Maurizio: dal Genesi 11
(
Divagazioni interpretative di Maurizio)

 
 

¨      Egitto: paese di Kemi, cioè della ‘Terra Nera’ secondo gli ebrei, probabilmente con allusione alla fertilità del terreno. Alcune interpretazioni fanno risalire l’Alchimia al termine ‘kemi’, lasciando così intendere la sua antica e misteriosa origine. Che l’Egitto antico sia nell’immaginario - e probabilmente lo è stato nella realtà - il paese dell’ermetismo e il depositario di una Tradizione che si perde nella notte dei tempi, è un fatto. Che l’ebraismo e la cabala attingano a quella stessa Tradizione è abbastanza plausibile: Mosè, secondo molti, era un Iniziato alle conoscenze esoteriche dell’Egitto. Perché, allora, in Genesi abbiamo come un’immagine ribaltata della situazione, dove gli egizi e il Faraone non hanno un ruolo così ‘alto’ quanto gli ebrei? Oltre al fatto che la Bibbia è un testo ebraico, ovviamente legato al punto di vista dei suoi redattori, potrebbe esservi un'altra motivazione per questa apparente incongruenza: sia pure in possesso della Scienza così come era intesa nell’antichità, l’Egitto avrà sicuramente avuto le sue fasi di ascesa e di declino, ed è possibile – come sempre avviene – un’epoca di degrado della Tradizione; così gli ebrei potrebbero essere in qualche modo gli eredi e i rinnovatori di quelle antiche conoscenze per le quali il paese di Kemi è ancora oggi ricordato. A conferma di ciò abbiamo le testimonianza di tante culture, anche di quelle più lontane, a descrivere la possibilità sia dell’ascesa che del degrado delle civiltà. Ricordiamo di sfuggita le quattro ere dell’induismo che da un’epoca d’oro della Verità e della spiritualità – Satya Yuga -  descrivono il progressivo declino fino ad arrivare all’era oscura del Kali Yuga. Nel buddhismo si parla, invece, dei “tre giorni della Legge”: nel primo è presente il Maestro, lo Spirito della Legge Mistica è vivo e vitale in tutti; nel secondo ‘giorno’ si parla di un’epoca in cui c’è un grande sviluppo dell’aspetto formale, sapienziale e rituale delle realizzazioni precedenti, ma comincia ad essere carente la realizzazione interiore; nel terzo ‘giorno’, chiamato anche ‘Ultimo Giorno della Legge’, perfino il profilo esteriore non è più in sintonia con l’ideale, e c’è grande confusione e decadimento: da quest'ultima fase potrà eventualmente rinascere una nuova maturità, una nuova possibilità di comprensione. L’Illuminazione, infatti, rappresenta solitamente un elemento rivoluzionario e sconvolgente, un profondo rinnovamento. Una tale interpretazione ciclica, naturalmente, può essere calzante non soltanto per il buddhismo, ma per tutte le religioni e le culture dell’uomo. Applicandola al racconto biblico, potremmo pensare che l’Egitto ivi descritto fosse nel Medio Giorno, quello in cui, pur conservando l’apparato esteriore della civiltà, ne avesse perso lo spirito originario o, comunque, questo fosse in via di dispersione. In questa chiave, Abramo potrebbe essere quell’elemento rivoluzionario e vitale che, quasi mai, all’inizio del suo percorso, viene riconosciuto dai contemporanei, venendo da essi sottovalutato.

¨      Volendo uscire dal senso letterale del racconto che, preso com’è, riguarderebbe soltanto gli espedienti di una tribù di nomadi per sopravvivere in una condizione ostile, vorrei considerare innanzitutto il significato del titolo di Faraone: letteralmente - dal termine egizio Peraa - vuol dire ‘Grande Casa’. Siamo, probabilmente, di fronte ad una grande e ben strutturata impostazione dottrinaria, che ricorre al simbolismo architettonico – come più tardi farà la Massoneria – per rappresentare sé stessa: prova ne siano le stesse Piramidi. Abramo, in questo capitolo di Genesi, prima di recarsi in Egitto, erige un altare in una località chiamata “Quercia di More”. ‘More’ vuol dire ‘dottrina’. A poca distanza vi sono due località: Betel, che significa ‘Casa di Dio’, e Ai, che vuol dire ‘ammasso di rovine’.  Poi deve andare nel Negheb dove, è ovvio, viene una carestia: negheb, infatti, significa ‘arido’. L’impressione che si ricava da tutto ciò è che il Patriarca sia anch’egli in possesso di una solida impostazione dottrinaria - solida come una quercia - e che sia in grado di rapportarsi alla ‘Casa di Dio’, cioè al senso più profondo del Tempio Interiore, ma al contempo pare che si trovi a fronteggiare condizioni di estrema decadenza e di aridità spirituale. Forse per questo motivo egli cerca di riparare in Egitto, terra di grandi conoscenze, probabilmente mitica anche in quell’epoca, così da avere un confronto, un sostegno, un ristoro. Non dimentichiamo che Abramo proviene da Ur, e che insieme a suo padre si stabilisce ad Harran, da dove sentirà il richiamo divino ad andare avanti nella sua ricerca. Ora, bisogna sapere che Ur dei Caldei era un importante centro religioso dedicato al dio Nannar, una divinità lunare, e che lo stesso dio era adorato ad Harran. La partenza di Abramo, dunque, è interpretabile come un bisogno interiore di cercare un’altra e più soddisfacente idea del divino, magari… ‘solare’. Quale posto migliore dell’Egitto per soddisfare la sua ‘fame’?

¨      Tuttavia, appena giunto nel ‘paese di Kemi’, Abramo sembra rendersi conto che la decadenza epocale è presente anche lì, sebbene formalmente vi sia grande abbondanza e conoscenza. Per questo motivo è costretto a rifugiarsi immediatamente in un atteggiamento protettivo, tipico degli Iniziati: egli vela la sua dottrina, simboleggiata dalla moglie Sarai, e la spaccia per un prodotto meno profondo ed elaborato, così da non entrare in competizione con le abitudini del luogo. Per fare un parallelo forse indebito, potremmo riferirci al buddhismo: questa religione, infatti, rispetto alla possibilità di diffondersi presso altre aree culturali e religiose, teorizza cinque principi ‘guida’. Bisogna, dice, tenere conto di cinque fattori, che qui enumeriamo senza entrare troppo nel merito:

1.      le caratteristiche dell’insegnamento da far conoscere,

2.      la capacità ricettiva delle persone,

3.      il tempo,

4.      il paese,

5.      lo stadio di evoluzione (in un contesto di classificazione generale degli 
         insegnamenti) dal
quale bisogna iniziare.

Se Abramo può aver pensato a qualcosa del genere decidendo di mostrarsi prudente, la sua strategia sembra funzionare: la ‘Grande Casa’ accoglie la nuova dottrina, ne comprende la bellezza, ne subisce il fascino, e pensa di poterla acquisire, assorbendola nel suo Corpus di conoscenze. Abramo stesso ne riceve beneficio: i molti doni gli permettono di arricchire e di soddisfare la sua fame di ricerca. Tuttavia, ciò di cui egli si fa portatore non è così ‘innocuo’: la sua è un’idea che contiene in sé elementi di profondo rinnovamento, rivoluzionari, anticipatori di una nuova epoca. Per questo motivo il Faraone, che evidentemente possiede una certa sensibilità e lungimiranza, comprendendo questo potenziale in grado di scardinare vecchi principi, si vede costretto ad allontanare Abramo e Sarai, pur conservando per loro un certo rispetto: il confronto sarebbe deflagrante per il suo sistema di conoscenze, porterebbe ad un rinnovamento tanto radicale da essere inaccettabile.

 

 

 

Appendice: fantasticherie alfabetiche

Secondo gli studiosi, gli alfabeti oggi conosciuti hanno un’origine comune, che essi individuano nell’area semitica, intendendo con questo termine non tanto un ceppo razziale, quanto un’area geografica con popolazioni diverse. L’alfabeto greco, dunque, sarebbe strettamente imparentato con quello ebraico, e anche l’alfabeto latino, attraverso quello fenicio ed etrusco, sarebbe una derivazione e un adattamento ad una lingua indo-europea di quell’antichissimo alfabeto, ‘inventato’ circa 4000 anni or sono fra la Mesopotamia e il Sinai. Anche i nostri progenitori, comunque, cercavano di rintracciare un’origine al sistema della scrittura: per esempio i greci individuavano con racconti mitici in Egitto questa origine, oppure, in altre versioni, riferivano a Cadmo la sua diffusione, e anche quest’ultimo personaggio veniva dall’oriente. Platone, nel Cratilo, racconta il dialogo del suo Maestro Socrate su questi temi e, particolarmente, sul significato delle singole lettere. I greci, attraverso la scuola pitagorica, avevano sviluppato anche un sistema numerico associato all’alfabeto, la Gematria. Questo sistema ci è già noto in documenti del II o III secolo a.C. e, almeno dalle ricerche storiche, risulterebbe antecedente a quello cabalistico ebraico: prova ulteriore ne sia il fatto che i cabalisti utilizzano per quella tecnica il nome greco.  Affrontando il  lavoro sulla Genesi con il gruppo del C.I.S., il tema dell’alfabeto si è presentato più volte, come anche quello della Gematria. Anche nostri i sogni, inoltre, hanno iniziato ad affrontare l’argomento. In seguito a queste sollecitazioni, oltre che a quelle dei conduttori del C.I.S., siamo portati a tentare una ‘nostra’ creativa quanto arbitraria interpretazione delle lettere dell’alfabeto, dando a quello moderno una dignità pari ai corrispettivi antichi, visto che è quello in uso, è il più diffuso nel mondo e, comunque,  deriva da illustri progenitori. Da parte mia, sentirei il bisogno di una trattazione più sistematica, che anche nell’arbitrarietà della visione individuale possa tenere conto della logica. Tuttavia ciò richiederebbe un lavoro più approfondito che, per ora, lascio ad un eventuale progetto futuro. Mi accontento, per ora, delle seguenti e poco elaborate fantasticherie.

 

A.  L’uomo. Un uomo con gambe e braccia aperte, ben saldo sul terreno. Indica apertura (è la vocale che richiede la maggiore apertura della bocca). Utilizzando il sistema gematrico, numero 1.

B.  La bocca, le labbra, il bacio. Amore. Numero 2.

C.  La falce di luna. Crescita e declino. Mutamento. Numero 3.

D.  Semicerchio, diametro. Metà. Un lato, una faccia, che presuppone l’esistenza dell’altro lato. Numero 4.

E.   Un tridente. Strumento di potere. Strumento di lavoro. Attività sui tre piani: fisico, astrale, mentale. Numero 5.

F.    Una forza sottile, cui manca la struttura ‘solida’. Il vento. Il soffio. Numero 6.

G.  Una spirale evolutiva. Falce e martello, o anche squadra e compasso, come simboli dell’Opera e del lavoro concreto, materiale, che elabora la ‘terra’. Numero 7.

H.  Costruzione, porta, insegna, struttura costruita dall’uomo, scala. Nella pronuncia rappresenta l’”aspirazione”. Aspirare significa desiderare e costruire nella direzione prescelta. Numero 8.

I.      L’Asse del Mondo, il collegamento fra Alto e Basso, fra Spirito e Materia. Il Figlio. La spina dorsale. La verticalità.  Legame - ‘religio’ - religione. Numero 9.

J.     Uncino, amo: nel senso ‘inferiore’ qualsiasi fascinazione, richiamo irresistibile, perdita dell’autocontrollo; nel senso ‘superiore’ richiamo spirituale, spirito di ricerca, vocazione. Numero 10.

K.  Tenda, velo, ornamento. Può esservi il doppio significato di ‘velare’ e ‘rivelare’. Nella pronuncia gutturale, molto dura, può intravvedersi la disciplina, la severità, l’intransigenza, anche l’aggressività. La disciplina può condurre al dominio di sé e alla conoscenza (rivelazione) come esito degli sforzi, oppure semplicemente alla distruzione e alla separatività (velo). Numero 20.

L.   Strumento di misura: squadra, angolo, gnomone, meridiana. L’asse verticale ‘ideale’, viene ad essere termine di paragone per la valutazione e la misurazione della dimensione orizzontale. Per la pronuncia detta ‘liquida’, rappresenta anche la flessibilità, l’elasticità necessaria a qualsiasi processo di confronto fra termini appartenenti a piani diversi. Numero 30.

M.          Montagna. Anche per il suono vibratorio ‘muto’ è una figurazione dell’ascesi, del silenzio, della quiete, della solitudine, della meditazione, dell’interiorità. Numero 40.

N.  Direzioni ascendente e discendente, ‘solve’ e ‘coagula’ come necessità alternata per il percorso sia della vita che della conoscenza. In senso ‘inferiore’ rappresenta gli alti e bassi che, talvolta, è necessario equilibrare per trovare il ‘centro’. Numero 50.

O.  Cerchio, centro. Origine. Il Tutto. Il Nulla. Numero 60.

P.   Rappresentando il semicerchio nella parte superiore il ‘cielo’ o il ‘sole’, l’intero simbolo grafico può interpretarsi come una figurazione degli influssi degli astri. Grazia. Destino. Fortuna. Numero 70.

Q.  Ruota, movimento ciclico misurabile, con un inizio e una fine. Numero 80.

R.  Anche qui una rappresentazione dell’influsso delle stelle, ma con l’aggiunta di una linea obliqua: poiché quest’ultima può indicare un intervento o un movimento di qualche tipo nella configurazione descritta, una sorta di ‘leva’, ne ricaviamo il senso di ‘volontà’, intervento dell’azione umana per modificare il destino. Per il suono, che può richiamare il ‘ruggito’ e un certo tipo di energia, ricaviamo l’idea di ‘determinazione’. Numero 90.

S.   Serpente. Energia sfuggente, difficilmente controllabile. Kundalini. Per il suono ‘sibilante’: avvertimento, pericolo. Numero 100.

T.   Albero. Albero della vita. Incarnazione. Sacrificio. Numero 200.

U.  Coppa. Apertura verso l’alto. Ricevere o offrire. Abbandono. Essendo la vocale più ‘chiusa’, implica un certo grado di introversione. Numero 300.

V.  Forbice, punta, lama. Il taglio o la penetrazione possono collegarsi con la qualità mentale della discriminazione o del distacco. Nell’uso comune, ricorda la ‘vittoria’, non disgiunta dall’uso delle armi o dallo spirito di conquista. Numero 400.

W.         Mano o mani alzate. Segno di resa o di gioia. Esclamazione. Nascita. Numero 500.

X.  Nel significato comune: ignoto, misterioso, incognita. Morte. Essendo graficamente una rappresentazione speculare fra alto e basso, più o meno due triangoli che si toccano al vertice, abbiamo il senso di “come in alto così in basso”, l’ermetica legge di analogia per intuire ciò che non si conosce. Divinazione. Anche i ‘quattro angoli del mondo’ che s’incrociano al centro, la quintessenza: il senso profondo risultante dalle operazioni alchemiche della vita. Numero 600. Una curiosa particolarità: il C.I.S., nome del nostro gruppo di studi, può essere anagrammato in ICS, nome della lettera in esame.

Y.  Bivio o trivio. Il cammino percorso, da percorrere e la scelta individuale, hic et nunc. Numero 700.

Z.   Saetta, fulmine. Evento imprevisto e sconvolgente. Eliminazione del passato e delle sue cristallizzazioni. Illuminazione improvvisa. Dolore che provoca comprensione. Numero 800.

 

 

 

 

Appendice 2 – numeri e alfabeto latino sull’Albero

In tema di divagazioni fantastiche, non poteva forse mancare un ulteriore e arbitrario accostamento: quello fra l’alfabeto latino, i numeri e le Vie della Saggezza dell’Albero della Vita. Dando, infatti, la dignità di alfabeto ‘tradizionale’ a quello latino, sarebbe interessante vedere come questo possa essere disposto a rappresentare le Vie, in analogia con quanto la cabala ha fatto con le lettere ebraiche. L’attuale alfabeto moderno, bisogna sapere, è un diretto derivato del latino antico, con alcune aggiunte posteriori. Le aggiunte sono:

1.      la lettera J, di acquisizione tardo-medioevale;

2.      la differenziazione fra U e V, che nel latino classico non esisteva o, comunque, non faceva uso di due elementi grafici diversi;

3.      anche la W è medioevale, ed ha lo stesso valore di U e V;

4.      la Z, pur essendo di uso classico, era considerata in realtà una lettera ‘straniera’, poco usata perché presente solo in parole non latine.

Considerate queste particolarità, e accantonando per il momento la Z, avremmo esattamente 22 lettere, proprio come nell’alfabeto ebraico. La Z, per il suo andamento grafico a zig-zag, può in qualche modo rappresentare tutte le Vie dell’Albero, il cui modulo è il ‘percorso della folgore’; oppure la Sefirah Malkuth, il ‘Regno’, dove si riuniscono sia le Vie che le Sefiroth o, ancora Daath, la Sefirah ‘invisibile’, ‘in sovrappiù’.  Le Sefiroth, comunque, possono ben continuare, nel nostro glifo, a rappresentare i numeri, come da Tradizione. Ecco, quindi, di seguito l’azzardato schema ‘cabalistico’ con numeri e lettere ‘occidentali’, fra alfabeto latino classico e  moderno.

 



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