Riflessioni di Giorgio Rollo
sul “Tao Te Ching”
Aforisma Settimo

“Sempre si leva il cielo e sta la terra;
per sempre il cielo e la terra persistono,
e durano perché per sé non vivono:
questo li fa perenni eternamente”.

 

Se volessi per un momento esulare dell'esegesi morale di questi primi quattro versetti, verrebbe spontaneo chiedersi, ma come Lao Tse definisce la terra perenne, non sa egli che anch'essa è peritura al pari delle stelle?
Né si può dire che gli Antichi popoli ignorassero tale fatto, per citare solo un esempio, il Salmo 72 al versetto 7 recita così: ”Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna”. Bisogna ricordare che la stesura dei Salmi è almeno anteriore di cinquecento anni dalla composizione del Tao Te Ching.
Neanche, si può asserire, che gli Astrologi egizi, babilonesi o cinesi, ignorassero tutto ciò.
A mio parere, la soluzione si rintraccia in questo ragionamento, che ha anche una valenza di insegnamento morale, soprattutto per i miei contemporanei. Molto saggiamente Lao Tse considera che la durata di una vita di un uomo mediamente oscilla tra i settanta o gli ottanta anni, che la durata delle civiltà si misura in qualche migliaio di anni. Parlare di una previsione di milioni di anni, quando la terra sparirà, secondo i calcoli degli scienziati moderni ed antichi, è semplicemente fuori senso. E quel sano pragmatismo dei popoli antichi faceva loro dire “hic et nunc”, per significare che un secondo è paragonabile all'eterno, perchè l'eterno non è scorrere del tempo “pantha rei”, bensì centratura del sé nell'essere. Perciò fare poco, e quel poco farlo bene era il segreto degli antichi che, se vedessero tutto il ciarpame che produciamo noi, inorridirebbero!

 

“Perciò sta indietro il saggio, eppure avanza;
a sé non tiene perciò si preserva;
attua a se stesso perché a sé non bada”.

  

Dopo l'iniziazione maschile, attiva o dorica, incomincia l'iniziazione lunare. L'iniziato dopo aver raggiunto le vette della speculazione consentite alla natura umana, deve ritornare su se stesso, e morire a sé riprendendo una vita ordinaria.
Questo accade nella Via iniziatica dei Tarocchi, che aprendosi la prima parte, quella solare con il Bagatto o Mago, si conclude con l'XI carta per riaprirsi con l'Appeso, colui che offre se stesso distribuendo averi materiali e spirituali, venendo infine appeso ad un albero a testa in giù.
Analogo pensiero si può riscontrare in Estremo Oriente, dove nel racconto i “10 Tori” l'iniziato, dopo aver domato il toro, torna al mercato. Così sentenzia il racconto: “Scalzo e col petto nudo, mi mescolo alla gente del mondo”.
Si evince da ciò che il Saggio, conseguita l'iniziazione, deve perderla per acquistare il vero saper vivere che, come dicono i Cabalisti, significa ritornare ad essere l' Adamo primigenio (Adam Kadmon) del giardino dell'Eden, dove egli passeggiava sotto lo sguardo del Signore. Sicuramente la seconda iniziazione è ancora più dura della prima, poiché l'uomo deve spogliarsi della propria vanità e superbia.



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