René Clair e il "suo" Faust
Ovvero
La bellezza del diavolo

 

"Ogni giorno siamo resi coscienti di quanto si soffra nel mondo, nonostante i grandi progressi in campo scientifico e tecnico,  a causa di una multiforme miseria, sia materiale che spirituale" (Enciclica Deus caritas est  di Papa Benedetto XVI - Libreria Editrice Vaticana, pag. 66 - sottolineatura e grassetto sono nostri).

 

     Se prendiamo il termine miseria nella sua accezione di stato di desolazione, cioè di rovina di abbandono e di squallore, questo mondo è davvero messo maluccio. L'aria che siamo costretti a respirare e che fa male perché inquinata, non è solo quella atmosferica. Un' arietta più sottile sta avvelenando le nostre anime ed i nostri cuori. Essa è veicolata da martellanti messaggi bombardati ventiquattr'ore al giorno da un esercito di adoratori del nulla. E' tempo di patti,  tempo di Mefistofele, d'inchiostro di sangue. Capitàno male (per dirla con Shakespeare) imperversa, ed ecco allora squallida Nullità gaiamente agghindata, / la fede più pura miseramente tradita, / i più splendidi Onori ignobilmente attribuiti, / la casta Virtù brutalmente prostituita, / nobil Perfezione  iniquamente avversata, … / Follia , con arie dottorali, opprimere Saggezza… / e il Bene schiavo servire capitàno Male…  -- questo grida Shakespeare nel suo famosissimo sonetto n° 66 (Opere - Sansoni, pag. 1261); questo stesso è quanto "grida" oggi  Papa  Benedetto XVI nella sua Enciclica in quel  "miseria spirituale". Sì, è tempo di patti e di miseria, perché la "perdita" di Dio dà povertà assoluta, e non c'è oro che possa compensarla.  Ma torniamo al Faust. Di lui crediamo di esserci occupati ampiamente (vedere i nostri saggi sul Faust di Goethe, su quello di Marlowe, sul Maestro e Margherita di Bulgacov, sul Paradiso Perduto di Milton, sul Dialogo di Malambruno e Farfarello di Leopardi). Commentando il film di René Clair non crediamo di poter aggiungere nulla a quello che già abbiamo detto. Possiamo solo affrontare più esaurientemente il problema del male personale, dell' Ombra, per poter meglio capire il perché della miseria spirituale di cui sopra.

Noi riteniamo che Goethe, attraverso il suo Faust, da buon alchimista, ci comunichi tutta la conoscenza sul bene e sul male da lui conseguita attraverso una profonda visitazione della propria interiorità. Ciò di cui parla, perciò, è "vero". Dopo avere assistito al film di Clair, invece, abbiamo avuto la netta sensazione che ciò di cui tratta è una sorta di parodia del Faust goethiano. Se l'intenzione era quella di rendere alla portata di tutti le vicende del dott. Faust, noi crediamo che le persone semplici, da sempre abituate alle parabole del Nuovo Testamento ed ai Proverbi dell' Antico Testamento, non avevano certo bisogno del film di Clair per capire la natura dell' Avversario e del Tentatore. Forse avevano già capito tutto fin dalla lettura della Genesi di Mosé. Stiamo parlando male del film? No. Stiamo solo cercando di dire che, a nostro parere, il Faust di Clair ha poco spessore, e che forse è stata sottovalutata l' intelligenza popolare. Un nostro amico, operaio con pochissima cultura, davanti ad un Re Lear televisivo interpretato magistralmente dal grande Salvo Randone e da una schiera di altri grandi attori, o davanti ai Sei personaggi pirandelliani proposti dall'allora Compagnia dei Giovani con Valli, Falk ecc., oltre che rimanere ammirato e stupito era ben in grado di esaltarne la grandezza rispetto a qualche sceneggiato romantico di poco spessore. L'operaio, il cosiddetto popolino, ha una sensibilità ed una capacità di giudizio normalissima. Se qualche parola è difficile, sopperisce il senso generale del discorso. Solo in un caso è in difficoltà: davanti ai discorsi filosofici alla Hegel ed ai tecnicismi scientifici. Se l'intento di Clair era quello di catturare l'attenzione dei ragazzi,  allora la sua opera è da ammirare.

       Ma torniamo ad occuparci dellùOmbra. Definendola in due parole, l'Ombra è quella parte di noi di cui non siamo consapevoli, coscienti. E' una sorta di discarica, di pattumiera, di sacca, di cantina in cui si accumulano tutte le cose sgradevoli mai accettate. Quindi è un lato oscuro di noi non vissuto, rimosso. Jung  la definisce come personificazione di alcuni aspetti della personalità inconscia (anche se dopo amplia la sua portata "usando il termine per indicare quelle caratteristiche del nostro sesso che abbiamo perdute" (R.A.Johnson). Per potere farsene un'idea abbastanza chiara diciamo che ogni aspetto d'Ombra assomiglia ad un cane aizzato contro un gatto e tenuto bloccato con un guinzaglio che prima o poi si spezzerà. Questo esempio deve farci riflettere, perché ci conduce al nocciolo del problema. Pensiamo per un attimo all'ira. Essa nasce nel momento in cui nella nostra mente si forma l'immagine di noi stessi adirati. Non è una volontà a monte a decidere: ora mi adiro. No. A nostro parere è l'immaginazione che "costringe" la volontà a far recitare quel personaggio adirato creato sullo schermo mentale. Una forte energia, agendo come luce di proiettore, stampa sullo schermo mentale una persona, una maschera. E' questo un punto di non ritorno: chi ha immaginato quella scena, prima o dopo sarà costretto a recitarla. L'immaginazione, dunque, noi la poniamo alla base del processo di creazione dell' Ombra. Disciplinare l'immaginazione, sottometterla alla volontà, cioè subordinarla ad essa, è della massima importanza. Ora, dal momento che nessuno a questo mondo è perfetto, e considerati gli infiniti stimoli che dalla civiltà della tecnica ci giungono sotto forma di immagini, suoni, parole, ecc., ognuno s'è creata la sua brava Ombra. E qui veniamo al problema: prendere coscienza di essa, integrarla nella personalità. La cosa non è semplice. Innanzitutto molti aspetti di essa sono stati proiettati su altri: noi abbiamo un certo difetto, non lo riconosciamo e lo addossiamo a qualcun altro. Oppure, non abbiamo ancora proiettato, e nel corso di una accurata introspezione o mentre assistiamo al nostro comportamento nella vita di tutti i giorni, ci rendiamo conto di un certo difetto, vizio o altro. Partendo da questo secondo caso possiamo fare due ipotesi: 1) da tempo cerchiamo di conoscere noi stessi, non ci meravigliamo della scoperta, e candidamente, ridendoci sopra,  ammettiamo di essere tirchi, prepotenti, o quel che volete; 2) la cosa avviene casualmente per un risveglio improvviso di coscienza, ed in questo caso scatta uno stupore che difficilmente ci provocherà la risata. In tutto questo, ovviamente, si corrono dei rischi. Per il tipo di educazione ricevuta, potremmo anche essere severi con noi stessi e addossarci più di quanto dobbiamo, o viceversa. In questo caso va usato buon senso, dopo avere esercitato tutta la facoltà critica di cui siamo capaci. Il vero problema, però, comincia adesso. Supponiamo di scoprire d' essere violenti. Cosa vuol dire integrare tale violenza, fare il violento perché tanto lo siamo? Sicuramente no. Significa riappropriarsi di quella energia non impiegata allorché in passato si è repressa un'azione (ovviamente lecita: non ci dimentichiamo che vi sono delle regole morali, civili, naturali che non vanno mai calpestate. Nessun psicanalista, in nome d'una liberazione di pesi interiori insopportabili potrà mai convincerci di dar vita ad atti che vanno contro tali regole). Eppure per un fraintendimento colossale o a causa di cattivi maestri, nel mondo in cui viviamo, oltre alle proiezioni reciproche che danno vita ad una Babele ingestibile, assistiamo alla folle corsa di macchine umane che, oramai prive di ogni "censura" interiore (Dio è Morto!, ripetono l'uno all'altro come anime morte), credono di avere raggiunto la libertà vera abolendo i freni e facendo tutto quello che passa loro per la testa. Tutto è divenuto lecito in nome di una laicità che oramai si è contrapposta ad ogni forma di religione e di fede. Da qui, annientamento di tutti i valori che consentono un vivere insieme accettabile. Ognuno ha aperto il proprio sacco d' Ombra, da cui, come dal mitico vaso di Pandora, sono usciti tutti i veleni del mondo. E qui, invece, impazza Dioniso: quell'energia liberata dalla presa d'atto del rimosso, anziché essere sublimata attraverso l'arte, l'artigianato o quel che volete, viene impiegata per una assurda "orgia di esagerazioni" d'ogni tipo, forma, ecc. E siccome la verticalità è finita con la (presunta) morte di Dio annunciata dal filosofo più frainteso di tutti i tempi, cioè Nietzsche, si genera un uragano piatto che spinge ad una danza pazza milioni di burattini costretti dal caos a sbattere l'uno contro l'altro.

A questo punto è lecito porsi una domanda: un brutto film, un orribile dipinto, una canzonetta penosa, un romanzo pessimo, sono frutto o  seme di disagio sociale? Noi la risposta ce la siamo data: pochissimi sono  frutti; la stragrande maggioranza sono semi di disagio, cioè invito più o meno esplicito all' emulazione. Stiamo esagerando? Beh, si rivada a rileggere quel sonetto di Shakespeare e poi ci si mediti su confrontandolo con ciò che sta accadendo in questa nostra società occidentale. Per fortuna il Bello esiste ancora, cova sotto la cenere, non è morto. E la storia ci insegna che dopo un ciclo piò o meno lungo di decadenza, l'equilibrio tornerà e con esso la moderazione ed il buon senso.  "L'arte dà forma alla follia" dice Hillman. Noi auspichiamo che si torni a fare arte, quella vera, quella nata da un disagio che non viene sbattuto in faccia al prossimo sotto forma di spazzatura, quella che riesce a sublimare tale follia allo stesso modo in cui le radici di una pianta trasmutano un concime. Oggi è in voga il gioco più assurdo del mondo: non solo si alza il coperchio della propria pattumiera - ci si scambia la spazzatura. Il concime va preso, messo in una fossa a fermentare, poi mischiato alla terrra, e dopo, preparato così il terrreno, si semina. Ma questo non avviene perché ci si limita a spandere per ogni dove il proprio concime. Certo, riappropiarsi del rimosso non solo costa fatica pisicofisica, ma procura anche depressione, e pochi sono i depressi veri, quelli che si sono riappropriati davvero della propria Ombra. In giro vediamo solo annoiati, viziati, nichilisti. La vera arte comincia con la malinconia imposta da Saturno, ma d'intorno vediamo solo trottole mosse da un Mercurio non filosofico, velenosissimo.  Quando nasce un romanzo come Lo strano caso del dott. Jekill e del sig. Hyde (Louis Stevenson), quando nascono pitture come quelle di Bosch, Dalì, Van Gogh, de Chirico ecc, quando nascono i Faust di Goethe o di Marlowe, quando insomma nascono i veri capolavori, è certo: disagio, malinconia, depressione hanno dato la spinta alla vera arte. Quando nei ns/ gruppi del CIS,  viene rivolto l'invito a creare musica, pittura scultura ecc., si cerca solo di costringere allo specchio chi crea, perché ogni produzione artistica è l'artista così come non si conosce ancora. Chi studiandosi attraverso una propria creazione non riesce a vedere parti inconsce di sé, e si vede così come nello stato coscienziale  (come accade al Faust ringiovanito di Clair) non ha preso coscienza della propria Ombra. Tutto questo però non deve essere frainteso: non si può cioè dare libero sfogo agli istinti per poi battezzare arte la spazzatura pura.    In nome di una Psicanalisi vista come panacea universale, giorno dopo giorno assistiamo a programmi di TV spazzatura che stanno dando la spallata finale ad un castello di carte (una società basata su una falsa libertà e giustizia). Noi la Psicanalisi l'abbiamo sempre presa con le molle. Abbiamo sempre preferito (ma fino a un certo punto) la Psicologia Analitica di Jung. Ma condividiamo molto di quanto dice Hillman nei suoi numerosi libri. Da uno in particolare - 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio - Ed. Garzanti - vogliamo riportare due brani: 1) "… la terapia si preoccupa esclusivamente del fatto che sia o no un bene per te, per il singolo paziente… Ma la terapia tiene mai conto della famiglia, dei vicini, dei colleghi e, ancor più, del mobilio, del mare, degli effetti sul mondo?" (Op. cit. pag. 202); 2) "…quando la terapia cerca di curare la patologia, invece di accorgersi che la patologia fa parte della crepa o della finestra rotta, e che qualcosa sta cercando di entrare, mi pare che crei ancora più patologia e che tenga ancora più lontani gli dei. E allora loro irrompono attraverso la società completamente allo sfascio" (id. pag. 198).   Se è vero, come è vero, che "la parte maggiore dell'anima sta fuori del corpo", lo stretto ambito terapeuta-paziente può ben poca cosa. Ovviamente i brani citati fanno parte di un contesto che non possiamo riportare per intero, ma che ognuno può leggere per proprio conto per meglio inquadrare il tutto. Hillman parla di una psicologia dell'estroversione, di una terapia che possa giovare non solo ad uno ma a tutto e a tutti, ma in un mondo esasperatamente egoico quale è quello in cui viviamo tale invito è come voce di chi grida nel deserto.  L' arte dunque come canale controllato della follia. Ma lo stesso autore ci ricorda che il più grande pericolo per l'arte è la mediocrità. Essa, a nostro parere, scaturisce non da una mancanza di tecnica, ma da una mancanza di totalità: quando Van Gogh dipinge è il dipingere, è totalmente arte. Esser totale ha però anche un altro significato: essere anche Quello, tutto, allargare la porpria coscienza in ogni direzione, com-prendere piò mondo possibile (non possedendolo ma essendolo). Ed Hillman può parlare di estroversione della psicologia perché tale allargamento di coscienza l'ha certamente assaporato: "Io non sono mai soltanto me, sono sempre fuori di me, fuori controllo. E non potrò mai riabilitarmi". Noi aggiungeremmo "riabitarmi", perché chi  ha assaporato lo straripamento, l'uscita, l'estasi, difficilmente amerà riabitare l'insignificante ego.

Mario Trevi, uno junghiano che ha ben studiato il problema distingue fra "proiezione" dell' Ombra: si scarica su altri le parti ombrose della propria personalità; "ricognizione" dell' Ombra: studio delle proiezioni; "scissione" dell' Ombra: essa vive autonomamente; "identificazione" con l'Ombra: l'energia psichica va ad alimentare solo le parti negative della personalità; "integrazione" dell'Ombra: accoglimento delle parti negative. La sensazione che noi abbiamo è quella di vivere in un mondo in cui moltissimi individui si sono identificati con l'Ombra.  "Mangiare" la propria ombra dunque, e non venderla come accade nella celebra fiaba di Peter Schlemihl… di Adelbert von Camisso: Schlemihl viene avvicinato da uno strano individuo vestito di grigio che gli propone un patto, acquistare la sua ombra in cambio di una borsa magica che rimane sempre piena d'oro. Schlemihl accetta ma viene disprezzato da tutti e senz' ombra si sente nessuno e infelice. Allora l'uomo in grigio fa una seconda proposta: egli restituirà l'ombra e gli lascerà la borsa magica, a condizione che Schlemihl, alla morte, gli consegnerà la sua anima. Il protagonista resiste al Maligno e getta la borsa magica in un burrone, ma ha perso l'ombra per sempre pur conservando l'anima. Vivrà in totale solitudine e girerà il mondo con i magici stivali delle sette leghe. Lo studio della botanica gli darà la pace perduta (riportata da Victor I. Stoichita in Breve storia dell'ombra dalle origini della pittura alla Pop Art. - ed. Saggiatore, pagg. 156 - 174). Il Film di Clair ci ricorda lontanamente la leggerezza di questa favola. L'abbiamo riportata per sottolineare la presenza massiccia di tantissimi uomini in grigio (M. Ende, nel suo romanzo Momo, si appropria di tale figura) nella nostra sfasciata società. Chi sono? Tutti quelli che, con astuzia e malignità, con dolo o con semplice colpa, hanno rubato a milioni di giovani non solo l'ombra ma l'anima, riducendoli a Nobody, cioè Nessuno. Cos'è un ragazzo privo di senso critico? Nessuno. Cos'è un giovane drogato? Nessuno. E chi non ragiona con la propria testa? Nessuno. Cos'è chi nega verticalità alla sua esistenza? Nessuno. E chi canta "Dio è morto"? Nessuno. Nobody. D'altronde qual'è il nome più appropriato per i figli del Nulla? Nobody. Ed ecco che in una società in cui ogni valore spirituale è stato deriso, ogni valore morale calpestato, si precipita il suo opposto: una religione i cui seguaci sono disposti a tutto, anche con fanatismo, per difendere quello che dovrebbe essere ed è il valore più alto in una società di uomini veri: DIO. Sì, "veri", perché un uomo senza ombra e senza anima, oltre che nessuno è anche bestia e basta.

Quanta proiezione c'è in quello che abbiamo scritto? Poca, e quella poca che c'è ce la ritiriamo e la teniamo per noi. René Clair non ce ne vorrà: non potrebbe.

Grazie, Natale Missale.

 

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