Capitolo 3

 

Dopo aver fatto l'uomo maschio e femmina (vedi Gen. 1, 27), Dio li divise: "fece scendere un torpore sull'uomo che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo" (Gen. II,21-22). Abbiamo preferito ripartire dal secondo capitolo perché ci sembra molto importante sottolineare questo tipo di androginia ed il successivo distacco della donna dall'uomo. Dio creò l'uomo maschio e femmina nel senso che lo pose costantemente accanto alla sua Presenza Divina, all'immanenza della sua Divinità. Siamo ancora lontani dalla disperata ricerca che la Sposa (la Divina Shekinà) intraprende per lo sposo: "Sul mio giaciglio, lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato , ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amato del mio cuore". (Cantico dei cantici, III, 1-2). All'inizio l'uomo era in costante beatitudine, perché la sua Amata, la Presenza Divina, lo "conteneva" con tutto il suo Amore. Era un'estasi senza fine. "Ogni uomo deve essere sempre maschio e femmina per restare saldo nella fede e per far sì che la Presenza Divina noon si allontani mai da lui" ( Rabbi Sim' on, in "Zohar , Il libro delolo splendore- a cura G. Scholem - Einaudi- pag.11. Lo stesso brano è riportato in Lo splendore della Qabbalà - a cura di G. Scholem - Red edizioni - pag. 37). L'uomo androgino quindi aveva un legame indissolubile con l'Infinito, con l'Assoluto. Vedremo come dopo la caduta tale legame si perde, e come l'uomo sarà costretto a sudare non solo per lavorare, ma anche per ristabilire questo contatto. I mistici di ogni tempo, i veri filosofi di ogni tempo vi hanno dedicato l'intera loro vita. Oggi, mentre dilaga il materialismo, sono pochi i pensatori laici che invitano a riprendere tale contatto, e uno di essi è Carl Gustav Jung: "La domanda decisiva per l'uomo è questa: è egli rivolto all'infinito oppure no? Questo è il problema essenziale della sua vita…Quanto più un uomo corre dietro a falsi beni, e quanto meno è sensibile a ciò che è essenziale, tanto meno soddisfacente è la sua vita: si sentirà limitato, perché limitati sono i suoi scopi, e il risultato sarà l'invidia e la gelosia. Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l'infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano". (Ricordi, sogni, riflrssioni di C.G. Jung -Rizzàoli - pag. 382,383). Ed eccoci al serpente: "Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio". Così comincia la storia della mitica caduta. Così comincia uno dei brani più 'sconcertanti' della Torah. E' istintivo porsi le solite domande: perché Dio pose nel giardino l'albero della conoscenza del bene e del male? Perché creò il serpente?  Perché staccò Eva da Adamo?  Per un motivo semplicissimo: creò una via di fuga dalla Sua più Alta Presenza. Dopo essere stato creato, l'uomo provava per Dio un amore divorante, e se si fosse avvicinato troppo alla Sua Maestà sarebbe stato annientato e serebbe scomparso. Ecco perché Dio creò il serpente, l'albero ed Eva, per tenerlo a debita distanza dalla sua massima Potenza, per evitare la sua scomparsa in Lui. La stessa norma sarebbe valsa secoli dopo per tutti quei mistici che si sarebbero avvicinati troppo a lui (vedi Elia 2 Re 2, 1-11 ed Enoch Gen. 5, 22-24). "L'uomo che tenta di avvicinarsi a Dio più di quanto gli sia stato permesso - e ciò in vista della propria salvezza - sparisce da questo mondo". (Alexandre Safran - Saggezza della Kabbalah - Mondadori - pag. 199). Ma c'è un altro punto di vista, quello dell'uomo. Da questa prospettiva doveva esser chiaro che quell'albero costituiva il simbolo del limite invalicabile: l'uomo non doveva e non poteva andare oltre. Ma è giunta l'ora di riportare il mito a noi stassi: quando intraprendiamo la strada del ritorno dobbiamo assolutamente evitare di permanere nella dualità  bene-male archetipica rispetto a tutte le altre dualità. Dobbiamo limitarci a mangiare i frutti dell'albero della vita, dobbiamo cioè attingere a quella Saggezza che sta oltre ogni dualità, quella Saggezza con cui Dio Creò i mondi. Fintanto che non riusciremo a scorgere l'Uno in tutto, il tutto sarà un incomprensibile caos, ed il nostro corpo sarà prigione di una parte di quella Vita. Fintanto che permane l'ignoranza, l'ego, l'uomo non starà al servizio della Saggezza, della Vita, ma della ignoranza, della morte. Per dirla con le parole di quel geniale regista che è Peter Brook, "…Cominciamo a esistere soltanto quando siamo al servizio di uno scopo che va oltre le nostre preferenze o avversioni" (Peter Brook - I fili del tempo - Feltrinelli-pag 215).

"Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita".  (Nell'Antico Testamento , i cherubini sono spiriti al servizio di Yahweh…essi non sono veri e propri angeli perché non recano alcun messaggio da parte di Dio. Per esempio sono a guardia dell'albero della vita, dell'arca del patto - Es. 25, 18-20 - e vengono cavalcati da Jahweh - 2 Sam 22:11= Mercatante - dizionario universale dei miti e delle leggende - Newton - pag. 174). La traduzione della Torà curata dai Membri dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia (IV edizione) così recita: "Scacciato l'uomo, collocò a oriente del giardino di Eden i Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante, per custorire la via che portava all'albero della vita". (pag. 1°)

Grazie. Nat



Indietro