Riflessioni di Giorgio Rollo
sul “Tao Te Ching”

 

Aforisma secondo

“La gente al mondo sa che il bello è bello:
di qui il brutto. Si sa che il buono è buono:
di qui il non buono. Hanno origine così
l'uno dall'altro l'essere e il non essere;
il difficile e il facile convergono;
lungo e corto a vicenda si limitano
e muta l'alto in basso e il basso in alto;
si accordano l'un l’altro il prima e il poi”.

 

La realtà è frutto della fissione tra gli opposti, in altro modo si potrebbe dire che essa è il risultato sincopato tra i contrari. Non è mai assolutamente bella, non è mai assolutamente brutta. Non è mai assolutamente buona non è mai assolutamente cattiva. E' il frutto tra la forma archetipa della Bellezza, che è lo Spirito, e della Sostanza, che è l'Archetipo dell'informe, del Brutto. E' il sinolo, forma e sostanza unite in una entità che ha la sua radice nell'Essere, dimensione positiva e nel non essere dimensione negativa. Tra le due polarità la luce: non quella increata, bensì creata. Da qui il Mondo una “Coincidentia oppositorum”, dalla quale nasce la Res extensa, con le categorie di Tempo e Spazio, quali intermedi interlocutori tra i due estremi. Diciamo che il Tempo ringiovanisce ed invecchia, e lo Spazio dilata e restringe. Il Tempo abbellisce ed imbruttisce, così dopo la pubertà viene il fiore della giovinezza, e dopo la maturità la senescenza. Lo Spazio che è “Tempo-Spazio”, allontana ed avvicina i ricordi e i momenti, rendendoli evanescenti e vivi, secondo l'intensità la quale è Essenza in Sostanza Mercuriale.

 

“Perciò il Saggio professa il non forzare
e senza dire insegna. Non contrasta
essere alcuno nel suo divenire”.
 

 

Lo stato di quiete apparentemente richiede poco sforzo, mentre nella realtà è lo stato, che richiede maggiore lavoro. Siamo tendenzialmente spinti al movimento ed all'agire, il nostro organismo è in continuo mutamento. La stasi, lo stare fermi “sicut lapis” richiede un lavoro maggiore di tensione muscolare e di tensione cerebrale. Perciò solo dopo un lungo apprendistato si giunge a padroneggiare il proprio corpo e la propria mente, al punto tale da renderli fissi in una determinata posizione.

Come nel campo fisico, così nel campo morale insegnare senza dire, richiede maggiore sforzo che insegnare parlando. Poiché chi non parla opera con la presenza e con l'azione. Si può insegnare a dipingere sia con la teoria che con la pratica. Ma vedendo la pratica si entra in un mondo di magia. Vedere come i pigmenti si trasformino in immagini è opera di artifizio eccellente. Ed ecco la meraviglia del prodotto finito che genera stupore ed ammirazione, per il quale le parole sono superflue. Così la teoria si incarna nella pratica, ed il silenzio del Maestro crea maggiore frastuono dello strepitìo verbale dell'allievo.

Il Maestro fa scorrere la sua vita, come la vita altrui senza contrastarla. Perché sa che Colui che tutto opera si serve di lui, come degli altri, quali strumenti per il Suo Fine. L'uomo in via di realizzazione non deve fare altro che far passare l'energia divina attraverso la sua persona, deve essere un conduttore pulito, senza scorie, tale che la corrente possa passare senza trovare intoppi. Solo così l'uomo si realizza, perché attraverso la morte dell'io fa nascere il Divino in sé. Tutto il suo sforzo deve consistere nel dominare la sua parte passionale ed irrazionale per far scendere su di lui, ed esserne strumento, la Luce Divina. Senza operare opera.

 

“Fa, e non s'appropria; agisce e nulla attende”

  

Nella mistica cristiana, quella maggiormente nota allo scrivente, si distingue l' Amore in: amore mercenario e amore filiale. Per amore mercenario si intende una forma di amore carnale o di concupiscenza rivolto dalla creatura verso il Creatore, un amore secondo la formula latina del “do ut des”. Mentre l'amore filiale o spirituale è un amore oblativo, al punto tale da fare esclamare ad un mistico: “Amo Dio anche se Egli mi dovesse destinare alle pene eterne”.
Così il Saggio deve comportarsi nella vita quotidiana, deve operare il bene, perché ciò è connaturato al suo essere, ma non deve attendersi ricompensa, poiché la ricompensa è già insita nell'operare bene.

 

“Nell'opera compiuta non riposa:
non vi riposa, perciò non ne manca”.

 

Come i giovani monaci tibetani costruiscono con grande perizia e tanta pazienza i mandala di sabbia e, dopo aver ultimato ed ammirato per un istante fugace l'opera compiuta, la distruggono, così l'uomo saggio deve operare bene, perché ciò discende da perfezione, però non deve soffermarsi sull'opera compiuta, ma deve procedere oltre. Procedere di perfezione in perfezione, perché mai si raggiunge la Somma Perfezione. Perciò colui che cerca la Perfezione non può riposare in nessuna opera compiuta, poiché tutte difettano di qualcosa. L'opera più bella è, come dicono gli Artisti,”il prossimo quadro che dipingerò”.

Così si può dire che il saggio non sia attaccato a nulla, poiché sa che la fonte della perfezione risiede nel suo interno.


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