia verdi, petali rosso acceso). Tre cartigli in alto dovrebbero indicare la natura dei personaggi: la scritta in latino dice, per l'eremita
Sapientia, per il re Potestas, per l'ecclesiastico
Amor.
Il saggio è un  vecchio  triste, con gli occhi chiusi. Potrebbe pure essere cieco (non vuole più assistere alla stoltezza dell'umanità) e disperato (nessuno lo capisce). L'ecclesiastico (vera e propria caricatura di prete senz'anima) atteggia la mano a benedizione, ma il suo volto sembra dire: "io vorrei benedire, però come faccio a dire bene se tale bene in me non c'è?" Quanto al re (barbuto come l'eremita saggio), i suoi occhi sono chiusi, come dire: io faccio le mie leggi obbedendo non ai bisogni della gente che nemmeno degno di uno guardo, ma ai miei. Il Pierrot a terra (bocconi) è l'unico che mostra il suo intero corpo. Il mondo rappresentato è grigio assoluto (bianco e nero danno il grigio), e l'unico colore, l'unico odore, sapore è dato da quella rosa frutto di un sacrificio: il piccolo malinconico pagliaccio è stato sicuramente sacrificato mentre giocava, ma una sua forza misteriosa ha trasmutato la sua anima (quel rosso richiama il sangue e quindi l'anima che esso veicola), la quale ha così vinto i tre giganti. Qel fiore è la giusta punizione per quell'apparente grandezza: tre figure paterne (quattro con Babbo Natale) incapaci di amare, governare, insegnare, perché privi di amore, di forza, di sapere. La figura femminile dei quattro disegni è bellissima, e sembra proprio la personaficazione dell'anima di quel Pierrot (i quattro disegni non vanno letti secondo cronologia, perché sono un tutt'uno). Essa è combattiva: non solo non si arrende, ma contrattacca nonostante la sua debolezza. Essa, insieme col Pierrot dà vita al cartiglio numero quattro, quello occulto perché non scritto, ma il più evidente nella rappresentazione simbolica: Pietas. Ma non è una pietà di compatimento, bensì di compassione per tanto squallore. Questa è la forza di questi disegni. E' l'arte (e qui siamo ai Giganti della montagna) che dà modo di celebrare il grande sacrificio attraverso cui "cancellare"  l'ignoranza del mondo; è l'arte che, pur morendo, è l'unica cosa viva di questo triste mondo; è l'arte che riesce a colorare e profumare il grigiore dell'esistenza; è l'arte che giganteggia su tutto e che riesce a superare la morte. L'arte è il profumo vero della vita. Ma possiamo andare ancora un po' più a fondo.
Abbiamo notato come il disegnatore nei suoi quattro disegni ha messo in luce un particolare complesso, che ci piace chiamare di "allergia al potere". Egli è allergico a Creonte in quanto legislatore e re; è allergico al re del quarto disegno in quanto legislatore (in mano reca non lo scettro ma la legge, ha chiarito Maurizio); è allergico alla famiglia (i Giganti della montagna stanno per celebrare delle nozze); è allergico all'autorità paterna (Babbo Natale - babbo è sinonimo di padre - è seduto sul trono senza scettro e con una corona ridicola). Però, alla fine, grazie a quei bilanciamenti che l'inconscio opera, la sua "allergia" viene fortemente mitigata da quel Pierrot e dalla
Pietas che suscita. Pierrot è il rappresentante dell'innamorato malinconico, romantico-sentimentale. Egli è "ingenuo e tenero moralista sempre destinato alla sconfitta e alla beffa crudele". Eccolo quindi sacrificare la sua maschera, per mostrare la sua vera identità: non un frutto lunare bianco e smorto, ma un fiore solare ricco di vita e di luce. La stessa Luce che farà luce sulla vera natura delle maschere dei vari disegni. Il cerchio si chiude con le indicazioni sottili che la Pietas ci regala. Essa
  "nella mitologia romana era dea di rispetto, pietà e devozione verso gli dèi, i genitori e la patria…era spesso rappresentata insieme con una cicogna simbolo di pietà". L'equilibrio è ristabilito, e il tutto attraverso alcuni bei disegni: come se l'inconscio avesse bussato alla porta della coscienza per poter "correggere" i piccoli sbilanciamenti coscienziali dovuti ad uno dei suoi figli: quel "complessino allergico", ma tutto sommato trascurabile e per nulla patologico.
Chissà quale controbilanciamento ci regalerebbe l'inconscio, una volta portato alla coscienza l'allergia di cui sopra? Ma ci fermiamo qui, se no il gioco diventa infinito.

Grazie, Natale Missale

 



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