Sul mantra "Nam Myoho Renge Kyo"
(
riflessioni di Maurizio)

 

Nichiren Daishonin, Maestro buddhista giapponese del XIII secolo, ritenne di rintracciare l’essenza stessa della predicazione e dell’Illuminazione del Buddha in un mantra, chiamato ‘daimoku’, cioè ‘invocazione’. Il mantra è ‘Nam Myoho Renge Kyo’, traducibile in: “Dedico la mia vita alla Legge Mistica del Sutra del Loto”. Qui di seguito espongo alcune mie ricerche ed  elaborazioni personali sul suo significato.
‘Nam’: deriva dal sanscrito. Etimologicamente rappresenta il saluto, il ‘namaskar’ o il ‘namastè’ indiano che gestualmente si accompagna con un sorriso e un inchino a mani giunte. Nel termine ‘nam’ è contenuta l’idea di riverire, lodare, essere devoti, riconoscere il valore di qualcuno o qualcosa, accogliere, offrire o offrirsi con umiltà e gratitudine. Si tratta di una parola, un gesto e un atto gioiosi e vitali.  Se qualcuno ha osservato come il saluto a mani giunte viene compiuto nella danza indiana, per esempio nel Katakhali  o nell’Orissa, ricorderà la vibrante emozione religiosa di cui è permeato. Quello è il senso proprio e tradizionale del ‘Nam’.
Possiamo asserire che ogni pratica religiosa, in fondo, è compresa in ‘Nam’, poiché in questa parola è contenuto il riconoscimento di qualcosa di profondo e ulteriore, di un ‘tremendum’, di un ché di numinoso, immanente e trascendente rispetto a chi la pronuncia. Tutte le religioni, qualunque sia la loro struttura filosofica e il loro approdo, partono – per così dire - da ‘Nam’, cioè dall’atto di devozione di fronte al divino, a Dio, alla Legge, al Cielo e alla Terra, o comunque si voglia concepire e definire la “vera entità della vita”. In questo senso ‘Nam’ è anche l’Illuminazione di Shakyamuni sotto l’Albero di Bodhi: il momento in cui l’individuo diviene consapevole della ‘Realtà Universale’ e ad essa porge il suo saluto, in essa si riconosce.
In sanscrito ‘Nam’ è scritto con la ‘a’ breve. Se questa fosse lunga ‘Nam’ significherebbe ‘Nome’ e comunque, sia etimologicamente che foneticamente, esiste una stretta parentela fra i due termini. Nella filosofia indiana, per esempio nel Samkhya (che corrisponde un pò alla nostra Scolastica medioevale per le caratteristiche di complessa elaborazione logico-filosofica), Nam rappresenta l’identità o la ‘vera identità’, rispetto a ‘Rupa’, la forma, l’aspetto o la struttura esteriore, il corpo, la manifestazione. Nam indica anche il Nome Divino e viene utilizzato in molti mantra e preghiere indù: per esempio ‘Om Namah Shivaya’ (saluto a Shiva). Il Nome Divino con la sua ripetizione riveste un’importanza enorme in moltissime religioni, ricoprendo spesso il ruolo di invocazione suprema: pensiamo all’Islam, ma anche all’ebraismo mistico dove ogni nome di Dio richiama una caratteristica particolare dell’Essere Supremo (Adonai, il Signore; El Shaddai, l’Onnipotente ecc.) e ne esiste anche uno impronunciabile per la sua tremenda forza misterica (YHVH). Persino la preghiera del Cristo “…sia santificato il Tuo Nome” è in linea con questa idea che il Santo Nome rappresenti in sé un legame diretto con l’Entità Universale.
Per quanto esposto, possiamo considerare anche il daimoku come un’invocazione del Nome della Mistica Legge. Nel buddhismo, tuttavia, la Realtà Ultima non è tradizionalmente rappresentata da una divinità antropomorfa ed è inesprimibile a parole, però può essere ‘vissuta’, riconosciuta, sentita, sperimentata. La si indica con la parola ‘Legge’ per descriverla come dotata di senso, logica, come esprimente un ordine fondamentale, un’intenzione imperscrutabile e oltre l’aspetto illusorio dei fenomeni. Più o meno lo stesso significato i taoisti attribuivano alla parola ‘Tao’ (Via), e i seguaci del Vedanta come anche i redattori delle Upanishad indicavano la stessa cosa con la locuzione ‘Quello’ (Tat): tutte queste correnti filosofico-religiose esprimevano ed  esprimono in tal modo la convinzione che la Vera Entità non possa essere definita o compresa dalla mente concettuale. Anche nell’intenzione di Nichiren ‘Nam Myoho Renge Kyo’ sposta l’attenzione della pratica meditativa dalla semplice adorazione di un Buddha ‘divinizzato’ (tipica di certo Mahayana) come poteva essere Amida, Dainichi o lo stesso Shakyamuni, alla consapevolezza di ‘Quello’, l’Entità Inesprimibile, il Tutto, l’Assoluto.
Nelle parole ‘Myoho Renge Kyo’ abbiamo, per così dire, la piena descrizione filosofica di questo Assoluto precisando, comunque, che Nichiren Daishonin - anche in accordo con il Sutra del Loto su cui si basa il suo insegnamento - non considera mai la Realtà Ultima lontana dagli esseri viventi e da essi irraggiungibile, ma in ogni istante vicina e alla portata di tutti. ‘Myoho’ ne è l’anzidetto aspetto inesprimibile, mistico e misterico, oltre la mente concettuale (Sad-Dharma, la Vera Legge; Sat: la Verità, l’Essere). ‘Renge’, il ‘Fiore di Loto’, ne è la manifestazione sottile quale Legge di Causa ed Effetto, alla base del dipanarsi degli Universi (rappresentati anch’essi dal Loto come espressione dell’unità nella molteplicità, Mandala Cosmico). Da ultimo ‘Kyo’, così come il sanscrito ‘Sutra’ e il cinese ‘Ching’, ha in sé il concetto di ‘ordito’, ‘tessuto’, ‘trama’. Allude all’aspetto percepibile, alla ‘veste’ della Legge che appare in qualità di mondo dei fenomeni.



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