Plotino - Il Mistico Filosofo

 

Quasi tutto quel che si sa di Plotino lo si deve all'opera "Vita di Plotino e l'ordine dei suoi scritti" di  Porfirio, suo disceplo. Egli nacque a Licopoli nel 205 d.C. e morì nel 270 in Campania presso la casa di un amico. Era vegetariano, si vergognava di essere in un corpo, ebbe una fitta schiera di uditori. Scriveva di getto e non correggeva mai i suoi scritti. Era sempre presente a se stesso. La sua mitezza gli procurò solo amicizie: non ebbe mai nemici. "Plotino aveva…sin dalla nascita una superiorità sugli altri uomini…era dunque assistito da uno di quei demoni che sono più vicino agli dei ed a lui si rivolgeva continuamente il suo occhio divino" (Plotino - Enneadi - Rusconi, a cura di Giuseppe Faggin, ed. Ott. 92 - pag. 21: tutte le citazioni saranno di quest'opera). Plotino "scriveva sotto il dominio dell'ispirazione" e nello scrivere era "ricco più di ideee che di parole".
"Apollo, interrogato da Amelio sul luogo ove dimorasse l'anima di Plotino… rispose: …O demone, che fosti un uomo, ed ora condividi dei demoni la sorte più divina…tu avesti nel cuore la forza di sfuggire alla tempesta assordante delle passioni del corpo e giungesti nuotando alla tranquilla riva, lontano dalla folla dei malvagi e assicurasti alla tua anima pura un diritto cammino, su cui brilla la luce di Dio…Già arrivi nella schiera dei demoni…Colà abitano Platone…Pitagora…O beato…vai coi demoni puri armato del possente slancio della vita" (Vita di Plotino, op. cit.).
Porfirio ci racconta ancora che Plotino, seguendo la via tracciata da Platone nel Simposio, contemplò quel Dio che non ha forma né essenza, e che raggiunse l'unione intima con Lui per ben quattro volte nel periodo in cui fu suo discepolo, e che lui stesso, per una volta godette di tale unione. In una ventina di pagine, Porfirio, che ordinò gli scritti di Plotino per espresso incarico del suo maestro, ci dice, con uno stile sobrio e chiaro, l'essenziale della vita della sua guida spirituale.

     Il titolo di questo saggio nasce da una convinzione maturata dopo la lettura delle Enneadi (54 trattati divisi in sei gruppi di nove). Plotino è filosofo per necessità: la sua esperienza è frutto del suo misticismo che a sua volta è figlio dell'esperienza.
Questa nostra affermazione, oltre che da Porfirio, è supportata dai numerosissimi passi delle Enneadi in cui il Filosofo parla come può parlare solo chi ha visto, sentito, udito, provato coi più alti "sensi".  Nel corso del nostro saggio sottolineeremo queste parti. Ma entriamo nel vivo.

     Fin dalle prime "battute" Plotino, introducendo il concetto di Anima, ci fa capire come per lui il corpo altri non è che uno strumento di cui essa si serve, così come l'artigiano si serve dei suoi strumenti. Essa tende al bene. L'anima razionale  è il nostro vero io, l'uomo vero. Quindi piano piano ci ritroviamo davanti concetti platonici: l'uomo è composto di corpo e di anima, l'uno prigione dell'altra. La cosa da sottolineare, però, è che, sin dall'inizio della sua opera, il nostro filosofo comincia a parlare per esperienza: "Ben diverso è l'uomo vero e puro da queste passioni bestiali, possessore delle virtù intellettuali, che risiedono nell'anima stessa separata: difatti anche quaggiù, essa può separarsi dal corpo, perché quando lo abbandona del tutto, quella vita che da essa irraggia se ne va con l'anima e l'accompagna" (I 1, 10). Spieghiamo meglio. Le ultime parole di Plotino: "Io mi sforzo di condurre il Divino che è in me al Divino che è nell'universo", più che come testamento spirituale vanno interpretate come sintesi di tutto il suo pensiero, perché per tutta la vita non ha fatto altro che contemplare l'Uno attraverso la parte più nobile di sé, e l'intera sua opera non è che un canto appassionato di chi è costantemente proteso al Divino. L'anima sua era radicata nell'Essere. Sì, ogni anima ha in Esso le sue radici e perciò ad Esso tende, ma solo a pochi è concesso di dimorarVi costantemente. Plotino non è solo un teorico che affonda la penna nella saggezza dei precedenti maestri e ne amplifica i confini. Quando egli parla di psiche e quindi di vizi e virtù parla di sé, e le parole, ora di Platone (citatissimo), ora di Aristotele, Pitagora, e presocratici in genere, sono citate solo in quanto confermano le sue esperienze e le sue profonde osservazioni. Se per esempio Platone dice che l'anima vuol fuggire i mali e che l'unico mezzo è  evadere da questi luoghi terreni, e che questa fuga è divenire simili a Dio, Plotino aggiunge che per ottenere ciò occorre rivestirsi di Prudenza e di Virtù per diventare giusti e pii. Chi può indicare la strada se non colui che l'ha già percorsa?  Quando si chiede fino a che punto può condurre la purificazione, e quindi fino a che punto l'anima può separarsi dal corpo (I 1, 5), spiegando come essa si raccoglie, come governa le sensazioni, come sopprime i vizi, non fa altro che lasciar parlare l'anima sua che ha già attraversato tutte quelle fasi. Se alla fine cita ora questo, ora quell'altro grande filosofo, lo fa per un motivo semplicissimo: vuol dare forza e autorità al suo discorso e nel contempo sottolineare che quei filosofi erano nel giusto.  Quando, come fa in I 1, 7, ci dice che "nell'anima la saggezza e la prudenza sono la visione dell'Intelligenza, e sono, queste, sue virtù; ma l'anima non è , essa stessa, queste virtù",  non sta citando nessuno e l'Intelligenza di cui parla non è solo un'ipostasi concettuale, ma un traguardo contemplativo dell'anima sua. Il suo Uno (prima della tre ipostasi), prima di essere formulazione è traguardo, punto d'arrivo d'una contemplazione. Plotino   ha dapprima "trovato" le tre ipostasi, e poi ne ha parlato.
Tutto questo lo possiamo, per esempio, toccare con mano, allorché in VI 9, 9  (introducendoci alla danza dell'anima che contempla la sorgente della vita, il principio dell'essere, la radice della stessa anima, ed al principio secondo cui l'anima è per natura innamorata di Dio, ma se si tuffa nel mondo materiale, si volge all'amore terreno) dopo avere sottolineato che "chiunque abbia contemplato, sa ciò che io dico" passa a descrivere come "attenerci a Lui solo" : "dobbiamo anzi trasformarci in Lui liberandoci di ogni aggiunta, a tal punto che bramiamo di uscire dal mondo e non sopportiamo più di essere legati al sensibile, poiché vorremmo abbracciare Dio con tutto l'essere nostro e non avere più alcun punto che non sia in contatto con Dio. Qui l'uomo può vedere e Lui e se stesso, finché è concesso vedere: vedere se stesso splendente, ripieno di luce intelligibile, o meglio, diventato luce pura, lieve, senza peso, che sta diventando dio, o meglio che è già dio, tutto infiammato in quell'attimo…a meno che non ricada sotto il suo peso e vada, per così dire, spegnendosi" (pag. 1359 - op.cit.). Chiunque abbia un minimo di buon senso non può non avvertire dietro queste parole l'autorevolezza di uno che sa per esperienza diretta, e quindi non può non accogliere nella schiera dei grandi mistici di ogni tempo un'anima così grande. Da sottolineare poi come questo passo ricordi molto l' "Ascolta, Israele" di Deuteronomio 6 , 4 e seguenti: " Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze"…  Solo un mistico, cioè un vero filosofo, può parlare con autorità del metafisico. I nostri piccoli nichilisti che si firmano filosofi e che pubblicano continuamente apologie del niente con paroloni e discorsi senza né capo né coda al solo scopo di incensare se stessi e di far quattrini alla faccia dell'ignoranza, fanno davvero tenerezza: come può essere filosofo, cioè amante della Sapienza, chi non è sapiente? Come può essere considerato sapiente chi non sa un solo grammo di verità? E quanto danno può arrecare ad una società occidentale oramai al tramonto e bisognosa di veri sapienti un predicatore del nulla che proprio nulla può predicare non avendo sperimentato un bel…nulla?  Certo, è facile far abboccare all'amo del nichilismo i nostri giovani già rimbecilliti dagli operai di tali maestri nichilisti: artisti che hanno mortificato l'arte in ogni modo possibile, e che forse sarebbe più opportuno chiamarli illusionisti. Ma così è, e più che proporre il pensiero di Plotino e soprattutto il suo   s a p e r e    autentico, non possiamo. 
Secondo Plotino, "il musico si eleva intuendo l'armonia intelligibile": oggi i nostri musici creano solo disarmonie   o se non le creano invitano alle disarmonie; l'amante cerca di raggiungere la fonte del bello intelligibile: oggi si ama solo materialmente; il filosofo, dotato di ali dovrebbe essere programmato per le ascese: oggi i cosiddetti filosofi "strisciano" come serpenti e cambiano persino pelle. Forse torna utile riportare una frase di Plotino talmente semplice ma talmente profonda da poter far vergognare un onesto nichilista (ma come fa un nichilista ad essere onesto, dal momento che, pur non avendo trovato niente nel corso della sua ricerca, non solo afferma che nulla esite oltre questa materialità, ma cerca di convincere le masse della verità (sic!) nata dal suo totale fallimento): "Io dico così: l'uomo possiede la vita completa, allorché ha non solo quella sensibile, ma anche la facoltà di ragionare e Intelligenza vera" (I 1, 4). Questi filosofi "dimezzati" fanno davvero tenerezza.

     Abbiamo parlato di ipostasi, cerchiamo dunque di dare uno sguardo panoramico sui principi della filosofia plotiniana, basata tutta su tre ipostasi (ipostasi vuol dire sostanza, ma alla lettera: ciò che sta sotto) che sono Uno, Nous (o Spirito) e Anima. Per Plotino il principio assoluto del cosmo è l' Uno, un Dio che trascende tutto ma che tuttavia è in tutte le cose. Dall' Uno procede il Nous (unità di Pensiero ed Essere), che B. Russell considera come "la luce mediante la quale l'Uno vede se stesso", è una prima Intelligenza emanata che ha in sé tutte le idee. Dal Nous procede l'Anima (del mondo) da cui si originano le anime individualie che "è doppia": un'anima interna guarda al Nous ed una esterna legata ad una entità inferiore che è sede della propria immagine, che è natura e mondo dei sensi.  Per conoscere questo mondo meta-fisico occorre che l'anima rivolga lo sguardo "in alto" anziché alle cose del corpo. Anzi occorre essere solo anima, e per ciò è necessario abbandonare il corpo. A tal proposito, Plotino ebbe molte esperienze di estasi (uscita da sé, uscita dal corpo): IV 8, 1 (nella versione proposta da Russell: "Spesso io mi sveglio a me stesso, abbandonando il mio corpo: straniero ad ogni altra cosa  nella mia propria intimità, vedo la più straordinaria bellezza che si possa immaginare. Sono convinto,  soprattutto allora, di avere un destino superiore, il mio rapimento è il grado più alto cui posa giungere la vita, sono unito all'essere divino e, arrivato a questo rapimento, mi fisso in Lui al di sopra di tutti gli altri esseri intelligibili. Ma dopo questo riposo nell'Essere divino, ridisceso dall'intelletto al pensiero riflesso, mi domando come io effettuai in pratica questa discesa e come l'anima abbia potuto entrare nel corpo  pur essendo come mi è apparsa, e cioè essendo già in un corpo" (Storia della filosofia occidentale - Longanesi - edizione 1966, pag. 400). I filosofetti di cui si parlava pocanzi  non parlerebbero di nichilismo  in presenza di una loro personale esperienza di tale portata. Ma il loro ego è troppo forte e radicato: la loro anima è a completo servizio del corpo.
Bisogna quindi ripeterlo: Plotino quando parla dell'Uno, dell'Intelligenza, dell'Essere ecc. sa di cosa sta parlando, perché ha avuto delle innegabili esperienze mistiche.
Quindi secondo Plotino occorre innanzitutto lasciare il mondo sensibile per guadagnare quello intelligibile, per poi salire in esso di grado in grado.  Tre sono i tipi di uomini che possono intraprendere questo viaggio: i Musici,  gli Amanti, i Filosofi.  Ora, il passaggio dal mondo sensibile all'intelligibile,  e la scalata di quest'ultimo, non sono altro che due tappe della dialettica che in Plotino è una scienza che permette di parlare secondo conoscenza.
A questo punto occorre accostare l'Uno di Plotino al Dio Giudaico-Cristiano, per capirne le differenze. Quello della Bibbia è un Dio che deliberatamente sceglie di creare, mentre l'Uno di Plotino, come un sole, non può impedire di far procedere da Sé luce e calore, Vita: non può fare a meno di emanare il suo proprio Essere.
Altro aspetto da sottolineare è come Plotino concepisce il divenire cosmico, la materia. Come il riflesso di un oggetto allo specchio, la materia altro non è che apparenza, e quindi menzogna. Tuttavia, questi riflessi allo specchio sono la manifestazione delle idee eterne. Ma per concludere questa panoramica sulla filosofia di Plotino, vorremmo ricordare ancora una volta come lo scopo dell'uomo è quello di ricongiungersi all'Uno, di ascendere quindi la scala del mondo intelligibile, liberando così l'anima dalla prigione del corpo. "La vera libertà dell'anima - sintetizza bene Emanuele Severino (della cui filosofia non condividiamo tutto) in La filosofia antica , Bur, pag. 206 - consiste in questa ascesa, dove l'anima si risveglia dal sogno che l'aveva portata nel mondo. Tale risveglio è anche la vera resurrezione, "quella vera resurrezione - afferma Plotino contro il cristianesimo - che è dal corpo, non col corpo", poiché risorgere con un corpo equivale a cadere da un sonno in un altro".

       Da quanto detto fino ad ora non possiamo fare a meno di condividere uno dei giudizi che Russell dà del nostro filosofo: come Spinoza, ha una purezza morale ed una signorilità assai attraenti. La purezza morale e la saggezza di questo grandissimo filosofo traspare da ogni riga delle sue Enneadi. Questo nostro saggio, come del resto tutti gli altri dedicati a grandi personaggi della storia, vuole essere solo un invito a leggere le loro opere. Per ragioni di spazio e di tempo possiamo offrire solo qualche assaggio di tale saggezza e purezza morale, riportando qualche brano fra i più interessanti: "Anzitutto, si può essere felici anche non agendo, e non meno, ma più che agendo; e poi le azioni non producono il bene per se stesse, poiché sono le nostre disposizioni che rendono oneste le azioni; e il saggio quando agisce raccoglie il frutto non delle azioni, né degli avvenimenti, ma di ciò che possiede intimamente…la disposizione dell'anima crea la felicità"  (I 5, 10 op. cit.).  E come al solito occorre aprire una parentesi per amplificare queste sagge parole, per far si che tanti giovani, finalmente, si rendano conto che la felicità che cercano di raggiungere alla velocità supersonica in attività di ogni genere è quanto meno discutibile. La gran massa dei nostri ragazzi è convinta che essa sia appannaggio dei sentimenti e delle passioni. Trascurano così l'intelletto, indirizzando l'anima verso il corpo ed i suoi sensi. Ma quello che ottengono è qualche grammo di ebbrezza, che al primo soffio di difficoltà esistenziale vola via come polvere al vento.
Tanti furboni, approfittando della normale debolezza dell'età, riescono a muovere questi giovani come burattini, impedendo loro quasi di ragionare. E cosa fa una persona disabituata al ragionamento ed al senso critico? Cosa fa una persona a cui è stata spuntata l'arma del buon senso? Si rifugia nel branco, laddove tutti (per così dire) la pensano allo stesso modo. E' confortevole non prendere decisioni se altri le prendono per noi. Ed il capo branco (un cantante, un politico, uno scrittore, un filosofo da strapazzo, un pincopallino qualunque) li muove a suo piacimento, magari guadagnandoci sopra. L'anima di intere masse di giovani è stata resa definitivamente schiava del corpo, attraverso una iperstimolazione dei sensi: sempre di più e sempre più in fretta; tutto e subito.
Il nichilismo nasce proprio lì: al di sopra dell'ombelico non c'è che aria fritta; è tutto qui, in questo mondo materiale; "Dio è morto". Ma Dio, l'Uno, l'Essere, chiamatelo come vi pare, non può morire per una semplicissima ragione: Egli è Vita. Solo una persona morta dentro poteva far esplodere una cotale affermazione. Solo un'ombra può affermare questo, ma alla prima esplosione di Luce l'oscurità svanisce come per incanto: la menzogna è morta: sì, LA MENZOGNA E' MORTA! Ecco cosa gridare in faccia ai nichilisti adoratori del niente. Occorre che a queste anime morte qualcuno gridi in faccia la verità evidente: l'ombra non può negare la luce.

     Il nostro tema - Plotino, il mistico filosofo - piano piano crediamo stia prendendo corpo non certo per opera nostra, quanto per sua diretta testimonianza: noi ci limitiamo a sottolineare i passi della sua opera che di questo sono conferma. Non siamo però fra coloro che sbilanciandosi troppo da una parte (è solo filosofo) o dall'altra (è solo mistico) non si rendono conto della impossibilità di scindere le due cose: è un mistico-filosofo. A tal proposito condividiamo quanto dice (nel volume 8° della sua Storia della filosofia greca e romana - Plotino e il neoplatonismo pagano - Bompiani, pag. 49) Giovanni Reale: "Le componenti del pensiero plotiniano…sono due: una di carattere soggettivo, ossia, come oggi diremmo, esistenziale;  l'altra di carattere oggettivo e più propriamente speculativo. Da un capo all'altro delle Enneadi, infatti, emergono l'ansia del Divino e il fervido desiderio di unirsi ad Esso, il sentimento religioso e la tensione mistica. Ma è altrettanto evidente  in tutti i trattati delle Enneadi il lucido tentativo di spiegare razionalmente la totalità del reale, e di dar conto, sempre su basi razionali, di quella stessa tensione dell'uomo e di tutte le cose verso il Divino". L'opera del Reale è degna di lode per almeno due motivi: essa è comprensibile da tutti; essa nella stesso tempo è per addetti ai lavori. Cosa non da poco questa, se pensiamo che la maggior parte di coloro che si occupano di Filosofia amano sguazzare in un mare di paroloni non chiariti e di concetti volutamente contorti. Ma torniamo a Plotino.
La sua è una filosofia della Vita Esuberante: un Danzatore se ne sta lì immobile, quando improvvisamente comincia a Danzare  e da tale danza si sprigiona una potenza infinita, capace di dar Vita per "concretizzarsi" via via sempre di più. Tutto è solo danza e in tale danza c'è tutto: "Ma poiché tutte le cose sono belle in grazia di Colui che è prima di esse e ne ricevono luce, l'Intelligenza accoglie lo splendore dell'atto intellettuale col quale illumina la natura; e l'anima, a sua volta, accoglie la potenza del vivere, mentre una vita più intensa penetra in essa (VI 7, 31, pag. 1267 op. cit.). Il Reale propone l'ultima frase in questi termini: "L'anima invece ebbe la facoltà di vivere,  perché inondata da una vita esuberante" (pag 112 opera sopra elogiata).
Dal momento che stiamo parlando di Anima, approfittiamone per portare "prove" a sostegno della nostra tesi, che, vedremo dopo, tanto nostra non é. Nell'Enneade IV 1,2 - nella versione proposta dal Reale leggiamo: "Chi ha avuto modo di vedere questa grandezza dell'Anima cogliendone tutta la potenza, senz'altro non ignorerà il suo carattere meraviglioso e divino e la sua trascendenza rispetto alle realtà fisiche" (lo stesso brano può essere letto in traduzione diversa nell'opera del Faggin a pag. 549). Sì, la filosofia plotiniana è frutto d'esperienza. Certo sarebbe interessante riportare quei passi in cui viene spiegato perché e come l'Anima dall'Essere si tuffa nel divenire, per cui dall' Eternità passa alla temporalità. Ma motivi di spazio ci impediscono di allargare i confini di questo breve saggio. E poi falliremmo lo scopo più importante: far sì che si vada a leggere Plotino per poi approfondire gli infiniti spunti di riflessione.

     Molti studiosi di Plotino, con una superficialità non propria da studiosi, hanno affermato che questo grande filosofo si è limitato a commentare Platone (soprattutto), Aristotele e tutti i grandi filosofi che lo precedettero. A parte il fatto che  lo stesso Plotino, dall'alto della sua umiltà, dichiara nelle sue Enneadi che quanto dice non è altro che un commentario alle opere di altri filosofi, questi studiosi ci pare abbiano scavato poco fra le righe. Molto spesso Plotino va oltre Platone e Aristotele. La sua originalità è indiscutibile. Sia Giovanni Reale nell'opera sopracitata, sia Giuseppe Faggin in un suo libro dal titolo Plotino edito da Vidya, sottolineano spesso tale originalità. Soprattutto, però, tali studiosi non hanno tenuto conto del fatto che Pitagora, Platone, Aristotele, Parmenide, Eraclito, ecc. non sono persone comuni, non sono solo filosofi alla moderna, cioè parolai, ma pensatori che dicono quello che sanno e quindi sanno quello che dicono, né più, né meno che Plotino. Dice il Faggin: "L'esigenza mistica non appare, nel pensiero plotiniano, come un'aggiunta estrinseca che esprima una personale simpatia per una cultura esotica, ma sgorga dall'intimo delle stesse premesse platoniche e aristoteliche da cui muove e ne è la conclusione vitale, non aridamente dedotta, ma concretamente vissuta"  -la sottolineatura è nostra - (pag. 10, 11 op. cit.) ed ancora: "Ai grandi geni del pensiero il passato è presupposto necessario, ma solo come motivo ed occasione" (pag. 19) E ancor di più: "La dottrina di Plotino è 'plotinismo' e  ha una sua anima originale e inconfondibile: essa esprime  l'integrale atmosfera ellenica, ma è insieme un'immortale voce dello Spirito che non conosce né tempo né spazio" (pag. 20). E infine: "Il misticismo plotiniano ha una sua nota inconfondibile, proprio perché è esperienza realizzativa"  - sottolineatura sempre nostra -(pag. 137). Questo libro del Faggin lo abbiamo letto quando il saggio era quasi completo, ma la nostra soddisfazione nel constatare che altri prima di noi avevano espresso lo stesso pensiero, è stata davvero grande.
All'inizio pensavamo di fare un parallelo fra la filosofia di Plotino e quella di Shankara, per sottolineare le profonde analogie fra i due non solo dal punto di vista filosofico: entrambi operarono una mirabile sintesi di tutte le correnti filosofiche fino al loro tempo. Ma mentre lo studio parallelo procedeva ci rendevamo conto della vastità e delle difficoltà dell'impresa. Ciò potrebbe essere spunto per chi, conoscendo il Vedanta e l'autore che più lo rappresenta, ed amando al contempo la filosofia di Plotino, volesse accostare questi due giganti del pensiero e del metafisico.
Ma eccoci giunti al termine di questo breve lavoro.Non potremo parlare di temi importantissimi quali male, reincarnazione, libero arbitrio, ecc. Aggiungiamo solo che a Plotino hanno attinto in tanti (mistici cristiani e non, e filosofi). Siamo sicuri che, se fosse ancora vivo, di ciò non si dispiacerebbe, anzi. La sua è stata la voce di un maestro, e per questo molto ascoltata.
Concludiamo con una frase di Plotino tratta da I, 2, 6: "Il nostro impegno non è  quello di essere esenti da colpe, ma di essere Dio".       

Grazie, Natale Missale



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